sabato 17 febbraio 2024

L'Utopia e il deserto del Nevada (di Francesco Lotoro)

                  L’UTOPIA E IL DESERTO DEL NEVADA 



Il musicista, unico vero Homo Universalis, crede fondamentalmente in un mondo senza frontiere ed è il primo a dimostrarlo persino nei momenti più tragici della Storia; nel sec. XVIII, quando l’Europa era una vaga espressione geografica, il violinista Giuseppe Tartini fondò a Padova l’accademia violinistica europea Scuola delle Nazioni.

I musicisti scompaginarono le menti più razionali del sec. XIX, Georg Wilhelm Friedrich Hegel annullò le sue lezioni universitarie mentre il filosofo ipocondriaco Søren Kierkegaard lasciò Copenhagen ed entrambi per recarsi a Berlino: nella capitale prussiana c’era Gioacchino Rossini.

I più grandi seguaci di un pensiero universalista costruito sulla Pace si chiamavano Ludwig van Beethoven e Béla Bartók, musicisti immensi; l’attività musicale fu capace di scatenare veri e propri tsunami umanitari in Ghetti, Lager, Gulag e Campi per prigionieri di guerra.

Nell’opera Der Kaiser von Atlantis scritta da Viktor Ullmann a Theresienstadt, l’Imperatore Overall chiede ai propri sudditi di vivere perennemente infelici e contenti; la smisurata quanto assurda fiducia riposta nelle proprie malefatte segnerà la fine del Kaiser nell’opera ullmanniana.

Creare musica in deportazione significa prendere atto dell’inutilità delle parole; il linguaggio musicale è simile alla lavorazione del caffè, puoi dosare la migliore miscela ma se sbagli la tostatura degli ultimi minuti il caffè saprà di bruciato e l’aroma si volatilizzerà.

Ci aspettano lunghe ed estenuanti guerre contro ignoranza endemica e terrapiattismo cerebrale; sfide che si combattono con le uniche armi vincenti ossia quelle artistico-culturali.

L’Arte è il più grande esercizio politico; quando nel 1935 l’ebreo figlio di ucraini George Gershwin scrisse l’opera Porgy and Bess nella quale i protagonisti erano afroamericani, non soltanto scrisse la più importante opera moderna americana ma creò la più alta forma di democrazia.

La Storia recente ha purtroppo rimescolato le carte; il presente è diventato un futuro che non ce l’ha fatta e, quando gli uomini non ce la fanno a migliorarsi, scatenano guerre o creano complotti.

Il buon vecchio complottismo “spaziale” si limitava ad asserire che l’uomo non è mai andato sulla Luna e che le missioni Apollo sono tutte “allunate” nel deserto del Nevada; oggi affermerebbero che la Luna non esiste e quella cosa lassù in cielo non è altro che un trucco olografico per depistarci.

La più efficace risposta alla guerra potrebbe non essere la pace ma una guerra più sofisticata: aprire teatri e biblioteche, fondare orchestre e fare concerti dappertutto, un bombardamento a tappeto sotto il quale difficilmente sopravviverebbe l’ignorante consapevole o il cannibale dei social.

Solo perché l’Arte è democratica per definizione, non per questo deve diventare un optional della vita sociale da allocare tra le voci generiche del tempo libero; i barbari del nuovo millennio avrebbero un alibi per non istruirsi, chi governa la cosa pubblica non stanzierebbe un soldo in cultura.

Chi ha prodotto musica in prigionia e deportazione non pensava affatto di incantare l’uditorio con una Sonata per violino ma stendeva con polso fermo il Testamento del Novecento, posava la pietra angolare di futuri edifici del pensiero; tutto ciò per il bene e lo sviluppo del genere umano.

L’immenso patrimonio letterario, musicale e teatrale che ci proviene da Ghetti, Lager e Gulag ci obbliga a una nuova, profonda rivoluzione copernicana; non riscriveremo più il passato ma il futuro.

L’auspicio è che un nuovo Umanesimo riconduca finalmente l’uomo al centro della Storia; di ciò dovrebbe occuparsi la ricerca scientifica, il pensiero filosofico, la spiritualità, l’Arte.

Non è un generico ateismo a doverci preoccupare; è il non credere dell’uomo nell’uomo il vero male del mondo, il verme che divora dalla polpa la mela dell’ingegno umano e del suo primato universale.

Credere nell’uomo non significa credere nella materialità che ci avvolge, altrimenti sarebbe più semplice nascere mucca o persino termosifone; credere immensamente in ciò che ancora non esiste affinché si materializzi sotto i nostri occhi, questo sì che è meravigliosamente reale.

La grandezza dell’uomo risiede nella sua immaginazione; nulla è più reale dell’utopia.

* L'autore di questa riflessione, Francesco Lotoro, è pianista musicologo, ricercatore, 'umanista' e fondatore e direttore del Centro di Musica Concentrazionaria di Barletta

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