A benedire le nozze di Francesco Giambrone e Poalo Arcà, nel 2006, a Firenze, nel tempio del Teatro del Maggio Musicale Fiorentino furono Politica & Massoneria. La Politica testimone di nozze per Giambrone, la Massoneria per Arcà. Ora, all'Opera di Roma, come allora: Politica & Massoneria?
Delle ascendenza politiche familiari dei Giambrone - politico il fratello del sovrintendente Francesco, Fabio, ed ambedue cresciuti e pasciuti nei pascoli del sindaco palermitano e del partito di appartenenza (da principio Italia dei Valori di Di Pietro e poi PD); e di quelle massoniche del 'maestro' Arcà, ancora negli anni della Filarmonica Romana e del suo insegnamento nel Conservatorio dell'Aquila, dove esisteva una fiorente loggia massonica che aveva al vertice il direttore della istituzione e fra gli adepti molti compositori residenti a Roma, si è scritto già parecchie volte su molti organi di stampa (ed anche noi lo abbiamo fatto).
Ci preme, invece ora tornare a quel matrimonio fiorentino sciolto per 'fallimento', e accennare all'attuale ricomposizione.
Giambrone e Arcà arrivano al Maggio nel 2006, dopo qualche tempo di fibrillazione nel teatro. Arrivano i nostri!, si gridò probabilmente allora, anche se tutti sapevano come si era arrivati a quel matrimonio; e cioè con la benedizione congiunta di politica e massoneria.
Come in tanti altri casi tutto sembrò andar liscio nei primi tempi: Giambrone, era venuto via da Palermo dove aveva costruito la sua fortuna e da dove fu costretto a sloggiare, perchè il sindaco non era più Leoluca Orlando, da sempre sponsor della sua fortuna, e lui, suo 'portaborse' (non va neanche dimenticato che il padre dei Giambroni era strato capo della segreteria di Piersanti Mattarella, dunque una fortuna con alti e bassi, ma tutta costruita all'ombra della politica) venne nominato, spinto da suo fratello parlamentare, alla sovrintendenza; mentre la direzione artistica venne affidata a Paolo Arcà, fuori dalla Scala, e patrocinata da Massoneria e Forza Italia.
I due restarono a Firenze fino al 2010, quando Giambrone dovette lasciare, sostituito dal commissario Nastasi, perchè il bilancio faceva acqua (Giambrone in seguito insegnò amministrazione delle istituzioni culturali all'università!); mentre Arcà restò a lavorare al fianco del Commissario, poi sovrintendente Francesca Colombo, immatricolata Francesco Micheli, per poi lasciare poco prima che la Colombo fosse stata costretta a lasciare anch'ella per la stessa ragione per cui un paio di anni prima era andato via Giambrone.: rosso in bilancio.
Arcà uscì poco prima, dichiarando che voleva lavorare al altri progetti, che, infatti, arrivarono: in coppia con Fontana, andò al Teatro Regio di Parma, dove la nuova coppia dovette lasciare dopo non molto tempo, ingloriosamente. Fontana andò a presiedere l'AGIS, e Arcà si ritrovò a fare il direttore artistico della antica Società del Quartetto, istituzione della ricca borghesia milanese, attualmente presieduta dalla ex sottosegretaria Ilaria Borletti Buitoni, che ora dovrà necessariamente sostituirlo, non essendo compatibile con la direzione artistica dell'Opera di Roma.
Giambrone, dal canto suo, è noto per divorare i figli che lui stesso genera, non fisicamente, s'intende, benché da medico qual è conosca tutte le tecniche per mettere al mondo figli, ma anche per abortire. Lui fa l'una e l'altra cosa, prima li fa nascere e poi, quando si rompe, li fa secchi. Le ragioni di tale comportamento non sono note. Si è ipotizzato, nel solo caso di Pizzo ( da Oscar), che la sua cacciata da Palermo, dopo averlo chiamato, nacque dalla costatazione che veniva male nelle fotografie ufficiali: un nano ( Giambrone, come tutti i nani, piccolo e permaloso) a fianco di un gigante (Pizzo), che gli poteva mangiare in testa.
Lo ha fatto con Pizzo a Palermo; non lo ha fatto dopo con Marco Betta solo perchè è scappato a Roma e Betta doveva restare a presidiare il Massimo, in previsione di un nuovo ritorno di Giambrone; che ha dato un calcio in culo ad Alessio Vlad, poco dopo il suo insediamento a Roma.
Potrebbe toccare, fra non molto, anche ad Arcà,? Forse, però Arcà può sentirsi più sicuro giacché Giambrone non potrà essere riconfermato per limiti di età; e quindi Arcà resterebbe a fare da anello di congiunzione fra Giambrone ed il suo successore.
A dire il vero noi avevamo pensato, prima d'ora, ad un suo futuro impegno a Santa Cecilia, di cui è Accademico, dopo l'uscita di dall'Ongaro, ormai prossima.
Ma è la ascesa di Arcà che ci preme raccontare, partendo dal suo lavoro come portaborse di Roman Vlad a Roma, nella redazione di Musica & Dossier, e poi a Milano alla Scala, dove arriva portato da Vlad, che, da presidente della Siae, non poteva assicurare una presenza assidua alla Scala, al tempo di Fontana e Muti, prima della tragica rottura, e perciò si serve dall'aiutante Arcà.
Del modo in cui il professore di composizione al Conservatorio dell'Aquila, Paolo Arcà, sia finito a Milano a lavorare nella direzione artistica abbiamo scritto già. Ma è utile rammentarlo.
Fece richiesta di aspettativa dal Conservatorio ( prontamente con cessagli dal direttore massone al massone Arcà) per 'gravi motivi famigliari'. Evidente 'falso in atto pubblico' che avrebbe potuto costargli una solenne sanzione non solo amministrativa, ma che passò liscia nonostante che ogni giorno Arcà alla Scala, timbrasse il cartellino di presenza. Senza considerare, fatto ancor più grave, il disagio che egli procurò per mesi e mesi agli allievi della sua classe di composizione. Sarebbe bastato l'illecito della aspettativa per farlo decadere da ambedue gli incarichi, e per sanzionare amministrativamente anche il direttore del Conservatorio che impunemente aveva esposto in bacheca la richiesta e la concessione della aspettativa.
La cosa andò avanti per qualche anno, poi Arcà come accade a chiunque ha potere, palese o occulto - chiese ed ottenne il trasferimento al Conservatorio di Milano.
Durante gli anni di sua permanenza alla Scala e, contemporaneamente, del suo ruolo al Conservatorio dell'Aquila noi più volte sfidammo Arcà, scrivendo che l'allora procuratore capo di Milano, Borrelli, cognato di Vlad, la cui casa anche Arcà certamente frequentava, si sarà posto, conoscendo Arcà, il problema della totale incompatibilità, oltre che del falso nella richiesta di aspettativa dal Conservatorio. E forse si sarà anche chiesto come era possibile, senza però agire di conseguenza, chiedendo ad Arcà di lasciare l'incarico in Conservatorio, oppure andar via dalla Scala. E, invece, nulla avvenne, Borrelli tacque. Tutto regolare? Per un massone, anche 'in sonno', sì.
Luigi Bellingardi, critico musicale del Corriere per anni, raccontò che negli anni in cui Arcà era alla Scala, Muti (e Fontana) non gli permetteva di decidere granché, relegandolo all'organizzazione delle tournée del teatro. E raccontò pure che una volta Placido Domingo telefonò alla Scala; che gli rispose Arcà, dichiarandosi della 'direzione artistica', e che la risposta di Domingo fu: mi passi Muti, che è l'unico che conosco della direzione artistica ed il solo con cui intendo parlare.
Tornando al presente, i Ciccio& Franco dell'opera in Italia - Giam brone & Arcà - sono di nuove insieme. Ma quanto durerà e che cosa di buono potrà venire al Teatro dell'Opera di Roma? Non è che dopo il tempo dell'idillio, tipico di giovani sposi, e anche di risposati, si accapiglieranno, litigheranno, si tireranno addosso i piatti e le stoviglie, e dilapideranno quello che altri erano riusciti a creare, in termini artistici ed economici?
Nessun commento:
Posta un commento