«Io dimoro, come Vostra Eccellenza sa, a Napoli e per errore mi hanno compreso tra i contribuenti alle spese per la guardia civica di questa capitale...». Giacomo Leopardi e "l'infinito" tormento delle tasse. Sì perché come ogni comune mortale anche lui si è angosciato dietro a imposte e contributi.
«Un po' tirchio»
Le parole del poeta di Recanati sono emerse da una lettera ritrovata nell'immenso patrimonio di documenti custodito nell'Archivio Vaticano. Una lettera scritta da Leopardi per lamentarsi di alcune tasse che a suo dire non avrebbe dovuto pagare. È quanto si legge in "Secretum" (edizioni Solferino), libro-intervista di Massimo Franco con il Prefetto dell'Archivio, monsignor Sergio Pagano.
Il filosofo scrisse la lettera il 14 settembre del 1836 a monsignor Ferretti, nunzio apostolico presso Sua Maestà Siciliana. «Sono venuti i gendarmi. Ma io sono di Recanati, sto qui per caso», recita la missiva. Aveva ragione? Non secondo il monsignor Pagano che nel libro sentenzia così: «Non voleva pagare le tasse, Leopardi», «era un po' tirchio».
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