Il crollo del Cinque Stelle, irrilevante in Emilia (e al governo)
Hanno perso tutti: quelli che hanno voluto correre da soli a tutti i costi e quelli che non hanno saputo fermarli, rimettendo la decisione nelle mani degli iscritti su Rousseau
di Manuela Perrone
2' di lettura
Il Vaffa Day del 2007, migliaia di persone in piazza a Bologna, è un ricordo sbiadito. Il voto in Emilia Romagna fotografa un M5S che crolla al 3,4%: il vaffa, stavolta, è arrivato dagli elettori. Condannando il Movimento all’irrilevanza dentro la regione e indebolendolo al Governo nazionale.
Una sconfitta di tutti
È una magra rivincita, quella dei Cinque Stelle filo-dem che avrebbero voluto correre a sostegno di Bonaccini o evitare di presentarsi. Davanti alla sostanziale sparizione del partito in terra emiliana - dove alle politiche del 2018 aveva conquistato il 27% e alle europee il 12% - e persino in Calabria dove alle europee avevano ancora il 26,6%, non c’è “te l’avevo detto” che tenga. Hanno perso tutti: quelli che hanno voluto correre da soli a tutti i costi e quelli che non hanno saputo fermarli, rimettendo la decisione nelle mani degli iscritti su Rousseau.
È una magra rivincita, quella dei Cinque Stelle filo-dem che avrebbero voluto correre a sostegno di Bonaccini o evitare di presentarsi. Davanti alla sostanziale sparizione del partito in terra emiliana - dove alle politiche del 2018 aveva conquistato il 27% e alle europee il 12% - e persino in Calabria dove alle europee avevano ancora il 26,6%, non c’è “te l’avevo detto” che tenga. Hanno perso tutti: quelli che hanno voluto correre da soli a tutti i costi e quelli che non hanno saputo fermarli, rimettendo la decisione nelle mani degli iscritti su Rousseau.
Si rafforza l’ala filo-Pd
Le dimissioni preventive di Luigi Di Maio non fermeranno il processo alla sua leadership, ma soprattutto alla sua linea “neutralista” che vuole tenere il M5S terzo tra i due poli, ago della bilancia, bussola post-ideologica. «Quale Movimento?», protestano i suoi oppositori. «Si è liquefatto». Dall’altro lato, i pentastellati che si sono esposti a favore del riformismo e di un campo largo progressista con i dem - da Paola Taverna a Stefano Patuanelli, da Roberto Fico a Roberta Lombardi - confidano di rafforzarsi, insieme al premier Giuseppe Conte, ormai punto di riferimento. Beppe Grillo è lontano, Davide Casaleggio asserragliato a blindare Rousseau.
Le dimissioni preventive di Luigi Di Maio non fermeranno il processo alla sua leadership, ma soprattutto alla sua linea “neutralista” che vuole tenere il M5S terzo tra i due poli, ago della bilancia, bussola post-ideologica. «Quale Movimento?», protestano i suoi oppositori. «Si è liquefatto». Dall’altro lato, i pentastellati che si sono esposti a favore del riformismo e di un campo largo progressista con i dem - da Paola Taverna a Stefano Patuanelli, da Roberto Fico a Roberta Lombardi - confidano di rafforzarsi, insieme al premier Giuseppe Conte, ormai punto di riferimento. Beppe Grillo è lontano, Davide Casaleggio asserragliato a blindare Rousseau.
La rifondazione difficile
Nel frattempo è lo smarrimento a prevalere. Fino all’una nessuna dichiarazione a commento dei risultati emiliani era arrivata dal M5S. Solo in mattinata il reggente Vito Crimi, che ora ha il compito di traghettare fino agli stati generali di marzo un Movimento allo sbando, ha dichiarato: «I risultati sono stati inferiori alle aspettative. Questo però non ci induce ad arrenderci: semmai è vero il contrario», sarà necessario «restare uniti». E ancora: «Ora non resta che continuare a lavorare pancia a terra con il governo che, dopo queste elezioni, deve proseguire nel suo percorso».
Nel frattempo è lo smarrimento a prevalere. Fino all’una nessuna dichiarazione a commento dei risultati emiliani era arrivata dal M5S. Solo in mattinata il reggente Vito Crimi, che ora ha il compito di traghettare fino agli stati generali di marzo un Movimento allo sbando, ha dichiarato: «I risultati sono stati inferiori alle aspettative. Questo però non ci induce ad arrenderci: semmai è vero il contrario», sarà necessario «restare uniti». E ancora: «Ora non resta che continuare a lavorare pancia a terra con il governo che, dopo queste elezioni, deve proseguire nel suo percorso».
Già lunedì 27 gennaio ministri e sottosegretari potrebbero riunirsi per indicare il nuovo capodelegazione. Sarà lui a sedere al tavolo della verifica sul cronoprogramma per definire l’Agenda 2023 insieme al premier Giuseppe Conte e agli altri partiti di maggioranza. Pure su questo, però, i pentastellati sono in ritardo: a parte il salario minimo e la trincea su Autostrade e prescrizione, sono alla ricerca disperata di nuove parole d'ordine. La “rifondazione” annunciata da Di Maio parte tutta in salita
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