Dalle stelle del 32,7% conquistato alle politiche del 4 marzo 2018 alle stalle di una raffica di batoste alle regioni in Abruzzo, Sardegna, Basilicata e Umbria e di 31 addii tra i parlamentari da inizio legislatura, 13 dei quali soltanto negli ultimi due mesi. Per Luigi Di Maio quella di dimettersi da capo politico è stata una scelta più che sofferta, ma diventata inevitabile. È stato lui a traghettare il M5S al Governo, è lui adesso a pagare il prezzo della crisi profonda in cui versa.
La comunicazione ai ministri
Ai ministri e ai sottosegretari convocati mercoledì 22 gennaio alle 10 nella sala della Biblioteca Chigiana, a Palazzo Chigi, Di Maio ha comunicato l'addio da capo politico che annuncerà pubblicamente alle 17, quando è in programma la presentazione della pattuglia dei facilitatori regionali. Vito Crimi, in qualità di componente anziano del comitato di garanzia, assume la reggenza del Movimento.
Le dimissioni “preventive”
“Dimissioni preventive”, le chiama qualcuno. Perché arrivano a soli quattro giorni dalle elezioni in Emilia Romagna e in Calabria e perché dunque possono essere interpretate in modi differenti. La prima, e la più semplice, è quella che lo vuole indisponibile ad assumersi da solo la responsabilità della (prevedibile) nuova débâcle alle urne di domenica 26 gennaio. Anche perché la scelta di correre in solitaria è stata decisa dagli iscritti su Rousseau contro il suo parere.
La tentazione di tenersi le “mani libere”
Ma si rincorrono altre letture. Come quella che arriva da alcuni big dell'ala sinistra del Movimento, convinti che Di Maio voglia tenersi le mani libere dopo il voto, senza la zavorra di un incarico così gravoso come quello di leader. Libere anche per decidere, se il Pd dovesse perdere in Emilia e il Governo saltare, di tornare ad allearsi con la Lega di Matteo Salvini. Uno scenario indigesto a quanti tra i Cinque Stelle sono ormai schierati a favore della confluenza del M5S in un fronte progressista ampio, come chiede il segretario dem Nicola Zingaretti e come vuole il garante Beppe Grillo.
Ipotesi organo collegiale ad interim
Ecco perché il passo indietro di Di Maio, per non destabilizzare il Governo, necessita di un paracadute strutturato per non lasciare il Movimento allo sbando. La reggenza di Crimi, in qualità di componente anziano del comitato di garanzia, non sembra bastare, neanche soltanto per condurre il Movimento agli stati generali del 13-15 marzo. Per questo si fa strada l'ipotesi di un organo collegiale ad interim, che provi a tenere unite tutte le anime ed evitare la deflagrazione. Sempre che a deflagrare non sia la maggioranza.
Si apre ora la partita per la successione, in vista delìgli Stati generali di marzo.
Lo spread sfiora i 170 punti
A questo punto si tratta di capire se la scelta di Di Maio e i nuovi equlibri all’interno dei pentastellati avrà delle ripercussioni sul Conte due. L’esecutivo M5S-Pd-Italia Viva e Leu deve già affrontare il nodo giustizia, dopo che nell’ultimo vertice di maggioranza non è stata raggiunta un’intesa sulla prescrizione. Una vittoria del centrodestra in Emilia Romagna e Calabria potrebbe produrre un ulteriore scossone. Lo spread si è impennato, arrivando a sfiorare i 170 punti, con gli interrogativi degli investitori sulla tenuta del governo.
Conte: «Mio partito? Non ci penso affatto, sarebbe sbagliato»
Ancora nelle ultime ore il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha chiuso all’ipotesi di un suo partito. «Non ci penso affatto - ha chiarito ai microfoni di “Nonstopnews”, su Rtl 102.5 -. Non solo perché non ho velleità, ma perché ritengo sarebbe profondamente sbagliato». E sulla mossa di Di Maio: «È stato tirato per la giacchetta, dunque aspettiamo che assuma lui un’iniziativa. Se fosse una sua decisione lo rispetterò anche se mi dispiacerà sul piano personale».
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