Stéphane Lissner, già sovrintendente-direttore artistico della Scala di Milano per due mandati, sbarca fra qualche settimana a Napoli, per assumere il medesimo incarico allo storico Teatro di San Carlo, il più antico del nostro Paese ed anche il più glorioso per la sua storia passata, più gloriosa della stessa Scala.
Lissner, nel corso di suo mandato quinquennale, dovrà vedersela anche con Muti che ha scelto Napoli e Firenze, per lavorarci, una volta lasciata Chicago ed anche prima. Adesso non può più ignorarlo, come fece a Milano.
Perchè ora le posizioni di forza dei due sono profondamente mutate rispetto a quelle milanesi, quando l'uscita di Muti dal teatro era ancora 'calda', e la ferita ancora aperta e sanguinante, e Lissner che, a parole diceva di voler riportare Muti alla Scala e di volersi adoperare per riuscirci, nei fatti puntava più al ritorno di Abbado, che poi è avvenuto.
Lissner non ha ancora aperto bocca sull'argomento, ben sapendo che Muti e sua figlia Chiara torneranno al San Carlo per Don Giovanni di Mozart e che lui deve fare tutto il possibile per stabilire con il direttore buoni se non ottimi rapporti, perchè altrimenti da Napoli il sindaco De Magistris lo rispedirebbe in Francia o altrove, tenendo sicuramente più a Muti che a Lissner.
Ma se Lissner ancora tace sull'argomento, Muti vi ha accennato, anche se con una mezza bugia, quando ha detto a Leonetta Bentivoglio ( La Repubblica) che lui Lissner l'ha incontrato una sola volta, a Parigi, un millennio fa, passando perciò sopra ben altre sue dichiarazioni più bellicose degli anni scaligeri di Lissner.
Infatti dopo che i giornali, nei primi anni di Lissner alla Scala, raccontarono del suo viaggio a Salisburgo, in occasione di una presenza di Muti sul podio, dovettero anche annotare che Muti ebbe a specificare che Lissner presente ad un suo concerto, non si era fatto vedere fuori del camerino di Muti, dove avrebbe potuto incontrarlo ed anche allacciare rapporti, certo difficili ed anche 'privi di interesse' per Lissner che aveva altri progetti e, nel caso di Muti, doveva solo salvare la faccia di fronte all'opinione pubblica, perché il suo cuore 'batteva' per Abbado, sodale di Barenboim, direttore musicale a Milano durante la sua sovrintendenza. Meno o affatto per Muti.
E Muti, di rimando, nei riguardi della Scala, gestione Lissner, era stato severo di giudizi in più occasioni, la più nota delle quali in occasione della passerella di 'ragazzi' ( Ticciati, Dudamel i più noti ecc...) sul podio del teatro più celebre al mondo.
Ma c'è il problema del sodalizio di Muti con sua figlia Chiara, assunta a tempo pieno come regista delle sue opere, e 'conditio sine qua non' per avere lui. Lissner oserà opporvisi o eccepire? Siamo certi di no, altrimenti Addio Napoli!
Noi questo sodalizio lo abbiamo criticato da sempre e continueremo a farlo. Ad onor del vero, in queste 'frequentazioni' assidue ma pericolose di Muti va considerata anche sua moglie ( Ravenna Festival) ed anche suo genero, David Fray, pianista.
A tal proposito qualche sera fa, nel corso di una cena a casa di amici, c'è toccato 'difendere' - diciamo così - Muti, da chi invece voleva farci notare che Abbado non lo avrebbe mai fatto e non lo fece mai.
Ci toccò far notare al nostro interlocutore che dello stesso peccato si macchiò anche Abbado, il quale nel periodo in cui fu a capo dei Berliner nominò sua figlia Alessandra, responsabile delle tournée dell'orchestra (non ricordiamo se solo per l' Italia); e non ci riferiamo al periodo della lunga malattia del direttore, quando sua figlia, come avrebbe fatto qualunque figlia appena devota, gli fu anche infermiera ed assistente. Pensiamo agli anni in cui in piena salute guidò l'Orchestra di Berlino.
In quegli anni Novanta, su Applausi, il mensile di musica edito a Udine che dirigevamo, scrivemmo, dopo i necessari controlli, che Abbado nelle varie città in cui veniva a dirigere, apriva la strada dei teatri a suo figlio Daniele, regista. Il quale, dati alla mano, quasi a stretto giro, veniva ingaggiato come regista d' opera proprio in quei teatri dove poco prima, qualche mese appena, era passato suo padre da direttore. Ricordiamo vagamente, dopo tanti anni, Torino, Palermo
E perciò, nonostante noi non condividiamo i comportamenti nè dell'uno nè dell'altro, dobbiamo rassegnarci di fronte alla constatazione che 'così fan tutti', anche i potenti. Il comandamento del 'tengo famiglia' accomuna poveri disgraziati a ricchi e famosi.
E dà a noi il diritto-dovere di criticarli.
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