L'esito del voto in Abruzzo ha consegnato a Matteo Salvini la certificazione di quanto i sondaggi dicono da tempo: il potere della Lega all'interno dell'alleanza di governo è in crescita e il messaggio delle urne non potrà non avere ripercussioni anche a livello nazionale. Basta un elemento per fotografare l'importanza dei risultati: con questi numeri il centrodestra supererebbe di gran lunga quel 40% necessario per avere la maggioranza in Parlamento. «È una giornata storica per Fratelli d'Italia e in Abruzzo si afferma un modello esportabile anche a livello nazionale», ha sottolineato non a caso Giorgia Meloni. Ma il leader della Lega, per ora, di tornare alla vecchia casa non ne vuole sapere. Convinto, invece, di poter proseguire la sua scalata sull'elettorato di centrodestra e allo stesso tempo di poter declinare sempre più a proprio vantaggio il contratto di governo con il M5s.
Il M5s, al contrario, paga non solo la sua idiosincrasia rispetto alle elezioni regionali e il rifiuto di qualsiasi alleanza con altre liste civiche, ma anche la stessa partnership con la Lega al governo del Paese. Il dimezzamento dei voti in Abruzzo rispetto alle Politiche (dal 40% preso alla Camera al 19% delle Regionali) è clamoroso. E minaccia di avere conseguenze nefaste per gli equilibri interni al Movimento in vista delle elezioni europee di maggio. L'ala ortodossa potrebbe farsi sentire già nelle prossime ore, aumentando il pressing su Luigi Di Maio a cominciare da alcuni voti cruciali, come quelli sul caso Diciotti o sulle autonomie locali. E il rischio, per il leader, è di ritrovarsi stretto tra il pressing del dissenso interno e il crescere - sull'onda del voto in Abruzzo - dell'Opa di Salvini. «Se arriviamo terzi è un incubo», spiegava venerdì 8 febbraio, alla chiusura della campagna elettorale, un esponente pentastellato a microfoni spenti. Con un'appendice: sia Di Maio sia Alessandro Di Battista, in Abruzzo, ci hanno messo la faccia. Con il capo politico del M5s che, al pari di Salvini e degli altri leader di centrodestra, è tornato più volte nella regione negli ultimi giorni.
La partita di Salvini si preannunciava "win-win" e così è stato. La Lega ha confermato infatti di essere il traino del centrodestra in un Abruzzo che, solo 11 mesi fa, rappresentava la Regione più a Nord in Italia dove Forza Italia aveva superato l'allora Carroccio. E questo anche se il partito di Silvio Berlusconi è arrivato a sfiorare la doppia cifra, collocandosi al 9,5%. Una certa delusione filtra invece nell'alleanza di centrosinistra guidata da Giovanni Legnini. Uno schieramento che ha messo insieme otto liste e uno spettro amplissimo di forze, incluse Sinistra Italiana e Liberi e uguali, ma che non ha saputo convincere la maggioranza degli elettori abruzzesi. E lo stesso Legnini, commentando a caldo i risultati, non sa bene cosa dire. Se non che «l'idea di Carlo Calenda deve ancora farsi progetto compiuto, ma non c'è dubbio che il tentativo di andare oltre il Pd, in termini di coalizione e a prescindere dal modo in cui si rappresenta simbolicamente questo campo, è un tentativo da condividere».
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