A destra si legge: 'venite a vedere come è cambiato il pubblico dell'Opera di Roma', e a sinistra: 'male ha fatto il Presidente della Repubblica ( che non va neanche a Milano, alla Scala, per non offendere nessuno) e peggio il ministro Franceschini a disertare l'opera inaugurale della stagione 2015-2016 a Roma - The Bassarids di Henze, che si rivede in Italia dopo mezzo secolo e che perciò ha richiamato critici anche stranieri - perchè avrebbero constatato che il Teatro della Capitale non è più quel carrozzone che sempre si è detto e che è stato a lungo'.
Ormai i giornali elevano canti di gloria all'unisono, da quando si è intronato, all'indirizzo di Carlo Fuortes, il quale mai una critica negativa od un semplice appunto ha lambito, neanche marginalmente, da quando ha cominciato a Musica per Roma. Perfino nei giorni caldi della sua pazza idea di 'esternalizzare' orchestra e coro - una vera IDIOZIA!- perfino in quei giorni le critiche erano sommesse e solo a giorni alterni per non infastidire il 'nerone dell'opera' - appellativo che si stava guadagnando sul campo - e alcuni giornali lo fiancheggiavano addirittura. DA NON CREDERE.
Comunque dopo l'esperienza positivissima dell'opera inaugurale, l'Opera di Roma darà ancora una accelerata sulla programmazione che guada all'oggi e al domani perchè diventi - come lo specchio di Martone, nell'opera di Henze - immagine perfetta del mondo contemporaneo e squarcio sul futuro che ci attende, come, per il futuro imprevisto, è accaduto ai giovani, nell'opera di Adams, quando alzando gli occhi verso il soffitto, hanno visto il cielo, causa terremoto di San Francisco, ma la sala del Costanzi non proprio piena.
In questa prospettiva va letta la premiazione della nuova opera, uscita dal concorso di composizione bandito nel 2013, e concluso solo nel 2015 - poche settimane fa - del compositore Vittorio Montalti, libretto di Giuliano Compagno, dal titolo ' Un romano a Marte', premiato con la bella somma di 20.000 (VENTIMILA!!!) Euro, per la cui colletta si sono prodigati ENI, Deutsche Bank e Maite e Paolo Bulgari.
La quale opera verrà messa in scena nella stagione 2016-17, nell'ambito del progetto 'Contemporanea' che occuperà la stagione fra maggio e giugno a partire dal prossimo 2016, e dunque nell'estate del 2017, dopo cinque anni di attesa.
Quello della contemporaneità, insistiamo, è un pallino di Fuortes, che una analoga rassegna, ma non di teatro musicale, faceva svolgere anche all'Auditorium ( al suo interno si son visti soprattutto volare gli elicotteri di Stockhausen, muoversi sincronizzati i 100 metronomi di Ligeti, o sentito suonare per ventiquattrore di seguito lo stesso pezzettino di poche battute di Satie), affidandone la realizzazione e progettazione a Oscar Pizzo, che è poi volato a Palermo, lasciando orfano il sovrintendente che invece si consola con Giovanni Bietti, che sì è portato dietro dall'Auditorium, per le lezioni di presentazione delle opere.
Per arrivare alla proclamazione del vincitore ce n'è voluto di tempo, dopo l'uscita di Riccardo Muti, pezzo forte della giuria, la quale in seconda composizione, come previsto dal regolamento, dopo la prima scrematura, era composta dallo stesso Fuortes, in rappresentanza e per competenza della cassa, da Alessio Vlad, perchè ci doveva necessariamente essere in coppia con Battistelli, che ha spinto per questo concorso, e poi il regista Giorgio Barberio Corsetti e la poetessa Patrizia Cavalli.
Insomma la prima giuria, pur senza Muti, ha decretato la terna di finalisti; successivamente un sovrintendente, ben due direttori artistici, un regista ed una poetessa, seconda giuria, hanno incoronato il vincitore
P.S. Per la seconda volta, a quei ciucci dell'Opera di Roma, vogliamo segnalare un errore madornale che ricorre nella home page del sito del teatro laddove si annuncia lo sbarco di Vinicio Capossela in teatro. Del musicista si legge che è 'band lieder'. Asini! si scrive 'band leader'. CORREGGETE!
lunedì 30 novembre 2015
L'Opera di Roma non è più un carrozzone. Ma qualche asino c'è ancora.
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sabato 28 novembre 2015
Annunciazione, annunciazione. Una tecnica abusata che non convince.
Non riusiamo più a ricordare quante volte Alemanno, nel corso della sua permanenza in Campidoglio abbia inaugurato il cosiddetto 'Ponte della Musica', monumento allo spreco voluto, finanziato e fatto innalzare da Walter Veltroni a Roma, maestro dell'annunciazione quasi giornaliera, a rotta di collo. Anche Alemanno, per superare il suo maestro e predecessore, non s'è tirato mai indietro. Non ricordiamo le volte che lo si è annunciato prima che i lavori fossero definitivamente conclusi, ed il ponte aperto al traffico pedonale - ogni giorno lo attraverseranno al massimo un centinaio di persone, se pure. E poi, dopo annunci su annunci, la grande solenne inaugurazione del 'Ponte della Musica' che ha conservato tale denominazione, in quanto pensato per collegare il Foro italico, dalle parti dello stadio del tennis e dell'ISEF, all'Auditorium di Roma, ma alla quale una seconda se ne è aggiunta, per volere del colto Alemanno e di una nutrita truppa del generone romano, con il nome di 'Armando Trovajoli', da poco deceduto all'epoca, caldeggiata da tanti musicisti e non che frequentavano la sua villa all'Olgiata. Non che Trovajoli non meritasse una dedica, ma prima di lui, a Roma, in Italia, sarebbe stato più opportuno intitolare quel ponte che so a Verdi, o a Vivaldi, e se poi non si voleva scendere negli oscuri lontani anfratti della storia, perchè non a Nino Rota che senz'altro nel mondo è straconosciuto, molto più di Trovajoli che resta comunque, anche dopo l'intitolazione del Ponte della Musica, agli occhi del mondo uno sconosciuto (perchè non può essere una canzone, per quanto popolare, a renderlo immediatamente noto).
Ma ora ci interessa di più restare sul tema della tecnica degli 'annunci' cari a chi governa, specie quando riguardano imprese dal lungo iter ( che, a loro volta, permettono di parlarne tante volte) , dall'impegnativa realizzazione, e dall'inutile esistenza per la collettività.
Non fu ancora Alemanno che più d'una volta, tre almeno, in un anno o poco più, a sparare quel progetto che aveva in mente solo lui - e chi altri?- di trasformare una delle caserme di via Guido Reni in teatro? E sapete quale ragione vi adduceva? La ragione che l'Auditorium - che non aveva avuto la fortuna di inaugurare lui - di teatri non ne ha neanche uno, ma solo sale da concerto, e perchè, a suo modo di vedere, lui che l'Opera non la frequentava mai, il Costanzi e il Nazionale non erano più sufficienti ad ospitare l'intensissima attività lirica del teatro dell'Opera. Bastava aspettare qualche mese per capire che i due preesistenti teatri erano già troppo, per un teatro condannato dagli vertici che lui aveva voluto ed insediato, praticamente all'inattività e che quel progetto di Alemanno era una bufala.
Meno fanno e più le sparano grosse per coprire il vuoto della loto insignificante amministrazione. E' una tecnica collaudata dei nostri politici, compreso Renzi che la conosce alla perfezione e l'adopera.
Ci sono teatri d'opera italiani i cui sovrintendenti sparano ogni giorno annunci per qualunque cosa appena fatta, da fare, da progettare, o che mai si farà. Intanto beccatevi l'annuncio! Il teatro San Carlo di Napoli è un modello per tutti: la sovrintendente Purchia, e il direttore artistico Pinamonti non lasciano passare giorno senza annunci. Non importa quello che si annuncia, purchè si annunci. Ad esempio, il calendario 'educational' del teatro è il più fitto e importante del pianeta, così hanno annunciato. Ieri abbiamo segnalato come anche Fuortes, a Roma, se la batte con la Purchia, in fatto di annunci.
A tanto attivismo fa da pendant la totale assenza di alcuni enti dalla passerella dell'annunciazione; di alcuni teatri non sappiamo neanche se sono ancora aperti; mentre ve ne sono altri, e sono da imitare, i quali riservano tale tecnica, ridimensionata per decenza ed opportunità, alle imprese che lo meritano, abbassando invece i toni in tutti gli altri casi nei quali segnalerebbero nient'altro che la semplice routine, non sempre di livello, come invece dovrebbe anch'essa essere.
Tanto per non assistere anche noi muti, eccovi un annuncio. Senza voler stilare una nuova classifica, che lasciamo ad una rivista di musica che nelle classifiche si è specializzata, ma solo nelle classifiche, vorremmo poter registrare una volta, con criteri oggettivi, non come quelli infami e truffaldini del logaritmo usato da Nastasi quand'era al Ministero, di quanto è cresciuta la qualità di orchestre e cori italiani negli ultimi anni. Potremmo forse scoprire che orchestre e cori delle nostre fondazioni liriche stanno migliorando, perchè no? E se invece scoprissimo il contrario? Avremmo ragioni su ragioni per batterci perchè migliorino, sospendendo, per qualche tempo, gli infiniti annunci non veritieri.
Ma ora ci interessa di più restare sul tema della tecnica degli 'annunci' cari a chi governa, specie quando riguardano imprese dal lungo iter ( che, a loro volta, permettono di parlarne tante volte) , dall'impegnativa realizzazione, e dall'inutile esistenza per la collettività.
Non fu ancora Alemanno che più d'una volta, tre almeno, in un anno o poco più, a sparare quel progetto che aveva in mente solo lui - e chi altri?- di trasformare una delle caserme di via Guido Reni in teatro? E sapete quale ragione vi adduceva? La ragione che l'Auditorium - che non aveva avuto la fortuna di inaugurare lui - di teatri non ne ha neanche uno, ma solo sale da concerto, e perchè, a suo modo di vedere, lui che l'Opera non la frequentava mai, il Costanzi e il Nazionale non erano più sufficienti ad ospitare l'intensissima attività lirica del teatro dell'Opera. Bastava aspettare qualche mese per capire che i due preesistenti teatri erano già troppo, per un teatro condannato dagli vertici che lui aveva voluto ed insediato, praticamente all'inattività e che quel progetto di Alemanno era una bufala.
Meno fanno e più le sparano grosse per coprire il vuoto della loto insignificante amministrazione. E' una tecnica collaudata dei nostri politici, compreso Renzi che la conosce alla perfezione e l'adopera.
Ci sono teatri d'opera italiani i cui sovrintendenti sparano ogni giorno annunci per qualunque cosa appena fatta, da fare, da progettare, o che mai si farà. Intanto beccatevi l'annuncio! Il teatro San Carlo di Napoli è un modello per tutti: la sovrintendente Purchia, e il direttore artistico Pinamonti non lasciano passare giorno senza annunci. Non importa quello che si annuncia, purchè si annunci. Ad esempio, il calendario 'educational' del teatro è il più fitto e importante del pianeta, così hanno annunciato. Ieri abbiamo segnalato come anche Fuortes, a Roma, se la batte con la Purchia, in fatto di annunci.
A tanto attivismo fa da pendant la totale assenza di alcuni enti dalla passerella dell'annunciazione; di alcuni teatri non sappiamo neanche se sono ancora aperti; mentre ve ne sono altri, e sono da imitare, i quali riservano tale tecnica, ridimensionata per decenza ed opportunità, alle imprese che lo meritano, abbassando invece i toni in tutti gli altri casi nei quali segnalerebbero nient'altro che la semplice routine, non sempre di livello, come invece dovrebbe anch'essa essere.
Tanto per non assistere anche noi muti, eccovi un annuncio. Senza voler stilare una nuova classifica, che lasciamo ad una rivista di musica che nelle classifiche si è specializzata, ma solo nelle classifiche, vorremmo poter registrare una volta, con criteri oggettivi, non come quelli infami e truffaldini del logaritmo usato da Nastasi quand'era al Ministero, di quanto è cresciuta la qualità di orchestre e cori italiani negli ultimi anni. Potremmo forse scoprire che orchestre e cori delle nostre fondazioni liriche stanno migliorando, perchè no? E se invece scoprissimo il contrario? Avremmo ragioni su ragioni per batterci perchè migliorino, sospendendo, per qualche tempo, gli infiniti annunci non veritieri.
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venerdì 27 novembre 2015
SEGRETISSIMO. Il governo Renzi sta pensando di trasferire la Capitale da Roma a Firenze.
E non sarebbe la prima volta che Firenze si trova ad essere la capitale dello Stato italiano. Roma non regge più al gran traffico che il Governo Renzi ha impresso alla Capitale e che ha intasato soprattutto la tratta Firenze -Roma. E Roma? A Roma basta essere stata la capitale dell'Impero romano, la capitale d'Italia per oltre un secolo e mezzo, la capitale dello Stato pontificio per secoli e la Capitale della cristianità dagli inizi del Cristianesimo. Primati questi che nessuna decisione, trasferimento o spoliazione di titolo potrà strapparle.
La ragione del recente intasamento romano è dovuta alla calata di fiorentini e toscani nella Capitale chiamativi dal premier Renzi, e dalla indisponibilità di alloggi adeguati per i neoromani, essendo quasi tutti requisiti da potenti e miserabili, gli uni per i palazzi di Propaganda Fide, ai quali ovviamente avrebbero aspirato gli emigranti fiorentini, gli altri per quei tuguri mal messi del Comune.
A Roma non ci sono più case, e per fermare il traffico fra Firenze e Roma, meglio trasferire direttamente la Capitale a Firenze. Ma sono davvero tanti i fiorentini emigrati a Roma, per chiamata diretta del premier? Molti di più di quelli che si conoscono e che sono quelli messi da Renzi ai vertici delle istituzioni o a capo di importanti società. E che comunque sono già tanti.
Si va dalla capa dei vigili chiamata a dirigere il traffico di carte e decreti a Palazzo Chigi, all'ingegnere che aveva curato la privatizzazione di quei venti tram che scarrozzano i turisti a Firenze, che ora dirigerà il traffico ferroviario in Italia, e, forte dell'esperienza della privatizzazione tramviaria fiorentina, guiderà lo sbarco in borsa delle Ferrovie italiane. Per non parlare della Rai invasa da fiorentini ecc...ecc...
Tutti d'accordo per tale trasferimento che ora i ministri Padoan e Boschi stanno studiando fin nei minimi particolari ( la decisione nel prossimo consiglio dei ministri, prima di Natale), tranne uno: Papa Francesco che del trasferimento anche del Vaticano a Firenze non vuole sentir parlare.
Intanto Renzi d'accordo con il suo scudiero violinista, Nardella, sta predisponendo la sua città ad accogliere gli emigranti di ritorno (tutti i fiorentini ) e gli emigranti romani, per lo meno per i lavori più umili - ce ne sarà bisogno, od anche per quelli provvederanno altri fiorentini e toscani. Maledetti?
La prima decisione assunta dall'amministrazione comunale fiorentina, in vista di tale prossimo trasferimento è il cambio di destinazione di Palazzo Vecchio che sarà sede del Governo, ma anche e prima ancora il cambio di nome di tale storico palazzo, che da 'Palazzo vecchio', si chiamerà 'Palazzo nuovo'.
E per tutta la schiera di questuanti che ogni giorno fanno la fila per bussare alle porte del potere? Firenze in questo s'è già attrezzata. Ha una disponibilità alberghiera, in proporzione, superiore a Roma, come ha potuto dimostrare al mondo intero in questi giorni, quando ha ospitato gli invitati ad un matrimonio faraonico fra indiani che a casa hanno miseria che si taglia a pezzi e poi vogliono anche gli elefanti per la passeggiata nuziale lungo le strade che costeggiano l'Arno. Gli ospiti solo di questo matrimonio hanno occupato ben 600 stanze, senza che il normale traffico di turisti avesse a soffrirne.
E siamo certi che se avessero pagato il richiesto o preteso, Nardella, e Renzi interpellato , avrebbero acconsentito alla passeggiata con l'elefante. Come hanno acconsentito a che il matrimonio venisse celebrato in una storica piazza della città, dove sono stati impiantati per l'occasione dei gazebo, per la modica cifra di 50.000 Euro ( il matrimonio ai poveri indiani costerà la bellezza di 20 milioni di Euro) ed hanno fatto scorrazzare per la città cortei di super ricchi vestiti nelle fogge più strane, talune assai simili a quelle che il sindaco di Varese ha proibito con una stupida ordinanza nel perimetro del suo Comune.
La ragione del recente intasamento romano è dovuta alla calata di fiorentini e toscani nella Capitale chiamativi dal premier Renzi, e dalla indisponibilità di alloggi adeguati per i neoromani, essendo quasi tutti requisiti da potenti e miserabili, gli uni per i palazzi di Propaganda Fide, ai quali ovviamente avrebbero aspirato gli emigranti fiorentini, gli altri per quei tuguri mal messi del Comune.
A Roma non ci sono più case, e per fermare il traffico fra Firenze e Roma, meglio trasferire direttamente la Capitale a Firenze. Ma sono davvero tanti i fiorentini emigrati a Roma, per chiamata diretta del premier? Molti di più di quelli che si conoscono e che sono quelli messi da Renzi ai vertici delle istituzioni o a capo di importanti società. E che comunque sono già tanti.
Si va dalla capa dei vigili chiamata a dirigere il traffico di carte e decreti a Palazzo Chigi, all'ingegnere che aveva curato la privatizzazione di quei venti tram che scarrozzano i turisti a Firenze, che ora dirigerà il traffico ferroviario in Italia, e, forte dell'esperienza della privatizzazione tramviaria fiorentina, guiderà lo sbarco in borsa delle Ferrovie italiane. Per non parlare della Rai invasa da fiorentini ecc...ecc...
Tutti d'accordo per tale trasferimento che ora i ministri Padoan e Boschi stanno studiando fin nei minimi particolari ( la decisione nel prossimo consiglio dei ministri, prima di Natale), tranne uno: Papa Francesco che del trasferimento anche del Vaticano a Firenze non vuole sentir parlare.
Intanto Renzi d'accordo con il suo scudiero violinista, Nardella, sta predisponendo la sua città ad accogliere gli emigranti di ritorno (tutti i fiorentini ) e gli emigranti romani, per lo meno per i lavori più umili - ce ne sarà bisogno, od anche per quelli provvederanno altri fiorentini e toscani. Maledetti?
La prima decisione assunta dall'amministrazione comunale fiorentina, in vista di tale prossimo trasferimento è il cambio di destinazione di Palazzo Vecchio che sarà sede del Governo, ma anche e prima ancora il cambio di nome di tale storico palazzo, che da 'Palazzo vecchio', si chiamerà 'Palazzo nuovo'.
E per tutta la schiera di questuanti che ogni giorno fanno la fila per bussare alle porte del potere? Firenze in questo s'è già attrezzata. Ha una disponibilità alberghiera, in proporzione, superiore a Roma, come ha potuto dimostrare al mondo intero in questi giorni, quando ha ospitato gli invitati ad un matrimonio faraonico fra indiani che a casa hanno miseria che si taglia a pezzi e poi vogliono anche gli elefanti per la passeggiata nuziale lungo le strade che costeggiano l'Arno. Gli ospiti solo di questo matrimonio hanno occupato ben 600 stanze, senza che il normale traffico di turisti avesse a soffrirne.
E siamo certi che se avessero pagato il richiesto o preteso, Nardella, e Renzi interpellato , avrebbero acconsentito alla passeggiata con l'elefante. Come hanno acconsentito a che il matrimonio venisse celebrato in una storica piazza della città, dove sono stati impiantati per l'occasione dei gazebo, per la modica cifra di 50.000 Euro ( il matrimonio ai poveri indiani costerà la bellezza di 20 milioni di Euro) ed hanno fatto scorrazzare per la città cortei di super ricchi vestiti nelle fogge più strane, talune assai simili a quelle che il sindaco di Varese ha proibito con una stupida ordinanza nel perimetro del suo Comune.
Opera di Roma. Miracolo Fuortes.
Sugli altarini costruiti in città, nel teatro del Costanzi, ma anche dalle parti del Campidoglio e Palazzo Chigi - i tre siti archeologici, moderne catacombe - nei quali si venera la fortuna di Carlo Fuortes, stasera i suoi devoti fedeli aggiungeranno ancora un ex voto, per l'ultimo miracolo di cui si ha notizia: inaugurazione della stagione con un'opera di autore contemporaneo, Henze, composta negli ultimi cinquant'anni, anzi sessanta e data l'ultima volta alla Scala, nel secolo precedente.
L'inaugurazione con l'opera di Henze è stata strombazzata più d'una volta anche in queste ultime settimane, ad opera del venerato Carlo Fuortes che ha elencato, con la modestia che lo ha sempre contraddistinto, che l'Opera sotto la sua protezione e devozione, è diventata la prima istituzione culturale della Capitale, avendo aumentato del 25% gli spettatori e portato a 10 milioni lordi gli incassi. In un sol anno, il che ha permesso all'Opera di superare nei risultati perfino il suo precedente principato e cioè Musica per Roma e la fabbrica dell'Auditorium che , per Fuortes, resta sempre, anche se sorpassato, un modello.
E, infatti, appena archiviata l'inaugurazione di stasera, nella quale già si potrà vedere la rivoluzione che sta investendo sotto ogni aspetto il vecchio Costanzi, e cioè i nuovi bar e la nuova biglietteria, un'altra provvidenziale iniziativa pioverà in capo all'Opera: l'apertura di un ristorante, modello Auditorium, dove i ristoranti e bar, tutti in un sol mucchio, sono gestiti dalla ditta della figlia e del genero di Gianni Letta - per lo meno lo erano fino all'altro ieri, non sappiamo se ora, essendo Gianni Letta addirittura vicepresidente dell'Accademia di Santa Cecilia oltre che membro del Consiglio di amministrazione, per ragioni di semplice decenza, abbiano mutato il gestore.
Fuortes vuole impiantare all'Opera due o tre bar ed un ristorante per rifocillare anche gli animi dei suoi spettatori. E, per il ristorante, sta attendendo l'ok della sovrintendenza alla quale ha chiesto di poterlo impiantare, allargandosi notevolmente con nuova occupazione di suolo pubblico, nel piazzale antistante il teatro, ben noto a tutti per la sua inospitalità. Carlo Fuortes è certo che all'Opera di Roma ogni giorno piomberanno frotte di turisti e visitatori anche fuori dell'orario di spettacolo e ad essi egli vuole offrire, (con modica cifra, almeno si spera) un pranzo per rifocillarsi, ed anche un bar per il caffè d'ordinanza.
Come all'Auditorium - dove oltre le sale da concerto c'è un piccolo museo, ed anche una libreria, e nei vari periodi dell'anno feste e festival d'ogni genere e piste di pattinaggio, e mostre agricole e floreali, con un gran concorso di pubblico specie nei fine settimana e nei giorni di concerto, ma in proporzione ridotta, anche negli altri giorni infrasettimanali - aspettiamoci altre insospettabili novità dalle prossime conferenze stampa, una a settimana, per annunciare l'idea di sempre più frequenti miracoli, poi per assicurare che sta lavorando per compierli, un'altra per annunciare il 'fine lavori', ed infine una per l'inaugurazione. Dopo un mese ancora una conferenza stampa, estrema, per dirci che è stato un successo.
Insomma l'Opera, che ha superato per incassi l'Auditorium, si rivolge ancora una volta ad esso per trarre suggerimenti onde allargare la massa dei fedelissimi di Fuortes, che sono già tanti, lo adorano e non si sono ancora ripresi dalla decisione di quei senzafede che prima l'hanno candidato e poi non l'hanno più voluto a reggere le sorti del Giubileo sotto il profilo della cultura, lui che vanta i suoi primi miracoli proprio nel campo dell'economia della cultura.
L'inaugurazione con l'opera di Henze è stata strombazzata più d'una volta anche in queste ultime settimane, ad opera del venerato Carlo Fuortes che ha elencato, con la modestia che lo ha sempre contraddistinto, che l'Opera sotto la sua protezione e devozione, è diventata la prima istituzione culturale della Capitale, avendo aumentato del 25% gli spettatori e portato a 10 milioni lordi gli incassi. In un sol anno, il che ha permesso all'Opera di superare nei risultati perfino il suo precedente principato e cioè Musica per Roma e la fabbrica dell'Auditorium che , per Fuortes, resta sempre, anche se sorpassato, un modello.
E, infatti, appena archiviata l'inaugurazione di stasera, nella quale già si potrà vedere la rivoluzione che sta investendo sotto ogni aspetto il vecchio Costanzi, e cioè i nuovi bar e la nuova biglietteria, un'altra provvidenziale iniziativa pioverà in capo all'Opera: l'apertura di un ristorante, modello Auditorium, dove i ristoranti e bar, tutti in un sol mucchio, sono gestiti dalla ditta della figlia e del genero di Gianni Letta - per lo meno lo erano fino all'altro ieri, non sappiamo se ora, essendo Gianni Letta addirittura vicepresidente dell'Accademia di Santa Cecilia oltre che membro del Consiglio di amministrazione, per ragioni di semplice decenza, abbiano mutato il gestore.
Fuortes vuole impiantare all'Opera due o tre bar ed un ristorante per rifocillare anche gli animi dei suoi spettatori. E, per il ristorante, sta attendendo l'ok della sovrintendenza alla quale ha chiesto di poterlo impiantare, allargandosi notevolmente con nuova occupazione di suolo pubblico, nel piazzale antistante il teatro, ben noto a tutti per la sua inospitalità. Carlo Fuortes è certo che all'Opera di Roma ogni giorno piomberanno frotte di turisti e visitatori anche fuori dell'orario di spettacolo e ad essi egli vuole offrire, (con modica cifra, almeno si spera) un pranzo per rifocillarsi, ed anche un bar per il caffè d'ordinanza.
Come all'Auditorium - dove oltre le sale da concerto c'è un piccolo museo, ed anche una libreria, e nei vari periodi dell'anno feste e festival d'ogni genere e piste di pattinaggio, e mostre agricole e floreali, con un gran concorso di pubblico specie nei fine settimana e nei giorni di concerto, ma in proporzione ridotta, anche negli altri giorni infrasettimanali - aspettiamoci altre insospettabili novità dalle prossime conferenze stampa, una a settimana, per annunciare l'idea di sempre più frequenti miracoli, poi per assicurare che sta lavorando per compierli, un'altra per annunciare il 'fine lavori', ed infine una per l'inaugurazione. Dopo un mese ancora una conferenza stampa, estrema, per dirci che è stato un successo.
Insomma l'Opera, che ha superato per incassi l'Auditorium, si rivolge ancora una volta ad esso per trarre suggerimenti onde allargare la massa dei fedelissimi di Fuortes, che sono già tanti, lo adorano e non si sono ancora ripresi dalla decisione di quei senzafede che prima l'hanno candidato e poi non l'hanno più voluto a reggere le sorti del Giubileo sotto il profilo della cultura, lui che vanta i suoi primi miracoli proprio nel campo dell'economia della cultura.
giovedì 26 novembre 2015
Tanti lasciano. Lascia Ezio Mauro, lascia Mario calabresi ( La stampa), lascia Adriano Sofri, lascia Elisabetta Sgarbi. E ( forse) lasceranno anche Sallusti e Mulè
Dopo vent'anni di direzione ininterrotta del quotidiano La repubblica, Ezio Mauro lascia il timone del quotidiano, chi viene impugnato dalle mani di Mario Calabresi che lascia, a sua volta, la direzione del La Stampa e torna a Repubblica dove aveva già lavorato, per assumerne, questa volta, la direzione. E proseguono così gli amorosi scambi - che tanto amorosi non sono - fra i due quotidiani in mano al grande capitale. Cosa farà Ezio Mauro, a 67 anni, una volta andato via da Repubblica - qualcuno se lo chiede, ma neppure con tanto entusiasmo; sicuramente non lo vedremo su una panchina nei giardinetti di Roma o Torino a leggere i giornali che altri fanno, da contento pensionato. Comunque noi non siamo preoccupati per il suo futuro.
Chi andrà alla Stampa, avendo lasciato quale altro giornale? Di Calabresi 'piglia tutto' si parla da molto tempo: lo si è dato candidato in Rai, ai vertici, come anche alla direzione di molti giornali. Adesso arriva al più importante giornale-partito che sarà non facile rivoltare secondo gli intenti suoi della proprietà e della redazione, avendo egli le stesse difficoltà che ha Renzi con il partito di cui è segretario.
A ruota lasca anche Adriano Sofri, ma non - come ha dichiarato dal lontano Afganistan, dove ora si trova - come ha detto lui, e cioè per seguire Mauro fuori dal giornale, al quale il direttore uscente l'aveva chiamato a collaborarvi, bensì perchè non può collaborare, per ragioni di decenza e di opportunità ma anche per un briciolo di moralità civile, al giornale diretto da Mario Calabresi, figlio di Luigi, per il cui assassinio, Sofri è stato condannato.
Nel frattempo un altro pezzo grosso della carta stampata - in questo caso libri - Elisabetta Sgarbi, attivissima animatrice della vita culturale italiana, anche attraverso la sua responsabilità in Bompiani e non solo, lascia Bompiani e fonda una nuova impresa, 'La nave di Teseo', sulla quale ha imbarcato, per loro volontà, alcuni nomi importanti della casa editrice. Anche in questo caso non si tratta di normale avvicendamento ma di reazione a nuovi assetti proprietari ( Rizzoli acquistata da Mondadori) che concentrano in casa Mondadori, oltre il 35% dell'intero mercato editoriale italiano.
Mentre per il cambio a Repubblica ha avuto un ruolo l'agitazione interna alla sinistra ed il suo nuovo assetto, nel caso di Elisabetta Sgarbi, si è voluto protestare contro un solo editore al quale il paese affida le sorti della sua editoria. La Sgarbi ha dichiarato che non temeva censure nella cosiddetta 'Mondazzoli' appena battezzata. E probabilmente non ve ne sarebbero state di evidenti e palesi, però... di reali, anche se tacitate, certamente sì. E anche per questo lei lascia.
A breve si potrebbe anche sapere del prossimo avvicendamento alla direzione de Il Giornale, essendo Sallusti candidato sindaco in pectore della città di Milano. E, a ruota, Giorgio Mulè, con un rimescolamento 'domestico' fra i giornali Mondadori lascerebbe Panorama - i settimanali politici tutti attraversano una grave e lunga crisi di identità ed anche di vendite e pubblicità - per approdare al Giornale. E Panorama? Ci penseranno dopo, quando il passaggio di consegne sarà certo e definito nei tempi.
P.S. Maurizio Molinari sarà il nuovo direttore de La Stampa. Anche Molinari, che viene dalla stessa famiglia della Stampa, è noto soprattutto per i suoi reportage dall'estero. Il che conferma che la politica oggi ed anche domani si gioca sui rapporti fra paesi e potenze mondiali. Prosegue la linea che aveva portato a repubblica Ezio Mauro, e alla Stampa Mario Calabresi, tutti corrispondenti esteri.
Chi andrà alla Stampa, avendo lasciato quale altro giornale? Di Calabresi 'piglia tutto' si parla da molto tempo: lo si è dato candidato in Rai, ai vertici, come anche alla direzione di molti giornali. Adesso arriva al più importante giornale-partito che sarà non facile rivoltare secondo gli intenti suoi della proprietà e della redazione, avendo egli le stesse difficoltà che ha Renzi con il partito di cui è segretario.
A ruota lasca anche Adriano Sofri, ma non - come ha dichiarato dal lontano Afganistan, dove ora si trova - come ha detto lui, e cioè per seguire Mauro fuori dal giornale, al quale il direttore uscente l'aveva chiamato a collaborarvi, bensì perchè non può collaborare, per ragioni di decenza e di opportunità ma anche per un briciolo di moralità civile, al giornale diretto da Mario Calabresi, figlio di Luigi, per il cui assassinio, Sofri è stato condannato.
Nel frattempo un altro pezzo grosso della carta stampata - in questo caso libri - Elisabetta Sgarbi, attivissima animatrice della vita culturale italiana, anche attraverso la sua responsabilità in Bompiani e non solo, lascia Bompiani e fonda una nuova impresa, 'La nave di Teseo', sulla quale ha imbarcato, per loro volontà, alcuni nomi importanti della casa editrice. Anche in questo caso non si tratta di normale avvicendamento ma di reazione a nuovi assetti proprietari ( Rizzoli acquistata da Mondadori) che concentrano in casa Mondadori, oltre il 35% dell'intero mercato editoriale italiano.
Mentre per il cambio a Repubblica ha avuto un ruolo l'agitazione interna alla sinistra ed il suo nuovo assetto, nel caso di Elisabetta Sgarbi, si è voluto protestare contro un solo editore al quale il paese affida le sorti della sua editoria. La Sgarbi ha dichiarato che non temeva censure nella cosiddetta 'Mondazzoli' appena battezzata. E probabilmente non ve ne sarebbero state di evidenti e palesi, però... di reali, anche se tacitate, certamente sì. E anche per questo lei lascia.
A breve si potrebbe anche sapere del prossimo avvicendamento alla direzione de Il Giornale, essendo Sallusti candidato sindaco in pectore della città di Milano. E, a ruota, Giorgio Mulè, con un rimescolamento 'domestico' fra i giornali Mondadori lascerebbe Panorama - i settimanali politici tutti attraversano una grave e lunga crisi di identità ed anche di vendite e pubblicità - per approdare al Giornale. E Panorama? Ci penseranno dopo, quando il passaggio di consegne sarà certo e definito nei tempi.
P.S. Maurizio Molinari sarà il nuovo direttore de La Stampa. Anche Molinari, che viene dalla stessa famiglia della Stampa, è noto soprattutto per i suoi reportage dall'estero. Il che conferma che la politica oggi ed anche domani si gioca sui rapporti fra paesi e potenze mondiali. Prosegue la linea che aveva portato a repubblica Ezio Mauro, e alla Stampa Mario Calabresi, tutti corrispondenti esteri.
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lunedì 23 novembre 2015
Valeria Solesin. L'esempio di suo padre, insegnante
Fino ad una decina di giorni fa neanche il nome di Valeria Solesin conoscevamo. Lo conoscevano, oltre i suoi familiari, i suoi professori che ne hanno ricordato il valore di studente, i suoi compagni di studio alla Sorbona, dove si era recata per il dottorato, e le agenzie di solidarietà internazionali che l'avevano vista attiva nelle fila dei cooperanti.
La tragica carneficina dei militanti dell'ISIS al Bataclan, ce l' ha fatta conoscere, mostrandoci anche il suo viso luminoso, bellissimo. Una delle tante giovani di valore, italiana - ma ve ne sono in ogni parte del mondo - che meriterebbero ben altro spazio, mentre solitamente ci sentiamo raccontare storie di genti ed imprese inutili ed insignificanti.
Il ritorno della sua salma in Italia, ed il funerale programmato per domani, in piazza San Marco a Venezia, ci hanno fatto conoscere anche i suoi genitori, privilegiando fra i due il padre, insegnante, preside di un istituto superiore.
E la nostra meraviglia ed ammirazione è raddoppiata. Un insegnante, dirigente scolastico (come oggi si dice) che incarna perfettamente la grande tradizione della nostra migliore scuola pubblica, della quale non possiamo che essere orgogliosi, come orgogliosi siamo diventati di sua figlia, che prima non conoscevamo, caduta barbaramente a Parigi, ma il cui esempio sarà difficile dimenticare.
Il padre di Valeria rappresenta ciò che erano gli insegnanti e ciò che vorremmo fossero sempre. Un uomo con grande dignità, pacato, composto, che non imbraccia l'arma, facile, della vendetta e che di fronte al grande dolore per la morte della figlia, invita caldamente tutti alla solidarietà.Siamo sicuri che egli è stato nella sua professione, un ottimo educatore.
Questi rappresentanti di un mondo ritenuto giurassico, vanno sostenuti, per evitare che anche la scuola sia inondata da gente inutile, senza valore, incapace di trasmettere professionalità e di costituire esempio vivente di civiltà e cultura per le giovani generazioni.
Lo diciamo avendo presente l'ambiente attuale di molte istituzioni scolastiche, nelle quali abbiamo passato la gran parte della nostra vita professionale, e che oggi vediamo affidate a dirigenti, incapaci, grigi, ed anche ottusi, quasi sempre sostenuti dalle organizzazioni sindacali nelle quali, molto di rado, abbiamo verificato la presenza di persone e professionisti di valore.
La tragica carneficina dei militanti dell'ISIS al Bataclan, ce l' ha fatta conoscere, mostrandoci anche il suo viso luminoso, bellissimo. Una delle tante giovani di valore, italiana - ma ve ne sono in ogni parte del mondo - che meriterebbero ben altro spazio, mentre solitamente ci sentiamo raccontare storie di genti ed imprese inutili ed insignificanti.
Il ritorno della sua salma in Italia, ed il funerale programmato per domani, in piazza San Marco a Venezia, ci hanno fatto conoscere anche i suoi genitori, privilegiando fra i due il padre, insegnante, preside di un istituto superiore.
E la nostra meraviglia ed ammirazione è raddoppiata. Un insegnante, dirigente scolastico (come oggi si dice) che incarna perfettamente la grande tradizione della nostra migliore scuola pubblica, della quale non possiamo che essere orgogliosi, come orgogliosi siamo diventati di sua figlia, che prima non conoscevamo, caduta barbaramente a Parigi, ma il cui esempio sarà difficile dimenticare.
Il padre di Valeria rappresenta ciò che erano gli insegnanti e ciò che vorremmo fossero sempre. Un uomo con grande dignità, pacato, composto, che non imbraccia l'arma, facile, della vendetta e che di fronte al grande dolore per la morte della figlia, invita caldamente tutti alla solidarietà.Siamo sicuri che egli è stato nella sua professione, un ottimo educatore.
Questi rappresentanti di un mondo ritenuto giurassico, vanno sostenuti, per evitare che anche la scuola sia inondata da gente inutile, senza valore, incapace di trasmettere professionalità e di costituire esempio vivente di civiltà e cultura per le giovani generazioni.
Lo diciamo avendo presente l'ambiente attuale di molte istituzioni scolastiche, nelle quali abbiamo passato la gran parte della nostra vita professionale, e che oggi vediamo affidate a dirigenti, incapaci, grigi, ed anche ottusi, quasi sempre sostenuti dalle organizzazioni sindacali nelle quali, molto di rado, abbiamo verificato la presenza di persone e professionisti di valore.
domenica 22 novembre 2015
Pappano 'dieci e lode'. Una mostra ed un libro celebrativi. Dimenticheranno qualcosa gli esperti cronisti?
Sabato l'Accademia di Santa Cecilia ha celebrato, come abbiamo appreso dai giornali, con una mostra ed un libro, dal medesimo titolo 'Pappano 10 e lode', i primi dieci anni di permanenza di Tony Pappano, sul podio della sua Orchestra sinfonica. Nominato direttore musicale nell'aprile del 2003, da Luciano Berio, ancora per poche settimane sovrintendente dell'Accademia, già gravemente malato.
La mostra ed il libro celebrano i fasti di Pappano e, insieme a lui, dell'Orchestra con la quale il direttore, amatissimo dai romani, ha stabilito un rapporto di tale intensità che gli fa considerare l'orchestra romana, più sua di quella del Covent Garden, dove Pappano è approdato un anno prima e dove tuttora resta guida musicale, e principale animatore artistico, parallelamente alla istituzione romana.
Di questi dieci anni vissuti insieme, neppure tanto pericolosamente visti da un osservatore esterno, il libro, più della mostra - che fissa, invece, soltanto alcuni momenti della sua attività, per la gioia soprattutto degli occhi - sicuramente racconterà ogni cosa, perchè ne resti traccia in futuro. Chissà se nulla verrà tralasciato per dovere ed amore di completezza, nel racconto della storia di questa unione che prosegue e che durerà, almeno sulla carta, fino al 2019, avendo superando la fatidica, critica scadenza dei sette anni.
Non dimenticheranno i due fidatissimi cronisti cui l'Accademia ha affidato il compito di raccontare le gesta del direttore e della sua orchestra, ordinatissima nello schieramento sul campo, Annalisa Bini e Umberto Nicoletti Altimari, come iniziò la storia, i primi contatti, le prime interviste, alcune anche clamorose, ed altro ancora.
Ad esempio, non dimenticheranno che una delle primissime interviste, se non addirittura la prima rilasciata ad un giornale italiano, neppure un mese dopo la sua nomina, avvenne a Londra nel suo studio al Covent Garden (uscita poi su 'Il Giornale') con la sua prima dichiarazione d'amore per l'orchestra romana.
Maestro, tanto entusiasmo per la l'incarico romano... sembra esagerato, fuori luogo, perché in fondo "l'orchestra di santa Cecilia non è mica quella dei Wiener Philharmoniker"- gli faceva notare l'intervistatore. Prontissima e spontanea la risposta del direttore incaricato:"Sì, anch' io non sono Karajan".
Nella sua immediatezza fotografava l'entusiasmo con cui Pappano accettava l'incarico romano che, come si è poi visto, gli sta recando onori e fama anche maggiori dell'incarico londinese.
Non dimenticheranno i due fidatissimi cronisti che la sua prima biografia , intitolata semplicemente 'Tony Pappano, direttore d'orchestra', per i tipi della Skira, apparve nel 2007, a meno di due anni dal suo insediamento ufficiale (ottobre 2005) sul podio dell'Orchestra dell'Accademia: fatto abbastanza inusuale per un direttore che all'epoca non aveva neppure cinquant'anni, benché con una storia professionale stabile, guadagnata con sudore e dedizione, già di una quindicina d'anni.
Certamente non dimenticheranno questi particolari e molti altri.
Lo si fa presente perché già altra volta qualche dimenticanza ha colpito soprattutto quella biografia, raccontata con lo stile asciutto del cronista e il linguaggio dei numeri, la cui presentazione ufficiale venne dall'allora sovrintendente ceciliano, Bruno Cagli, procrastinata di mesi, senza spiegazione; ed una volta effettuata, neppure citata nell'annuario dell'Accademia che raccontava giorno dopo giorno le gesta dell'orchestra del suo direttore e di chiunque altro, ed ogni attività, anche semplicemente ospitata, della istituzione. Tutto veniva menzionato su quell'annuario, tranne quella biografia, evidentemente considerata 'dannata' dal sovrintendente.
E l'episodio potrebbe ripetersi anche oggi che alla sovrintendenza siede persona allevata da Cagli e, fatto ancora più rilevante, sconfitto in tribunale dall'autore di quella biografia che l'attuale sovrintendente, allora dirigente RAI, aveva denunciato per diffamazione.
La mostra ed il libro celebrano i fasti di Pappano e, insieme a lui, dell'Orchestra con la quale il direttore, amatissimo dai romani, ha stabilito un rapporto di tale intensità che gli fa considerare l'orchestra romana, più sua di quella del Covent Garden, dove Pappano è approdato un anno prima e dove tuttora resta guida musicale, e principale animatore artistico, parallelamente alla istituzione romana.
Di questi dieci anni vissuti insieme, neppure tanto pericolosamente visti da un osservatore esterno, il libro, più della mostra - che fissa, invece, soltanto alcuni momenti della sua attività, per la gioia soprattutto degli occhi - sicuramente racconterà ogni cosa, perchè ne resti traccia in futuro. Chissà se nulla verrà tralasciato per dovere ed amore di completezza, nel racconto della storia di questa unione che prosegue e che durerà, almeno sulla carta, fino al 2019, avendo superando la fatidica, critica scadenza dei sette anni.
Non dimenticheranno i due fidatissimi cronisti cui l'Accademia ha affidato il compito di raccontare le gesta del direttore e della sua orchestra, ordinatissima nello schieramento sul campo, Annalisa Bini e Umberto Nicoletti Altimari, come iniziò la storia, i primi contatti, le prime interviste, alcune anche clamorose, ed altro ancora.
Ad esempio, non dimenticheranno che una delle primissime interviste, se non addirittura la prima rilasciata ad un giornale italiano, neppure un mese dopo la sua nomina, avvenne a Londra nel suo studio al Covent Garden (uscita poi su 'Il Giornale') con la sua prima dichiarazione d'amore per l'orchestra romana.
Maestro, tanto entusiasmo per la l'incarico romano... sembra esagerato, fuori luogo, perché in fondo "l'orchestra di santa Cecilia non è mica quella dei Wiener Philharmoniker"- gli faceva notare l'intervistatore. Prontissima e spontanea la risposta del direttore incaricato:"Sì, anch' io non sono Karajan".
Nella sua immediatezza fotografava l'entusiasmo con cui Pappano accettava l'incarico romano che, come si è poi visto, gli sta recando onori e fama anche maggiori dell'incarico londinese.
Non dimenticheranno i due fidatissimi cronisti che la sua prima biografia , intitolata semplicemente 'Tony Pappano, direttore d'orchestra', per i tipi della Skira, apparve nel 2007, a meno di due anni dal suo insediamento ufficiale (ottobre 2005) sul podio dell'Orchestra dell'Accademia: fatto abbastanza inusuale per un direttore che all'epoca non aveva neppure cinquant'anni, benché con una storia professionale stabile, guadagnata con sudore e dedizione, già di una quindicina d'anni.
Certamente non dimenticheranno questi particolari e molti altri.
Lo si fa presente perché già altra volta qualche dimenticanza ha colpito soprattutto quella biografia, raccontata con lo stile asciutto del cronista e il linguaggio dei numeri, la cui presentazione ufficiale venne dall'allora sovrintendente ceciliano, Bruno Cagli, procrastinata di mesi, senza spiegazione; ed una volta effettuata, neppure citata nell'annuario dell'Accademia che raccontava giorno dopo giorno le gesta dell'orchestra del suo direttore e di chiunque altro, ed ogni attività, anche semplicemente ospitata, della istituzione. Tutto veniva menzionato su quell'annuario, tranne quella biografia, evidentemente considerata 'dannata' dal sovrintendente.
E l'episodio potrebbe ripetersi anche oggi che alla sovrintendenza siede persona allevata da Cagli e, fatto ancora più rilevante, sconfitto in tribunale dall'autore di quella biografia che l'attuale sovrintendente, allora dirigente RAI, aveva denunciato per diffamazione.
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Ci risiamo con la CGIL. Alla Scala.
Ricordate l'ammutinamento dei minoritari dipendenti iscritti alla CGIL dell'Opera di Roma che avevano deciso, in aperto disaccordo con le altre sigle sindacali, CISL e UIL, che costituivano la maggioranza degli iscritti fra i lavoratori dell'Opera di Roma, di affondare la nave? E ricordate che, poi, l'allora timoniere minacciava di salvarla, mandando ancora più a fondo la stessa nave, opponendo agli scioperanti - una minoranza, una parte esigua della ciurma che il capo pirata poteva con diverse maniere anche ricondurre a meno bellicosi pensieri - l'esternalizzazione dei lavoratori preposti alla sua navigazione artistica? Beh, tutta quella brutta storia che esposero il timoniere di allora, ancora al comando per meriti acquisiti sul campo - anzi, in mare - si risolse con un buco nell'acqua, che in mare non è difficile fare: quando l'insano proposito risolutorio del timoniere, dal mondo intero criticato, rientrò, la ciurma ritornò a ramazzare la nave ed a tirar su le vele per la ripresa della navigazione. Che ora, miracolosamente, prosegue spedita. Boh!
Quella stessa sigla sindacale ha già fatto qualche guaio a Milano ed un altro ancora ne minaccia, Ha fatto saltare, alla Scala, non più tardi di una decina di giorni fa uno spettacolo di balletto con Bolle ed una stella ospite, quando il sovrintendente s'era detto convinto che con i tecnici restanti, quelli che non intendevano scioperare, il balletto sarebbe andato in scena. Ed invece no, le convinzioni del timoniere scaligero si sono scontrate - probabilmente - con la capacità di far proseliti della minuta ciurma della CGIL del teatro milanese, che lamentava la mancanza di personale fra i tecnici di palcoscenico.
Ora quella ciurmetta si rifa viva e minaccia scioperi durante le prove, ma rassicura sulla prima, a Sant'Ambrogio, della Giovanna D'Arco verdiana che Chailly sta concertando nel suo primo anno da direttore musicale della Scala - ma il suo incarico, formalmente, attende le dimissioni, anticipate, da Lipsia. E le ragioni dell'agitazione stanno sempre nella richiesta, non esaudita, di assumere altri tecnici di palcoscenico, necessari, a loro dire.
Certo è assai curioso che proprio quando il governo, su spinta anche di Franceschini - sarà vero?- ha varato la legge che equipara musei monumenti e siti archeologici ai servizi pubblici, con conseguenti leggi più restrittive sulle agitazioni sindacali, sono ripresi scioperi ed assemblee durante l'orario di lavoro nei siti archeologici, nei musei e nei monumenti più importanti di Roma ( Colosseo e Foro romano, fra i più importanti) ed anche nei teatri, come insegna la Scala. Da non equiparare ai musei per nessuna ragione, salvo quando per colpa di un pugno di agitati della ciurma, la nave della musica, dopo le mazzate di Nastasi, dovesse andare a sbattere sugli scogli, affondando, e chiudendola ai naviganti.
P.S apprendiamo che gli scioperi alla Scala sono stati sospesi, la sovrintendenza ha accolto le richieste dei lavoratori, quanto meno ha raggiunto un accordo.
Quella stessa sigla sindacale ha già fatto qualche guaio a Milano ed un altro ancora ne minaccia, Ha fatto saltare, alla Scala, non più tardi di una decina di giorni fa uno spettacolo di balletto con Bolle ed una stella ospite, quando il sovrintendente s'era detto convinto che con i tecnici restanti, quelli che non intendevano scioperare, il balletto sarebbe andato in scena. Ed invece no, le convinzioni del timoniere scaligero si sono scontrate - probabilmente - con la capacità di far proseliti della minuta ciurma della CGIL del teatro milanese, che lamentava la mancanza di personale fra i tecnici di palcoscenico.
Ora quella ciurmetta si rifa viva e minaccia scioperi durante le prove, ma rassicura sulla prima, a Sant'Ambrogio, della Giovanna D'Arco verdiana che Chailly sta concertando nel suo primo anno da direttore musicale della Scala - ma il suo incarico, formalmente, attende le dimissioni, anticipate, da Lipsia. E le ragioni dell'agitazione stanno sempre nella richiesta, non esaudita, di assumere altri tecnici di palcoscenico, necessari, a loro dire.
Certo è assai curioso che proprio quando il governo, su spinta anche di Franceschini - sarà vero?- ha varato la legge che equipara musei monumenti e siti archeologici ai servizi pubblici, con conseguenti leggi più restrittive sulle agitazioni sindacali, sono ripresi scioperi ed assemblee durante l'orario di lavoro nei siti archeologici, nei musei e nei monumenti più importanti di Roma ( Colosseo e Foro romano, fra i più importanti) ed anche nei teatri, come insegna la Scala. Da non equiparare ai musei per nessuna ragione, salvo quando per colpa di un pugno di agitati della ciurma, la nave della musica, dopo le mazzate di Nastasi, dovesse andare a sbattere sugli scogli, affondando, e chiudendola ai naviganti.
P.S apprendiamo che gli scioperi alla Scala sono stati sospesi, la sovrintendenza ha accolto le richieste dei lavoratori, quanto meno ha raggiunto un accordo.
venerdì 20 novembre 2015
Incapacità ed idiozie di chi ci governa e di chi dovrebbe proteggerci.
Più passa il tempo e più ci rendiamo conto che di qua e di là dall'Oceano, abbiamo messo il nostro destino nelle mani di incapaci, irresponsabili, e qualche volta anche autentici idioti.
Due casi negli ultimi tragici giorni degli attentati parigini
Innanzitutto l'FBI. Fa sapere che Roma e Milano sono possibili obiettivi di futuri attacchi dell'ISIS - secondo quel che riferiscono i giornali; e che, in particolare, nelle due città, gli obiettivi più sensibili sarebbero San Pietro, La Scala, il Duomo - fornendo indicazioni simili a quelle che una qualunque guida turistica consiglia ai visitatori delle due belle città. La scoperta dell'America, o la scoperta degli americani. A cosa servono simili dichiarazioni? A gettare ancor più nel panico i cittadini di mezza Europa quasi non lo fossero già?
Ma poi si viene a sapere che nelle dichiarazione dell'FBI, si parlava anche di Torino e Napoli; non solo, e che si metteva in guardia anche i cittadini di altre nazioni europee per gli stessi pericoli, e che per l'Italia erano sottolineati più del necessario senza ragione. Terminando, col consigliare agli americani di non recarsi in dette città italiane. Come definire tale comportamento dell'intelligence americana (poco intelligence) se non irresponsabile ed idiota?
A proposito di Milano, Maroni, l'intellettuale leghista al quale i cittadini lombardi hanno affidato il governo della Regione ha dichiarato che la Scala sarà regolarmente inaugurata il prossimo 7 dicembre. Riferendo tale storica decisione di Maroni, un colosso del giornalismo italiano, tale Imbimbo, da Sky Tg 24, diceva: ' come si sa, all'inaugurazione della Scala, si terrà un concerto di gala, con molte personalità ed autorità'.
Imbimbo che parlava da Milano, è rimasto l'unico a non sapere che la Scala si inaugura con un'opera lirica. Ma noi che abbiamo fatto di male peer ritrovarcelo come giornalista?
Un altro preclaro esempio di imbecillità al potere nelle dichiarazioni del primo ministro francese, Valls, secondo il quale sarebbero possibili attacchi dell'ISIS con armi chimiche e batteriologiche. A che scopo aggravare ancora la minaccia terroristica in un paese già segnato dagli attacchi di quegli assassini musulmani e preda della paura, incapace, nonostante gli sforzi, a convivere con essa? Si può fare lanciare un allarme più imbecille di questo? E stiamo parlando di un politico che in momenti drammatici assume decisioni che riguardano l'intero popolo francese.
Poi si viene a sapere che in Francia sono pronti gli antidoti, preparati in caso di eventuali attacchi, ma pensando soprattutto ai politici che fra breve si riuniranno nella capitale francese per discutere di clima. Quando è troppo è troppo.
Due casi negli ultimi tragici giorni degli attentati parigini
Innanzitutto l'FBI. Fa sapere che Roma e Milano sono possibili obiettivi di futuri attacchi dell'ISIS - secondo quel che riferiscono i giornali; e che, in particolare, nelle due città, gli obiettivi più sensibili sarebbero San Pietro, La Scala, il Duomo - fornendo indicazioni simili a quelle che una qualunque guida turistica consiglia ai visitatori delle due belle città. La scoperta dell'America, o la scoperta degli americani. A cosa servono simili dichiarazioni? A gettare ancor più nel panico i cittadini di mezza Europa quasi non lo fossero già?
Ma poi si viene a sapere che nelle dichiarazione dell'FBI, si parlava anche di Torino e Napoli; non solo, e che si metteva in guardia anche i cittadini di altre nazioni europee per gli stessi pericoli, e che per l'Italia erano sottolineati più del necessario senza ragione. Terminando, col consigliare agli americani di non recarsi in dette città italiane. Come definire tale comportamento dell'intelligence americana (poco intelligence) se non irresponsabile ed idiota?
A proposito di Milano, Maroni, l'intellettuale leghista al quale i cittadini lombardi hanno affidato il governo della Regione ha dichiarato che la Scala sarà regolarmente inaugurata il prossimo 7 dicembre. Riferendo tale storica decisione di Maroni, un colosso del giornalismo italiano, tale Imbimbo, da Sky Tg 24, diceva: ' come si sa, all'inaugurazione della Scala, si terrà un concerto di gala, con molte personalità ed autorità'.
Imbimbo che parlava da Milano, è rimasto l'unico a non sapere che la Scala si inaugura con un'opera lirica. Ma noi che abbiamo fatto di male peer ritrovarcelo come giornalista?
Un altro preclaro esempio di imbecillità al potere nelle dichiarazioni del primo ministro francese, Valls, secondo il quale sarebbero possibili attacchi dell'ISIS con armi chimiche e batteriologiche. A che scopo aggravare ancora la minaccia terroristica in un paese già segnato dagli attacchi di quegli assassini musulmani e preda della paura, incapace, nonostante gli sforzi, a convivere con essa? Si può fare lanciare un allarme più imbecille di questo? E stiamo parlando di un politico che in momenti drammatici assume decisioni che riguardano l'intero popolo francese.
Poi si viene a sapere che in Francia sono pronti gli antidoti, preparati in caso di eventuali attacchi, ma pensando soprattutto ai politici che fra breve si riuniranno nella capitale francese per discutere di clima. Quando è troppo è troppo.
sabato 14 novembre 2015
E il maestro Muti va a tenere concerti nei posti più sperduti, mentre non dirige più nè a Roma, nè a Milano nè a Firenze...
Un'anomalia c'è. E non tanto per il fatto che Muti si sia legato alla sua più giovane creatura che è la 'Orchestra Cherubini'. Anzi. L'anomalia è rappresentata dal fatto che se lo si vuole ascoltare occorre mettersi in viaggio e raggiungere i più sperduti borghi del nostro paese. Che fa il maestro? Snobba le grandi città, gli storici teatri dove ha giurato - e finora la promessa sembra averla mantenuta - che non tornerà per ora a dirigere, per farlo in piccoli centri, in festivalini - come quello nel quale si appresta a debuttare, in Umbria, ad Assisi ( 'Omaggio all'Umbria' del quale è presidente onorario Mauro Masi - ve lo ricordate? - e direttrice artistica Laura Musella, celeberrima cantante lirica ma chi se la ricorda?, e al suo fianco Romualdo Tocchio, che nessuno sa chi sia), un festival che fa il botto una volta l'anno - negli anni passati c'era sempre Zubin Mehta che faceva il botto, con l'Orchestra del Maggio - e poi spara bombette, mettendo uno dopo l'altro sul palco bambini 'prodigio' nei vari campi, con qualche accompagnatore pianistico d'affezione, come Stefano Ragni e dove - dimenticavamo - qualche volta torna a cantare anche la celeberrima cantante direttrice artistica, come preziosissimo regalo al suo festival.
Certo, tornando a Muti, nessuno può decidere per lui dove dirigere. E lui ha il diritto di farlo dove vuole, anche se a noi sembra il ripetersi pari pari della storia della celebre barzelletta - senz'offesa per nessuno, tanto meno per il maestro - che racconta di un marito rifugiato sotto il letto per paura delle botte della moglie (ma qui non c'entra la moglie del maestro, sia chiaro!) gridare alla moglie: questa è casa mia e sto dove mi pare!
Come non è, ad esempio, neanche ciò che faceva il grande Sviatoslav Richter, musicista fra i più geniali ed irregolare, anche nella vita, quasi sempre fuori dalle regole. Lui girava per il nostro paese, che spesso visitava, si faceva mostrare chiese e teatrini ed ogni altro luogo baciato dalla bellezza dell'ingegno umano, e, su due piedi, decideva che l'indomani vi avrebbe tenuto un concerto. Altra cosa, come si vede.
Allora, se un consiglio possiamo permetterci di dare al Maestro... no domani, ma dopo domani e nei mesi a venire, ricominci a dirigere in Italia, oltre la sua Cherubini, anche i nostri complessi più importanti. Non sarebbe una sconfitta; tutti lo leggeremmo come effetto della superiorità del maestro rispetto alle beghe e bassezze umane.
A dir il vero, dopo il disastro di ieri a Parigi, vien voglia veramente di convincersi che è tempo di cambiar vita, per tutti. E di volare alto!
Certo, tornando a Muti, nessuno può decidere per lui dove dirigere. E lui ha il diritto di farlo dove vuole, anche se a noi sembra il ripetersi pari pari della storia della celebre barzelletta - senz'offesa per nessuno, tanto meno per il maestro - che racconta di un marito rifugiato sotto il letto per paura delle botte della moglie (ma qui non c'entra la moglie del maestro, sia chiaro!) gridare alla moglie: questa è casa mia e sto dove mi pare!
Come non è, ad esempio, neanche ciò che faceva il grande Sviatoslav Richter, musicista fra i più geniali ed irregolare, anche nella vita, quasi sempre fuori dalle regole. Lui girava per il nostro paese, che spesso visitava, si faceva mostrare chiese e teatrini ed ogni altro luogo baciato dalla bellezza dell'ingegno umano, e, su due piedi, decideva che l'indomani vi avrebbe tenuto un concerto. Altra cosa, come si vede.
Allora, se un consiglio possiamo permetterci di dare al Maestro... no domani, ma dopo domani e nei mesi a venire, ricominci a dirigere in Italia, oltre la sua Cherubini, anche i nostri complessi più importanti. Non sarebbe una sconfitta; tutti lo leggeremmo come effetto della superiorità del maestro rispetto alle beghe e bassezze umane.
A dir il vero, dopo il disastro di ieri a Parigi, vien voglia veramente di convincersi che è tempo di cambiar vita, per tutti. E di volare alto!
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venerdì 13 novembre 2015
L'abate vescovo ( Montecassino) mascalzone, e le assemblee dei dipendenti nei musei. Letto sulla stampa
Sempre così in Italia, dove purtroppo domina ed è incardinato il malaffare. Bastare scoprire una qualunque pentola, per sentirvi un puzzo asfissiante: imbrogli, frodi commerciali, ladrocinii. E il malaffare sembra non risparmiare neanche la Chiesa che Francesco vorrebbe 'dei poveri e per i poveri' mentre deve combattere ancora duramente la 'sua' chiesa, una chiesa di 'principi che vivono da gran signori' sulle spalle, o alla faccia del cosiddetto 'popolo di dio'. L'esempio del famigerato attico del card. Bertone non è che un esempio schifoso. Io fossi Bertone, e non lo sono, quell'attico lo utilizzerei per...
Alla recente pubblicazione di due libri su 'satana che insidia anche la Chiesa', facendo molti proseliti, s'è accompagnato in questi giorni la rivelazione del caso del farabutto ex abate dell'abbazia di Montecassino, faro di civiltà divenuto tana di un lupo senza scrupoli. Raccontata ai giovani la sua vita areligiosa, ci sentiremmo dire, e non senza ragione, nella lingua senza reticenze e senza pudore tipica dei giovani: l'abate 'deve morire'.
Questo mascalzone s'è rubato i soldi dell'8x1000, per comprare case, fare viaggi nei paesi 'del sesso' ( benchè non sia ancora emersa la ragione 'sociale' dei suoi viaggi in Brasile) e 'della droga' ( già segnalato dalla polizia per uso di sostanze stupefacenti. Un abate, pensate! e poi viaggi a Londra con cene a base di ostriche e champagne. Insomma un maiale. Lo diciamo a ragion veduta e non intendiamo insultarlo. Un farabutto tenuto in palmo di mano dalle gerarchie, prima che le sue disavventure venissero rivelate e l'abate costretto ad andare all'inferno su questa terra, perché laureatosi in medicina si era convertito al sacerdozio, monacale. Gli hanno fatto fare, per questa ragione, una carriera fulminante, anche per mostrare come le pecorelle smarrite quando tornano nell'ovile sono fulgidi esempi da imitare. Bell'esempio!
Dopo il caso del monsignore che avrebbe fornito informazioni riservate sui conti vaticani e della sua segretaria tuttofare, disinvolta nell'azione perché voleva raggiungere il traguardo che si era prefisso e senza attendere molto, la Chauoqui ( come diavolo si scrive), Francesco farebbe bene a seguire il consiglio che gli viene da molte parti.Stia attento, ogni volta che si sceglie dei collaborati li passi ai raggi x e se viene fuori qualche macchia li cacci a calci nel sedere, per non trovarsi di nuovo in simili imbarazzanti situazioni.
Nel settore della regolamentazione dei musei e delle aree archeologiche equiparate con l'ultima legge di Renzi e Franceschini, ai servizi di pubblica utilità e perciò sottoposti a regole strettissime in fatto di scioperi e assemblee sindacali, va registrata , ieri, l'ennesima assemblea sindacale che potrebbe aver creato problemi ai turisti che ogni giorno vengono a visitare il Foro romano ed il Colosseo. All'indomani della nuova legge. Sembra una beffa l' intensificarsi di assemblee e scioperi del personale, a danno di turisti e visitatori.
Alla recente pubblicazione di due libri su 'satana che insidia anche la Chiesa', facendo molti proseliti, s'è accompagnato in questi giorni la rivelazione del caso del farabutto ex abate dell'abbazia di Montecassino, faro di civiltà divenuto tana di un lupo senza scrupoli. Raccontata ai giovani la sua vita areligiosa, ci sentiremmo dire, e non senza ragione, nella lingua senza reticenze e senza pudore tipica dei giovani: l'abate 'deve morire'.
Questo mascalzone s'è rubato i soldi dell'8x1000, per comprare case, fare viaggi nei paesi 'del sesso' ( benchè non sia ancora emersa la ragione 'sociale' dei suoi viaggi in Brasile) e 'della droga' ( già segnalato dalla polizia per uso di sostanze stupefacenti. Un abate, pensate! e poi viaggi a Londra con cene a base di ostriche e champagne. Insomma un maiale. Lo diciamo a ragion veduta e non intendiamo insultarlo. Un farabutto tenuto in palmo di mano dalle gerarchie, prima che le sue disavventure venissero rivelate e l'abate costretto ad andare all'inferno su questa terra, perché laureatosi in medicina si era convertito al sacerdozio, monacale. Gli hanno fatto fare, per questa ragione, una carriera fulminante, anche per mostrare come le pecorelle smarrite quando tornano nell'ovile sono fulgidi esempi da imitare. Bell'esempio!
Dopo il caso del monsignore che avrebbe fornito informazioni riservate sui conti vaticani e della sua segretaria tuttofare, disinvolta nell'azione perché voleva raggiungere il traguardo che si era prefisso e senza attendere molto, la Chauoqui ( come diavolo si scrive), Francesco farebbe bene a seguire il consiglio che gli viene da molte parti.Stia attento, ogni volta che si sceglie dei collaborati li passi ai raggi x e se viene fuori qualche macchia li cacci a calci nel sedere, per non trovarsi di nuovo in simili imbarazzanti situazioni.
Nel settore della regolamentazione dei musei e delle aree archeologiche equiparate con l'ultima legge di Renzi e Franceschini, ai servizi di pubblica utilità e perciò sottoposti a regole strettissime in fatto di scioperi e assemblee sindacali, va registrata , ieri, l'ennesima assemblea sindacale che potrebbe aver creato problemi ai turisti che ogni giorno vengono a visitare il Foro romano ed il Colosseo. All'indomani della nuova legge. Sembra una beffa l' intensificarsi di assemblee e scioperi del personale, a danno di turisti e visitatori.
RICCARDO CHAILLY. DALLA SCALA ALLA SCALA. Intervista ad un direttore affermato agli inizi della carriera. ( Salisburgo 1984)
Oggi Riccardo Chailly è
per tutti un direttore affermato, di valore, e dalla carriera
gloriosa; non più il 'figlio' del compositore Luciano, al vertice
della Scala, dove il giovane Riccardo, ventenne, aveva mosso i primi
passi dal podio, come assistente di Abbado. Nel 1984, al tempo di
questa intervista, egli era in grande ascesa ma ancora giovane. E,
perciò, di grande interesse risulta conoscere come la pensava allora
un giovane direttore che oggi è tornato 'vincitor' dove era partito come apprendista
Salisburgo
(estate 1984) in un pomeriggio piovoso. Incontrammo Riccardo Chailly,
in un bar, a due passi dalla Sala grande del festival, quarantotto
ore dopo il suo concerto con i Wiener Philharmoniker ed Alexis
Weissenberg - in programma il 'Concerto n.3' di Rachmaninov e la
'Sinfonia n.5' di Ciaikovskij - che aveva mandato il pubblico in
delirio - e subito dopo le prove del 'Requiem' di Verdi, diretto da
Karajan, alle quali solo Chailly era stato autorizzato ad assistere.
Ma il fatto nuovo ed importante di quella edizione del festival di
Salisburgo era la chiamata di Chailly, per espressa volontà di
karajan, a dirigere l'opera inaugurale del festival di quell'anno, il
'Macbeth' di Verdi. Karajan, per problemi di salute aveva voluto
come suo sostituto il giovane direttore (31 anni appena) primo
italiano a dirigere l'inaugurazione del famoso festival
internazionale, fra mugugni, critiche, ed anche qualche cattiveria.
Quella intervista, pubblicata sul mensile 'Piano Time', la
riproponiamo ora che Chailly, coronando il
sogno, legittimo, di una vita, è stato nominato 'direttore musicale'
del più grande teatro d'opera, salutato con favore anche dai
milanesi, suoi concittadini.
Ovvio che lei si senta
lusingato, inutile chiederglielo. Ci sveli, allora, qualche segreto
del 'demiurgo' salisburghese in prova.
Innanzitutto
sono onorato di essere forse l'unico direttore ad avere
ufficialmente accesso alle prove del Maestro, sia a Salisburgo che a
Berlino. Sono rimasto colpito dal lavoro di scavo di Karajan, ogni
volta che sale sul podio, compresa questa mattina. In particolare,
con il 'Requeim' di Verdi (Chailly dirà sempre 'Verdi Requiem.
Chissà perchè,ndr.) e la 'Patetica' di Ciaikovskij, una sinfonia
con la quale io sono praticamente cresciuto, a cominciare dalle prime
incisioni mono, sempre di karajan. Di questa stessa sinfonia
possiedo anche una delle sue prime incisioni stereo con i Berliner
Philharmoniker. E, raffrontando le due registrazioni con la prova di
questa mattina, è interessante vedere come il suo lavoro di scavo
sia ancora oggi inesorabile. Per Verdi in particolare, poiché
debutterò in ottobre a Berlino con la mia orchestra nel 'Requiem' di
Verdi, le prove di questi giorni mi hanno suggerito ancora altre
ipotesi di riflessione.
In particolare.
Innanzitutto
la fedeltà a quanto Verdi scrive e desidera. Ma anche, e può
sembrare un assurdo, come a volte non bisogna seguire alcune
indicazioni 'di tempo' segnate da Verdi in partitura. Karajan gli è
fedele nel senso che conosce Verdi più profondamente di ciò che è
indicato in partitura. Una conoscenza approfondita di un autore -
come karajan la possiede senza dubbio di Verdi - a volte suggerisce
di non fare anche quello che è espressamente indicato. Chi conosce
dal di dentro tale problema può capire quanto dico. In Bruckner, ad
esempio - ho appena inciso e portato in tournée la sua Sinfonia n.7
- è fondamentale porsi tale problema. Le revisioni Novak vanno
liberate di aggiunte di revisione dettate da Nikisch ( per le quali
ha avuto sempre il consenso dell'autore?) al tempo della prima
esecuzione.
E' soddisfatto di come
la critica soprattutto ha accolto il 'Macbeth' che ha appena diretto?
Enormemente.
Direi che è stata un'apoteosi europea ed extraeuropea soprattutto
per la parte che mi riguarda, quella musicale; mentre è stato
criticato, quasi coralmente, l'allestimento. Non voglio entrare nel
merito né schierarmi da una parte o dall'altra. Constato una realtà.
Musicalmente ho avuto la gioia di essere stato riconosociuto, più che
dai grandi giornali ( Stuckenschmidt ha titolato il suo articolo ' Un
trionfo per Chailly; il 'Times' di Londra ha ugualmente elogiato la
mia direzione, per non dire dei giornali viennesi, sempre molto
polemici ma di grande peso culturale, come 'Die Presse', che ha
'ammirato' il mio 'Macbeth') dal successo di pubblico - il che mi
onora maggiormente - che alla fine di ogni recita ritrovo sempre
crescente. E, infine, le parole di elogio di Karajan che ha assistito
all'ante prova generale, alla generale ed alla prima dell'opera, oltre
che al mio concerto sinfonico dell'altro ieri, dal palcoscenico.
Tutto questo mi ha veramente commosso.
I giornali italiani, al
confronto, le sono sembrati un po' tiepidi?
Ne ho
letti alcuni, un po' vagamente - qui si fa fatica a trovarli.
Confesso apertamente di leggere i giornali come di ascoltare i
dischi, a differenza di molti colleghi che dichiarano esattamente il
contrario, mentre poi leggono avidamente quel che si scrive di loro
e, in caso di recensioni negative, vanno anche in bestia. Se devo
parlare della critica italiana, fra la stampa europea, mi è
sembrata quella più tiepida. Ma ciò non mi farà assolutamente
cambiare il mio giudizio di entusiasmo per questo 'Macbeth', e per
il riconoscimento generale riscontrato in Europa.
Ascolta i dischi
regolarmente in fase di studio, per cavarne suggerimenti ed
formulare ipotesi interpretative? A tal proposito quale edizione
dell'opera verdiana l'ha maggiormente interessata?
Due
almeno. Il nastro del 'Macbeth' con De Sabata e la Callas , per
l'inaugurazione della Scala, nel 1952 (una lettura così geniale
dell'opera che meritava di essere studiata a fondo, senza però
restarne galvanizzato, anzi da dimenticare immediatamente dopo) e
quella di Abbado, in disco, che per me rappresenta la più bella
edizione dell'opera. Una interpretazione magistrale e definitiva! Per
tornare alla critica musicale, mi rallegra particolarmente
l'ammissione generale che la mia lettura del 'Macbeth', nel bene e
nel male, è diversa da quella di Claudio ( Abbado, ndr.). Considero
una vittoria essere riuscito a trovare una mia strada, affrancandomi
dalla bellezza e dal fascino di quella di Abbado che conoscevo bene,
avendo seguito all'epoca tutte le prove con Abbado e Strehler.
Tra breve ci sarà un
Macbeth anche in Italia, diretto da Muti, per l'inaugurazione della
stagione del Teatro San Carlo. Andrà ad ascoltarlo?
Ah,
non lo sapevo.
Ha dischi in uscita o
registrazioni già programmate?
Proprio
ieri è stato presentato qui, a Salisburgo, nel corso di una festa
della Decca, 'Andrea Chénier' con Pavarotti e Caballé; a fine anno
uscirà ' The Rake's Progress' e, successivamente un album interamente
dedicato a Ciaikovskij ('Giulietta e Romeo', 'Francesca da Rimini')
con l'Orchestra di Cleveland...
Quando tornerà a
dirigere in Italia?
In
dicembre per due concerti, uno a Firenze al Teatro Comunale e l'altro
a Milano, per la Stagione Rai; a giugno poi, alla Scala, riprendo
'Andrea Chénier' con Carreras.
Perchè, di recente,
Martha Argerich ha disertato il concerto al Maggio Fiorentino, sotto
la sua direzione?
Per
motivi che hanno a che fare con la sua vita privata. Tanto è vero
che, poi, ha partecipato alla tournée in Spagna, con me e con
l'Orchestra fiorentina. Non credo, perciò, che ce l'avesse con
Firenze (o come me). Problemi personali.
Quando farà un regalo
a suo padre che ora è al Carlo Felice di Genova, dirigendo
l'orchestra di quel teatro?
Con
mio padre c'è un pour parler, per un concerto con l'Orchestra
genovese. Vi fui invitato, forse otto anni fa, ma poi non se ne fece
nulla, per ragioni burocratiche e finanziarie. Successivamente non
sono mai andato a Genova, semplicemente perché non sono stato mai
invitato dopo. Può darsi, invece, che ora... anche se non abbiamo
amato mai, io e mio padre, collaborare insieme ufficialmente. Quando
lui aveva responsabilità di vertice ha sempre evitato di
scritturarmi, per non suscitare logici attacchi...
Ora la situazione è
cambiata. Lei è un direttore, non più, semplicemente il figlio
di...
Sì,
anche perché pare che la richiesta sia venuta dall'orchestra.
Perciò, forse, andrò a Genova. Mi permetta di aggiungere qualcosa
che interessa direttamente la sua rivista pianistica ( Piano Time,
ndr.). In autunno termineremo la registrazione dei 'Concerti per
pianoforte' di Beethoven, e la 'Fantasia corale', con Alicia De
Larrocha e l'Orchestrta della Radio di Berlino. Abbiamo già inciso
il Primo, Terzo e Quinto; usciranno tutti all'inizio dell'85.
A
proposito del concerto dell'altro ieri, il 'Concerto per
pianoforte' n.3 di Rachmaninov l'avevo già diretto, con
Weissenberg e l'Orchestra di Cleveland; da allora mi ero riproposto di
dirigerlo anche in Europa con lo stesso pianista. Poi è venuta la
chance di farlo a Salisburgo, dove mancava da più di un decennio.
Il successo del nostro concerto, merita più alta considerazione,
perché Rachmaninov in Austria è considerato un musicista di
'seconda classe'. Io combatto strenuamente tale opinione e per
dimostralo, l'anno prossimo, porto in tournée la mia orchestra negli
Stati Uniti, con la 'Sinfonia n.2' di Rachmaninov, che considero un
capolavoro nel suo genere.
Insomma può ritenersi
soddisfatto.
Inaugurare
il Festival di Salisburgo è il massimo traguardo per qualunque
direttore. Sebbene si tratti di un traguardo che mette il direttore
in una posizione, fra le più ambite ma anche fra le più scomode.
Non posso dimenticare che sono stato l'unico a succedere a Karajan,
nell'inaugurazione del festival.
I grandi direttori
italiani, Muti o Abbado, non hanno mai avuto tale onore? Abbado,
come anche Muti, hanno diretto e dirigono regolarmente a Salisburgo,
ma non hanno mai inaugurato il festival. Nel mio caso, in
particolare, c'è stato il passaggio dello scettro direttamente dalle
mani di Karajan.
Ora la invidieranno.
Non
può chiederlo a me. Ora, superata questa che considero la prova del
fuoco, sono ormai definitivamente fuori pericolo. L'anno prossimo
tornerò a Salisburgo per la ripresa del 'Macbeth' e per un concerto
ancora con i Wiener Philharmoniker.
( 'Piano Time', anno II,
n.19 - Ottobre 1984)
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BACH & MOZART. Premiate ditte. Recensione libri, con una coda polemica
Dieci anni fa ci sorprese
l'uscita in libreria, di una fondamentale ricerca mozartiana,
firmata da Rudolph Angermuller,
a capo del Mozarteum di Salisburgo, dal titolo 'Mozart.
1485/86-2003'. Pagg.
990, in due tomi, che recava a sottotiolo:'
Date (e dati, ndr. ) riguardanti la vita, le
opere, e la storia della loro ricezione, dei Mozart.
Sì dell'intera famiglia, una sorta di grande albero, secolare, con
tanti rami, del quale il frutto più prelibato è stato senza dubbio
Wolfgang, e che affondava le sue radici nella seconda metà del
Quattrocento, quando per la prima volta compare un Mozart, notato
nella grafia antica 'Motzhart, Andris' - e siamo nel 1485/6. Da
quella data, nei due preziosissimi tomi, si trova annotato ogni
particolare riguardante vita ed opere dei Mozart. E, man mano che ci
si avvicina a noi, quasi di ogni giorno abbiamo notizia di fatti e
persone della grande famiglia. Insomma tutto quello che avresti
voluto sapere su Mozart e la sua famiglia e non puoi trovare in
nessun altro libro che questo.
Da quel momento in avanti
e fino al 2003 - il libro uscì l'anno seguente, alla vigilia del 250
anniversario della nascita del 'divino' Wolfgang, che cadeva nel
2006 portandosi dietro l'inevitabile carrozzone ben retribuito delle
celebrazioni - nessun particolare riguardante i Mozart, soprattutto
Wolfgang, risulta ora più sconosciuto agli studiosi.
Angermuller, profittando
degli archivi del Mozarteum, ma anche della manovalanza di studiosi
giovani e non, di cui però non v'è traccia alcuna in nessuna pagina
della preziosa pubblicazione, e senza il cui lavoro un uomo solo al
comando non sarebbe stato capace di produrre una simile quantità di
notizie, circostanziate e spiegate, offriva agli studiosi ed ai
mozartiani di tutto il mondo - numerosissimi e sparsi nei cinque
continenti - l'opportunità di seguire il musicista, giorno per
giorno, ora per ora, alla stregua di una telecamera che tutto
registra e tutto poi trasmette.
Potete perciò immaginare
la nostra gioia, quando da poco, abbiamo letto di un'analoga impresa,
uscita in Italia ( i volumi su Mozart, in tedesco, furono pubblicati
da Hans Schneider-Tutzing) presso l'editore Aragno, a firma Alberto
Basso, e riguardante Bach: Johann
Sebastian Bach. Manuale di navigazione. Tre
tomi. Editore Aragno. Pagg.1454, Euro 95,00.
Come i lettori italiani
sanno, e da tempo, Alberto Basso è uno studioso di vaglia di Johann
Sebastian Bach, e già alla vigilia del 1985 - proclamato 'Anno
Europeo della Musica', per la concomitante nascita, nel 1685, di
Bach, Haendel e Scarlatti, Domenico – terzo centenario della
nascita del grande musicista, pubblicò presso l'editore Edt di
Torino i due volumi intitolati 'Frau Musika.
La vita e le opere di J.S.Bach. Pagg.
972.
In
quei due volumi va cercato il seme di questa sua recentissima fatica,
nella quale - come si legge nel risvolto di copertina - Alberto
Basso, 'sotto la forma di un dizionario atipico, riprende,
aggiornandolo e integrandolo, l'incandescente materiale di
composizioni, persone, luoghi, ambienti, situazioni, eventi ed altro
ancora che fanno del sommo musicista di Eisenach, il supremo
rappresentante dell'ars musica'.
Diversamente
dalla ricerca mozartiana di Angermuller, prevale in Basso l'aspetto
pratico. Lo sottolinea il sottotitolo: 'manuale di navigazione'
nell'universo bachiamo; una sorta di bussola per non affondare mai
e trovare sempre la giusta rotta per raggiungere ogni porto nel
quale si vuole gettare l'ancora di una conoscenza più approfondita.
A
maggiore sottolineatura di tale intento pratico della sua ricerca
bachiana, Basso l'articola secondo i gradi e le divisioni della
'retorica' antica, che è l'arte della conoscenza.
Una
prima parte, che rappresenta l'exordium
classico, presenta una cronologia sommaria della vita di Bach e della
sua famiglia; la seconda, narratio,
si articola su duemila voci circa, in forma di dizionario, o
enciclopedia se si preferisce, ciascuna delle quali ragguaglia su
singole composizioni o personalità dell'universo bachiano, la terza
ed ultima, egressus,
non è che una miniera ricchissima di appendici, ben undici,
consistenti in tabelle o elenchi, che terminano con l'indice dei
nomi, compresi quelli relativi alla bibliografia, proprio come si
trova anche nei due volumi di Angermuller, dove il nome del curatore,
come autore di saggi, ricorre per pagine e pagine.
Anche
per Basso va sottinteso il discorso già fatto per Angermuller, e
cioè che opere di tale portata e di tale messe di informazioni è
difficile immaginarle, per intero, farina del sacco di un uomo solo;
e pure dei collaboratori non v'è traccia nell'una come nell'altra
impresa musicologica.
In
cauda venenum? No, una precisazione doverosa che l'illustre
musicologo ci permetterà non per inutile polemica, ma perchè ci
dimostra come esistano falle non di poco conto, anche in una ricerca
così ricca e preziosa che si vorrebbe, oltre che autorevole
approfondita, se non completa, quanto meno nel segnalare le fonti
bibliografiche più rilevanti.
Fra
le quali falle, ne segnaliamo una che ci riguarda direttamente, e
che abbiamo ritrovata alla voce Telemann, nella narratio,
dove di uno degli studi più approfonditi sul musicista amico di
Bach, apparso nel 1982, alla vigilia dell'uscita del suo Frau
Musika sulla
Rivista Musicale Italiana, da
noi condotto sulla base della Autobiografia
del musicista, tradotta per la prima volta in italiano, e arricchita
di un apparato di note storico-musicologiche di un certo rilievo, non
v'è traccia, neppure una doverosa citazione nelle fonti.
Quando
uscì 'Frau Musika' contattammo Basso per fargli notare che nella sua
mo numentale opera, ricorreva qualche inesattezza riguardante la
biografia di Telemann ed i suoi rapporti con Bach. Alberto Basso
ammise l'inesattezza, e si scusò dicendoci che le notizie che noi
avevamo prodotto nel nostro studio non erano, al momento delle
ricerche per la sua opera, a lui note. Era lecito attendersi che
Basso, alla prima occasione, avrebbe rimediato all'errore.
A
tal fine, a distanza di oltre trent'anni, immaginavamo di trovare
alla voce 'Telemann' almeno la citazione di quel nostro bel lavoro
musicologico. Neanche per sogno, laddove Basso trova modo, in mille
altri casi, di citare, quale che ne sia la ragione, studiosi della
sua cerchia anche amicale, nonostante che i loro contributi alla ricerca siano in taluni casi irrilevanti.
Ora
la pecca che ci riguarda ci fa venire il dubbio che, a fronte di
tanta ostentata conoscenza, che forse anche qualche altro buco
nero si posa essere infilato - inavvertitamente?- nelle pieghe di
questa nuova fatica bachiana, utilissima per carità, di Alberto
Basso.
mercoledì 11 novembre 2015
Non c'è due senza tre. Di direttori 'onorari a vita' o 'emeriti': da Muti a Temirkanov, e di nuovo a Muti
Ha cominciato Riccardo Muti, al quale il titolo di 'direttore onorario a vita' dell'Orchestra dell'Opera di Roma gli ha portato un tale sfiga che dopo pochissimi anni si è dimesso, e quel titolo onorifico è rimasto appeso nella bacheca del teatro, mentre l'interessato se l'è scrollato di dosso come si fa con la polvere caduta sull'abito scuro.
Un giorno andrebbe raccontata la storia vera dell'arrivo di Muti a Roma, della sua permanenza e del suo addio che è riuscito a rompere un'amicizia che durava da anni fra il direttore e Paolo Isotta- che l'ha raccontato nel suo ultimo libro. Quel titolo onorifico dato ad un direttore appena sbarcato a Roma, serviva solo a mostrare a tutti che in qualche maniera il teatro l'aveva legato a sé; non avendo ottenuto che il direttore assumesse l'incarico, vero, di direttore musicale. Se ne è confezionato uno finto, di incarico. Di più, quel titolo onorifico non è che gli abbia portato bene a Muti.
A Roma, come abbiamo già segnalato ieri, ad un altro direttore, Yuri temirkanov, viene attribuito quel titolo onorifico da parte dell' Orchestra dell'Accademia di santa Cecilia, e speriamo che non gli porti altrettanto sfiga. L'Accademia spiega che è la prima volta che tale titolo viene attribuito ad un direttore. E Bernstein? No, lui era 'presidente onorario dell'orchestra ' non sappiamo se a vita , o soltanto per un pò. E lui, non ricordiamo più se per sdebitarsi con Siciliani, a seguito di tale titolo, o per meritarselo, oltre le sue abituali presenze in stagione ( come del resto fa Yuri Temirkanov), venne a Roma a tenere un corso per giovani direttori d'orchestra, che si portò dagli USA (fra quelli italiani nessuno venne ammesso a seguire tale corso come allievo effettivo, non avendo superato la prova di idoneità; e, se non ricordiamo male, a quel corso partecipò da semplice uditore anche l'attuale sovrintendente dall'Ongaro - o forse ricordiamo male?) e eseguì una memorabile 'Bohème' all'Auditorium della Conciliazione con cantanti giovani , AMERICANI. L'orchestra era galvanizzata dal direttore, come anche tutti i giovani interpreti.
Adesso un nuovo caso sta per verificarsi, riguardante questa volta un direttore cui quel titolo ha già creato qualche imbarazzo, e cioè Riccardo Muti. La Scala, Pereira in persona, non sa più cosa fare per farlo tornare a dirigere, ci sta provando in tutti i modi; a luglio una mostra gli verrà dedicata, per festeggiare i suoi 75 anni, ed in più, sempre nella prospettiva del ritorno, si agita l'intenzione di volerlo nominare 'direttore emerito', onorificenza di nuovo, freschissimo, caduco conio; sebbene lui alla Scala ci sia già stato per quasi vent'anni; come anche Abbado, al quale quel titolo non è stato mai dato anche recentissimamente.
Che Muti debba dirigere anche alla Scala, e - secondo noi - dovrebbe dirigere anche a Santa Cecilia come pure all'Opera di Roma ed nche altrove in Italia, non certo dappertutto, è perfino superfluo ribadirlo- se fossimo in un paese normale, e noi non lo siamo. Invece, Muti, in Italia, può decidere di dirigere solo la sua Orchestra Cherubini, e nessuno può dirgli nulla. Cosa, ad esempio?
Ma che il noto direttore, accetti un altro incarico onorifico come 'captatio benevolentiae' per il suo ritorno alla Scala, o come risarcimento postumo, non crediamo accetterà nè che gli faccia bene accettarlo. E lui che è mezzo napoletano oltre che mezzo pugliese, conosce bene il detto :' timeas Mediolanenses et dona ferentes'. In guardia maestro, se vuole tornare a dirigere l'Orchestra della Scala, lo faccia anche senza il titolo di ' direttore emerito'.
Un giorno andrebbe raccontata la storia vera dell'arrivo di Muti a Roma, della sua permanenza e del suo addio che è riuscito a rompere un'amicizia che durava da anni fra il direttore e Paolo Isotta- che l'ha raccontato nel suo ultimo libro. Quel titolo onorifico dato ad un direttore appena sbarcato a Roma, serviva solo a mostrare a tutti che in qualche maniera il teatro l'aveva legato a sé; non avendo ottenuto che il direttore assumesse l'incarico, vero, di direttore musicale. Se ne è confezionato uno finto, di incarico. Di più, quel titolo onorifico non è che gli abbia portato bene a Muti.
A Roma, come abbiamo già segnalato ieri, ad un altro direttore, Yuri temirkanov, viene attribuito quel titolo onorifico da parte dell' Orchestra dell'Accademia di santa Cecilia, e speriamo che non gli porti altrettanto sfiga. L'Accademia spiega che è la prima volta che tale titolo viene attribuito ad un direttore. E Bernstein? No, lui era 'presidente onorario dell'orchestra ' non sappiamo se a vita , o soltanto per un pò. E lui, non ricordiamo più se per sdebitarsi con Siciliani, a seguito di tale titolo, o per meritarselo, oltre le sue abituali presenze in stagione ( come del resto fa Yuri Temirkanov), venne a Roma a tenere un corso per giovani direttori d'orchestra, che si portò dagli USA (fra quelli italiani nessuno venne ammesso a seguire tale corso come allievo effettivo, non avendo superato la prova di idoneità; e, se non ricordiamo male, a quel corso partecipò da semplice uditore anche l'attuale sovrintendente dall'Ongaro - o forse ricordiamo male?) e eseguì una memorabile 'Bohème' all'Auditorium della Conciliazione con cantanti giovani , AMERICANI. L'orchestra era galvanizzata dal direttore, come anche tutti i giovani interpreti.
Adesso un nuovo caso sta per verificarsi, riguardante questa volta un direttore cui quel titolo ha già creato qualche imbarazzo, e cioè Riccardo Muti. La Scala, Pereira in persona, non sa più cosa fare per farlo tornare a dirigere, ci sta provando in tutti i modi; a luglio una mostra gli verrà dedicata, per festeggiare i suoi 75 anni, ed in più, sempre nella prospettiva del ritorno, si agita l'intenzione di volerlo nominare 'direttore emerito', onorificenza di nuovo, freschissimo, caduco conio; sebbene lui alla Scala ci sia già stato per quasi vent'anni; come anche Abbado, al quale quel titolo non è stato mai dato anche recentissimamente.
Che Muti debba dirigere anche alla Scala, e - secondo noi - dovrebbe dirigere anche a Santa Cecilia come pure all'Opera di Roma ed nche altrove in Italia, non certo dappertutto, è perfino superfluo ribadirlo- se fossimo in un paese normale, e noi non lo siamo. Invece, Muti, in Italia, può decidere di dirigere solo la sua Orchestra Cherubini, e nessuno può dirgli nulla. Cosa, ad esempio?
Ma che il noto direttore, accetti un altro incarico onorifico come 'captatio benevolentiae' per il suo ritorno alla Scala, o come risarcimento postumo, non crediamo accetterà nè che gli faccia bene accettarlo. E lui che è mezzo napoletano oltre che mezzo pugliese, conosce bene il detto :' timeas Mediolanenses et dona ferentes'. In guardia maestro, se vuole tornare a dirigere l'Orchestra della Scala, lo faccia anche senza il titolo di ' direttore emerito'.
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Salvo Nastasi, il bonificatore, assente giustificato da Bagnoli, in trasferta a Milano
Ieri la mole del bonificatore di Bagnoli, in tutta la sua esuberanza corporea, s'è materializzata al Piccolo Teatro di Milano, retto da Sergio Escoabr, guardaspalle di Renzi, che ha scelto la platea milanese per sparare tutte le cartucce in canna sul bersaglio EXPO ( il dopo Expo) senza essere sicuro ancora di centrarlo in pieno. Intanto si è esercitato nel tiro, se poi soltanto poche andranno a segno, si vedrà. Ma in futuro.
Che ci faceva Nastasi a Milano al seguito del premier? Lo accompagnava nella veste di vice segretario generale di palazzo Chigi che è il suo nuovo incarico. Per spinta di Nardella, che ha voluto aiutare un amico, o di Franceschini, che voleva liberarsi di quel fastidioso ingombro che un pò di guai ha combinato anche al suo ministero, l'ultimo dei quali è stata l'adozione di quel fottuto algoritmo che ha decimato, strangolandole economicamente, alcune centinaia di istituzioni musicali italiane che ha estromesso dai finanziamenti del FUS; e per il quale guaio Franceschini ne avrà dovrà darsi da fare per rispondere alle numerose proteste ed interrogazioni parlamentari che gli imporrebbero di cercare un modo, indolore, per tornare sui propri passi: e, questa volta, senza chiedere aiuto a Nastasi, il barbaro distruttore?
Ora Nastasi darà consigli a Renzi, ignorante in materia culturale più di Franceschini, e Renzi dovrà fidarsi ciecamente di quel che gli dice il 'grande&grosso' ex direttore generale dello spettacolo, non sapendo da dove cominciare.
E già il primo consiglio è stato costretto a darglielo, altrimenti Renzi gli avrebbe chiesto ragione della mancata autonomia del Piccolo Teatro di Milano. E, infatti, ieri presentava a Renzi tutti i protagonisti della scena milanese, non solo quella teatrale, mano sulla spalla a Pisapia.
E quando Escobar, dopo averlo ospitato nel suo teatro, s'è lamentato con Renzi della mancata autonomia, non concessa dall'ex direttore generale Natasi - che in ambito teatrale anche lì ha fatto casini - il premier ha dovuto promettergli, dietro consiglio di Nastasi - come scrivono oggi i giornali- di far intervenire a tamburo battente Nastasone, presso Franceschini, perchè tale autonomia venga immediatamente concessa. Come sarebbe dovuto accadere da tempo, se non ci fosse stato Nastasi al Ministero.
Escobar, che ne esce vincitore su Nastasone, farebbe bene a seguire la pratica. Perchè Nastasone è diabolico, ha remato contro anche il suo stesso ministro, quando non ha promosso, a livello di finanziamenti, l'Orchestra Verdi di Milano, nonostante da mesi ci fosse il decreto del ministro per l'inclusione della benemerita orchestra fra le ICO. Nastasone è capace anche di questo. Chi non si fa parte della sua cerchia di amicizie e di potere, può anche morire di stenti, anche se si chiama Beethoven, che lui ovviamente non sa chi sia.
Nastasi, al fianco di Renzi, è più pericoloso che al fianco di Franceschini che poco contava mentre Renzi conta. Dunque all'erta.
Che ci faceva Nastasi a Milano al seguito del premier? Lo accompagnava nella veste di vice segretario generale di palazzo Chigi che è il suo nuovo incarico. Per spinta di Nardella, che ha voluto aiutare un amico, o di Franceschini, che voleva liberarsi di quel fastidioso ingombro che un pò di guai ha combinato anche al suo ministero, l'ultimo dei quali è stata l'adozione di quel fottuto algoritmo che ha decimato, strangolandole economicamente, alcune centinaia di istituzioni musicali italiane che ha estromesso dai finanziamenti del FUS; e per il quale guaio Franceschini ne avrà dovrà darsi da fare per rispondere alle numerose proteste ed interrogazioni parlamentari che gli imporrebbero di cercare un modo, indolore, per tornare sui propri passi: e, questa volta, senza chiedere aiuto a Nastasi, il barbaro distruttore?
Ora Nastasi darà consigli a Renzi, ignorante in materia culturale più di Franceschini, e Renzi dovrà fidarsi ciecamente di quel che gli dice il 'grande&grosso' ex direttore generale dello spettacolo, non sapendo da dove cominciare.
E già il primo consiglio è stato costretto a darglielo, altrimenti Renzi gli avrebbe chiesto ragione della mancata autonomia del Piccolo Teatro di Milano. E, infatti, ieri presentava a Renzi tutti i protagonisti della scena milanese, non solo quella teatrale, mano sulla spalla a Pisapia.
E quando Escobar, dopo averlo ospitato nel suo teatro, s'è lamentato con Renzi della mancata autonomia, non concessa dall'ex direttore generale Natasi - che in ambito teatrale anche lì ha fatto casini - il premier ha dovuto promettergli, dietro consiglio di Nastasi - come scrivono oggi i giornali- di far intervenire a tamburo battente Nastasone, presso Franceschini, perchè tale autonomia venga immediatamente concessa. Come sarebbe dovuto accadere da tempo, se non ci fosse stato Nastasi al Ministero.
Escobar, che ne esce vincitore su Nastasone, farebbe bene a seguire la pratica. Perchè Nastasone è diabolico, ha remato contro anche il suo stesso ministro, quando non ha promosso, a livello di finanziamenti, l'Orchestra Verdi di Milano, nonostante da mesi ci fosse il decreto del ministro per l'inclusione della benemerita orchestra fra le ICO. Nastasone è capace anche di questo. Chi non si fa parte della sua cerchia di amicizie e di potere, può anche morire di stenti, anche se si chiama Beethoven, che lui ovviamente non sa chi sia.
Nastasi, al fianco di Renzi, è più pericoloso che al fianco di Franceschini che poco contava mentre Renzi conta. Dunque all'erta.
L'Opera di Roma scopre l' esistenza della musica sinfonica, grazie a Giorgio Battistelli e a Carlo Fuortes. E Capossela è 'band lieder'
Se Carlo Fuortes non lo avesse assunto come direttore artistico 'in seconda' all'Opera di Roma - si dice per 'compensarlo' della sua partecipazione al primo 'consiglio di indirizzo''; ed anche per consolarlo della duplice sconfitta nella scalata al vertice di Santa Cecilia, sul quale svetta Michele dall'Ongaro, e nella corsa al Comune di Albano; - l'Opera di Roma difficilmente avrebbe scoperto l'esistenza della musica sinfonica, che, fortunatamente, ha finalmente scoperto grazie a Giorgio Battistelli, che ha confezionato, per l'Opera della Capitale, un programma di ben sei concerti, uno ogni mese circa, da qui a maggio prossimo, uno 'Specchio dei tempi', quando ci sarà il secondo exploit battistelliano, e cioè il festival 'Contemporaneo'.
All'Opera di Roma, come in qualunque altro campo che conta, in Italia prima si assumono le persone e poi si cerca qualcosa da fargli fare. Mai il contrario: prima un progetto necessario, e poi le persone capaci per realizzarlo.
Assunto Battistelli, in coppia con Vlad, qualcosa di 'suo' bisognava trovarlo, necessario o no importa poco. E Battiselli s'è subito attivato, con una serie di concerti che ha dell'incredibile: per ognuno di essi un brano classico, uno del Novecento ed uno contemporaneo: esattamente ciò che per anni ha fatto l'Orchestra del Lazio, poi defunta, ma non per questo.
Ma più interessante del programma è il racconto che ne ha fatto alla stampa Fuortes. Una tecnica di programma innovativa, ha sottolineato, per rendere visibile come i secoli, gli stili sono legati fra loro, come a dire, da Beethoven a Battistelli.
Non basta. Il Teatro, anche il teatro, inteso come Sala Costanzi, s'è rivoluzionato per questo progetto. I nostri teatri non sono nati per la sinfonica - ha fatto capire Battistelli a Fuortes - il palcoscenico non è il luogo più adatto per accogliere un'orchestra. E Fuortes, ha fatto a Battistelli un omaggio da mille e una notte, facendo costruire un prolungamento del palcoscenico che porterà l'Orchestra quasi in mezzo alla platea, in parte liberata di file di poltrone, ma non per paura che restino vuote. Una soluzione che molti teatri di mezzo mondo adotteranno.
E poi, ha proseguito ancora Fuortes: altra innovazione, non ci siamo rivolti allo star system musicale, nella scelta di direttori e solisti: quasi tutti nomi sconosciuti in Italia; notissimi invece a chi ,come Battistelli, frequenta sale da concerto teatri e festival di tutto il mondo, tutti tassativamente stranieri. Altro bel regalo.
Evidentemente nè Fuortes - inutile pretenderlo da Battistelli- nè un qualunque giornalista si rendono conto delle idiozie, astruse ed anche costose, sparate per una iniziativa che, normalissima in un altro posto qualunque, all'Opera di Roma deve assumere connotati particolari, semplicemente per non porsi la domanda fondamentale: che ci sta a fare Battistelli; come anche : è questa la riforma e la rinascita dell'Opera secondo Fuortes. Il quale con Battistelli, si porta appresso la sua ( loro ) compagnia di giro. Fuortes le 'lezioni di musica' di Bietti, e Battistelli, le presentazioni dei concerti di Catucci, provenienza Quirinale. Piccola annotazione. E' vero allora che Battsitelli e dall'Ongaro sono rimasti amici, dopo l'ascesa del secondo e la sconfitta del primo a Santa cecilia. Altrimenti, Catucci, dello stretto giro dall'ongaro, già prestato a Battistelli , all'epoca della sua direzione della Biennale, ma sempre restando utilizzato 'dipendente non occasionale' di dall'Ongaro al Quirinale, non sbarcherebbe all'Opera per i meravigliosi sei concerti di Battistelli, affollatissimi - come nessuno ha notato, l'altra sera.
Piccola aggiunta in calce.
Ieri abbiamo scritto all'Ufficio stampa dell'Opera per segnalare un errore grossolano sul sito del teatro, errore che in nessun altro posto sarebbe tollerato. A proposito del curriculum professionale di VINICIO CAPOSSELA, ospitato il mese prossimo - sempre nella linea del grande rinnovamento - che egli è un BAND LIEDER (tutto minuscolo), quando invece avrebbero dovuto scrivere BAND LEADER. Siamo andati a riguardare il sito, ancora nessuna correzione, loro non hanno tempo da perdere per queste quisquilie.
All'Opera di Roma, come in qualunque altro campo che conta, in Italia prima si assumono le persone e poi si cerca qualcosa da fargli fare. Mai il contrario: prima un progetto necessario, e poi le persone capaci per realizzarlo.
Assunto Battistelli, in coppia con Vlad, qualcosa di 'suo' bisognava trovarlo, necessario o no importa poco. E Battiselli s'è subito attivato, con una serie di concerti che ha dell'incredibile: per ognuno di essi un brano classico, uno del Novecento ed uno contemporaneo: esattamente ciò che per anni ha fatto l'Orchestra del Lazio, poi defunta, ma non per questo.
Ma più interessante del programma è il racconto che ne ha fatto alla stampa Fuortes. Una tecnica di programma innovativa, ha sottolineato, per rendere visibile come i secoli, gli stili sono legati fra loro, come a dire, da Beethoven a Battistelli.
Non basta. Il Teatro, anche il teatro, inteso come Sala Costanzi, s'è rivoluzionato per questo progetto. I nostri teatri non sono nati per la sinfonica - ha fatto capire Battistelli a Fuortes - il palcoscenico non è il luogo più adatto per accogliere un'orchestra. E Fuortes, ha fatto a Battistelli un omaggio da mille e una notte, facendo costruire un prolungamento del palcoscenico che porterà l'Orchestra quasi in mezzo alla platea, in parte liberata di file di poltrone, ma non per paura che restino vuote. Una soluzione che molti teatri di mezzo mondo adotteranno.
E poi, ha proseguito ancora Fuortes: altra innovazione, non ci siamo rivolti allo star system musicale, nella scelta di direttori e solisti: quasi tutti nomi sconosciuti in Italia; notissimi invece a chi ,come Battistelli, frequenta sale da concerto teatri e festival di tutto il mondo, tutti tassativamente stranieri. Altro bel regalo.
Evidentemente nè Fuortes - inutile pretenderlo da Battistelli- nè un qualunque giornalista si rendono conto delle idiozie, astruse ed anche costose, sparate per una iniziativa che, normalissima in un altro posto qualunque, all'Opera di Roma deve assumere connotati particolari, semplicemente per non porsi la domanda fondamentale: che ci sta a fare Battistelli; come anche : è questa la riforma e la rinascita dell'Opera secondo Fuortes. Il quale con Battistelli, si porta appresso la sua ( loro ) compagnia di giro. Fuortes le 'lezioni di musica' di Bietti, e Battistelli, le presentazioni dei concerti di Catucci, provenienza Quirinale. Piccola annotazione. E' vero allora che Battsitelli e dall'Ongaro sono rimasti amici, dopo l'ascesa del secondo e la sconfitta del primo a Santa cecilia. Altrimenti, Catucci, dello stretto giro dall'ongaro, già prestato a Battistelli , all'epoca della sua direzione della Biennale, ma sempre restando utilizzato 'dipendente non occasionale' di dall'Ongaro al Quirinale, non sbarcherebbe all'Opera per i meravigliosi sei concerti di Battistelli, affollatissimi - come nessuno ha notato, l'altra sera.
Piccola aggiunta in calce.
Ieri abbiamo scritto all'Ufficio stampa dell'Opera per segnalare un errore grossolano sul sito del teatro, errore che in nessun altro posto sarebbe tollerato. A proposito del curriculum professionale di VINICIO CAPOSSELA, ospitato il mese prossimo - sempre nella linea del grande rinnovamento - che egli è un BAND LIEDER (tutto minuscolo), quando invece avrebbero dovuto scrivere BAND LEADER. Siamo andati a riguardare il sito, ancora nessuna correzione, loro non hanno tempo da perdere per queste quisquilie.
martedì 10 novembre 2015
Laura Ravetto, parlamentare FI, si è SFIDANZATA.
Lo ha annunciato, con messaggino attesissimo, prima che comincino a circolare voci su suoi presunti flirt o relazioni altre, la deputata azzurra Laura Ravetto. "Sono sfidanzata". Le ha fatto eco il coro unanime del popolo della rete: 'chissenefrega!'. Fuori dal coro, la rete ha registrato anche altre voci, del tipo: 'Ravetto chi?'.
Non non vogliamo unirci a questo coro unanime, ma disumano, che non riesce a mettersi nei panni stracciati della povera deputata azzurra, alla quale offriamo, non richiesti, un consiglio, nel caso voglia, per il futuro ancor fidanzarsi. Si tratta di un consiglio vecchio quanto il mondo e dunque collaudato, anche se garanzie eterne non può darne al volubile animo umano: " Mariti, quanti ne vuoi, ma dei partiti tuoi. Come anche i buoi".
La Ravetto s'era spinta nel campo avverso, in quello della sinistra parlamentare, nel quale anche un'altra parlamentare azzurra, poi alfianiana, e poi di nuovo azzurra, s'è spinta ed abita da tempo, osando sfidare il destino e la sapienza popolare, facendosi inanellare da un deputato del PD ( De Girolamo-Boccia); nel qual caso quel detto popolare sembra sospeso, almeno fino a questa mattina. Ma, si sa, il futuro chi può dire di conoscerlo?
L'aver citato quel detto a commento di una celebre unione d'altri tempi, quella fra Occhetto e sua moglie, una cantante cresciuta negli ambienti del suo partito, immortalata sui giornali patinati da foto romantiche sullo sfondo di fioritissime buganvillee ci attirò le ire ed anche gli insulti di tanti iscritti importanti del partito del segretario PD, per aver mischiato, sporcandola, politica e sentimenti.
Roba d'altri secoli. Avevamo solo scritto, con una punta di ironia, e qualche commento di troppo, giudicato blasfemo: 'mogli e buoi dei partiti tuoi'. Quel famoso adagio popolare, funzionò per qualche tempo, ma poi fece acqua e i due, benchè dello stesso partito, dal quale si consiglia di scegliere, eventualmente, anche i buoi, si sono smaritati.
Non non vogliamo unirci a questo coro unanime, ma disumano, che non riesce a mettersi nei panni stracciati della povera deputata azzurra, alla quale offriamo, non richiesti, un consiglio, nel caso voglia, per il futuro ancor fidanzarsi. Si tratta di un consiglio vecchio quanto il mondo e dunque collaudato, anche se garanzie eterne non può darne al volubile animo umano: " Mariti, quanti ne vuoi, ma dei partiti tuoi. Come anche i buoi".
La Ravetto s'era spinta nel campo avverso, in quello della sinistra parlamentare, nel quale anche un'altra parlamentare azzurra, poi alfianiana, e poi di nuovo azzurra, s'è spinta ed abita da tempo, osando sfidare il destino e la sapienza popolare, facendosi inanellare da un deputato del PD ( De Girolamo-Boccia); nel qual caso quel detto popolare sembra sospeso, almeno fino a questa mattina. Ma, si sa, il futuro chi può dire di conoscerlo?
L'aver citato quel detto a commento di una celebre unione d'altri tempi, quella fra Occhetto e sua moglie, una cantante cresciuta negli ambienti del suo partito, immortalata sui giornali patinati da foto romantiche sullo sfondo di fioritissime buganvillee ci attirò le ire ed anche gli insulti di tanti iscritti importanti del partito del segretario PD, per aver mischiato, sporcandola, politica e sentimenti.
Roba d'altri secoli. Avevamo solo scritto, con una punta di ironia, e qualche commento di troppo, giudicato blasfemo: 'mogli e buoi dei partiti tuoi'. Quel famoso adagio popolare, funzionò per qualche tempo, ma poi fece acqua e i due, benchè dello stesso partito, dal quale si consiglia di scegliere, eventualmente, anche i buoi, si sono smaritati.
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Non ne bastava uno. A Roma ora ci sono due DIRETTORI ONORARI A VITA che però dirigono poco o affatto: Muti, Temirkanov
L'informatissimo Cappelli, sul 'Corriere' di ieri, dava in anteprima una notizia ( non notizia), passatagli da qualche gola profonda dell'Accademia di Santa Cecilia. Fra breve verrà ufficialmente annunciato - scriveva Cappelli, orgoglioso di conoscere prima di ogni altro il contenuto dell'annuncio in questione - che Yuri Temirkanov è stato nominato 'DIRETTORE ONORARIO A VITA' dell'Orchestra sinfonica dell'Accademia di Santa Cecilia, di cui è direttore musicale Tony Pappano, e della quale si sta cercando in questi mesi anche un 'direttore principale ospite' per iniziative particolari che la compresenza di Pappano a Roma e Londra, impedisce all'orchestra di prendere in considerazione. Un podio che si vuole sempre più popolato, almeno quanto la direzione artistica e musicale dell'Accademia.
Ma la nomina di Temirkanov, che ha come esclusivo scopo quello di far parlare dell'Accademia e nessun altro, pone un piccolo problema. Di solito la nomina a direttore onorario a vita viene data dall'orchestra ad un suo direttore che l'ha diretta per molti anni e che, alla fine del mandato, ottiene questa sorta di riconoscimento 'perenne'. Ma Temirkanov, ospite abituale dell'orchestra romana, non è mai staro una presenza così stabile da meritare, nei fatti, tale titolo onorifico, che certamente male non fa, ma che, nello stesso tempo, non significa nulla. Se ricordiamo bene, all'uscita di scena di Chung, si fece il suo nome come successore, prima di Pappano; come anche quello di Sawallisch, e nessuno dei due accettò - speriamo di non sbagliarci.
A Roma c'è già un altro caso di 'DIRETTORE ONORARIO A VITA', latitante,, forse e riguarda l'orchestra dell'Opera e Riccardo Muti. Anche in questo caso mai titolo onorifico portò sfiga maggiore all'orchestra, perchè Muti se lo guadagnò in appena qualche mese da direttore all'Opera, senza altro titolo forse per far dimenticare al popolo della muscia la mancata accettazione da parte di Muti di un qualunque incarico stabile e concreto; e, dopo la rottura, a dispetto di quel titolo onorifico del quale il teatro continua a fregiarsi ma che a Muti non importa un fico secco, si dà per certo che all'orizzonte non sia previsto un qualunque ritorno del direttore onorario a vita. Che ora viaggia lontano dal Costanzi.
Ma la nomina di Temirkanov, che ha come esclusivo scopo quello di far parlare dell'Accademia e nessun altro, pone un piccolo problema. Di solito la nomina a direttore onorario a vita viene data dall'orchestra ad un suo direttore che l'ha diretta per molti anni e che, alla fine del mandato, ottiene questa sorta di riconoscimento 'perenne'. Ma Temirkanov, ospite abituale dell'orchestra romana, non è mai staro una presenza così stabile da meritare, nei fatti, tale titolo onorifico, che certamente male non fa, ma che, nello stesso tempo, non significa nulla. Se ricordiamo bene, all'uscita di scena di Chung, si fece il suo nome come successore, prima di Pappano; come anche quello di Sawallisch, e nessuno dei due accettò - speriamo di non sbagliarci.
A Roma c'è già un altro caso di 'DIRETTORE ONORARIO A VITA', latitante,, forse e riguarda l'orchestra dell'Opera e Riccardo Muti. Anche in questo caso mai titolo onorifico portò sfiga maggiore all'orchestra, perchè Muti se lo guadagnò in appena qualche mese da direttore all'Opera, senza altro titolo forse per far dimenticare al popolo della muscia la mancata accettazione da parte di Muti di un qualunque incarico stabile e concreto; e, dopo la rottura, a dispetto di quel titolo onorifico del quale il teatro continua a fregiarsi ma che a Muti non importa un fico secco, si dà per certo che all'orizzonte non sia previsto un qualunque ritorno del direttore onorario a vita. Che ora viaggia lontano dal Costanzi.
lunedì 9 novembre 2015
I Conservatori di musica italiani sono stati spogliati, da tempo, di musicisti di valore che esercitano la professione. E le direzioni non fanno eccezione.
E' già un miracolo se ancora oggi dai nostri Conservatori escono giovani musicisti preparati. Colpa dei sindacati che, per le solite beghe, nessun argine sono riusciti a mettere al declassamento della nostra scuola musicale, mentre hanno impedito ai musicisti che esercitavano la professione, e dunque i più capaci e adatti a trasmetterla con competenza, di insegnare nei conservatori. Perciò i giovani che escono preparati lo dobbiamo a quelle poche isole felici che sono, nei vari istituti, quei musicisti che pur non avendo mai esercitato la professione, si sono dedicati, per indubbia capacità, all'insegnamento, con impegno. Non è detto che il musicista professionista che esercita sia in ogni caso insegnante migliore del musicista didatta e basta. Fatto è che il musicista che esercita pubblicamente la professione ne sa molte di più del musicista semplicemente didatta.
E così i musicisti di valore riconosciuto vanno ad insegnare nelle varie accademie straniere ed in quelle italiane che, per aggirare il divieto, sono nate come funghi per iniziativa degli stessi musicisti ostracizzati, divenendo in molti casi un passaggio obbligato per accedere realmente alla professione, per la quale evidentemente il Conservatorio non fornisce dalla a alla z tutti gli elementi fondamentali.
Oggi, complice ancora il sindacato, esiste una legge che vieta ai dipendenti pubblici, come lo sono anche gli insegnanti di Conservatorio e qualunque altro insegnante, di avere contemporaneamente un secondo o terzo incarico pubblico o privato, non occasionale e saltuario, e retribuito - nel caso dei musicisti varie direzioni artistiche od anche dirigenze di carattere amministrativo. La legge lo vieta, i direttori ed il ministero ne sono a conoscenza, ma nessuno fa nulla, si lascia correre, salvo i casi in cui a qualcuno non prende lo sghiribizzo di denunciare in tribunale tale illegalità ed allora le cose si rimettono in ordine, anche con l'intervento della Guardia di Finanza che reclama la restituzione dei compensi ricevuti.
Questa è la situazione, e basta per far mettere a tutti le mani nei capelli. La situazione non cambia se ci si sofferma sui direttori, che non sempre sono vigili attenti e sanzionatori delle anomalie, anche perchè non c'è conservatorio italiano, fra la settantina circa esistenti, che abbia un direttore di nome, un musicista cioè conosciuto, almeno in Italia, per la sua professione e che abbia l'autorevolezza di far sentire la sua voce. La gran parte proviene dalla categoria dei 'signori nessuno', onest'uomini, gente che non ha mai suonato in pubblico, nè ha fatto mai parte di un'orchestra, neppure amatoriale.
Noi che leggiamo giornali e riviste ogni giorno e che ci informiamo di ciò che accade in Italia, specie in campo musicale, fra i direttori dei conservatori italiani, conosciamo, per la loro pubblica riconosciuta attività di musicisti, sebbene a livelli differenti nei vari casi, soltanto Alessandro Melchiorre ( direttore, a Milano), Roberto Cappello ( Parma), Daniele Ficola ( Palermo), Renato Meucci ( Novara), Marco Zuccarini ( Torino), Roberto Iovino (Genova). E gli altri sessanta e passa ?
E così i musicisti di valore riconosciuto vanno ad insegnare nelle varie accademie straniere ed in quelle italiane che, per aggirare il divieto, sono nate come funghi per iniziativa degli stessi musicisti ostracizzati, divenendo in molti casi un passaggio obbligato per accedere realmente alla professione, per la quale evidentemente il Conservatorio non fornisce dalla a alla z tutti gli elementi fondamentali.
Oggi, complice ancora il sindacato, esiste una legge che vieta ai dipendenti pubblici, come lo sono anche gli insegnanti di Conservatorio e qualunque altro insegnante, di avere contemporaneamente un secondo o terzo incarico pubblico o privato, non occasionale e saltuario, e retribuito - nel caso dei musicisti varie direzioni artistiche od anche dirigenze di carattere amministrativo. La legge lo vieta, i direttori ed il ministero ne sono a conoscenza, ma nessuno fa nulla, si lascia correre, salvo i casi in cui a qualcuno non prende lo sghiribizzo di denunciare in tribunale tale illegalità ed allora le cose si rimettono in ordine, anche con l'intervento della Guardia di Finanza che reclama la restituzione dei compensi ricevuti.
Questa è la situazione, e basta per far mettere a tutti le mani nei capelli. La situazione non cambia se ci si sofferma sui direttori, che non sempre sono vigili attenti e sanzionatori delle anomalie, anche perchè non c'è conservatorio italiano, fra la settantina circa esistenti, che abbia un direttore di nome, un musicista cioè conosciuto, almeno in Italia, per la sua professione e che abbia l'autorevolezza di far sentire la sua voce. La gran parte proviene dalla categoria dei 'signori nessuno', onest'uomini, gente che non ha mai suonato in pubblico, nè ha fatto mai parte di un'orchestra, neppure amatoriale.
Noi che leggiamo giornali e riviste ogni giorno e che ci informiamo di ciò che accade in Italia, specie in campo musicale, fra i direttori dei conservatori italiani, conosciamo, per la loro pubblica riconosciuta attività di musicisti, sebbene a livelli differenti nei vari casi, soltanto Alessandro Melchiorre ( direttore, a Milano), Roberto Cappello ( Parma), Daniele Ficola ( Palermo), Renato Meucci ( Novara), Marco Zuccarini ( Torino), Roberto Iovino (Genova). E gli altri sessanta e passa ?
I Conservatori di musica italiani al tempo dell'EXPO
Tutti si sono messi in bella mostra nel padiglione Italia, attraverso la presenza di piccoli gruppi che, di pomeriggio, hanno accompagnato ed allietato, Quignard li perdoni, l'andirivieni di visitatori. Non potevano scegliere vetrina e occasione peggiori i nostri Conservatori, per far sapere che esistono e che hanno tanti problemi, sebbene della loro esistenza e dei loro problemi, anche in occasione della loro presenza all'EXPO, nessuno ha fatto parola. Nessuno ha parlato, neanche in questa occasione, del futuro non così roseo dei giovani musicisti italiani, assediati dalla massiccia presenza di musicisti stranieri - una invasione a danno degli italiani, simile, mutatis mutandis, a quella dell'immigrazione. Con la differenza che nel caso dell'immigrazione ci sono gli scafisti che speculano sulla pelle delle persone, sulla loro vita, nel caso dei musicisti, speculano sul loro futuro e sull'incerto presente, sia gli agenti che i direttori artistici, molti dei quali fanno conto, per non mostrare le loro lacune, sui nomi stranieri che colpiscono più di quelli italiani e dei quali non è sempre facile conoscere il curriculum. Anche nel caso dell'EXPO la musica è stata considerata l'eterna intrattenitrice ed accompagnatrice di ogni nostra azione.
Dell'esistenza e dell'attività, ambedue intermittenti, della Orchestra nazionale dei Conservatori Italiani, invece 'nessuna nuova', che in questo caso non vuol dire 'buona nuova'. Anzi. La conferenza dei direttori ed il suo presidente dovrebbero forse, se tengono alle sorti della musica italiana, interessarsene di più e farsi sentire.
Come si fanno sentire alcuni Conservatori con attività sempre più frenetica . Ma serve?
Novara ad esempio, il cui Conservatorio è intitolato a Guido Cantelli, il giovane direttore pupillo di Toscanini, scomparso nel famoso incidente aereo all'aeroporto di Orly, ha organizzato una mostra dedicata al direttore novarese, mettendo sotto gli occhi di tutti, cimeli e documenti del direttore, raccolti amorosamente da Badalì.
Sempre sul terreno delle mostre, in questo caso si tratterebbe invece di una mostra permamente, si è attivato il Conservatorio Verdi di Milano per celebrare Toscanini. Nella mostra è finito - omaggio del proprietario - anche un prezioso frac del celebre direttore, donato da Riccardo Muti che del Conservatorio milanese è stato allievo (dopo gli studi di pianoforte con Vitale a Napoli) studiando composizione con Bettinelli e direzione con Votto.
Sul terreno, invece, della produzione musicale, risulta superattivo il Conservatorio di Roma, intitolato a Santa Cecilia, come la omonima Accademia con la quale viene spesso, indebitamente, scambiato da gazzettieri ignoranti. Il Conservatorio di Roma, con i suoi complessi, dall'orchestra interna ai gruppi cameristici, ai solisti, tiene concerti e stagioni di concerti - chiamati tutti senza eccezioni: EVENTI) in tutta la città e ad ogni ora ( l'ultima al Teatro Eliseo, la domenica mattina), in numero superiore forse anche a quelli canonici dell'Accademia. Già altre volte ci siamo chiesti ciò che nuovamente ora facciamo: ma questi ragazzi quando studiano?
Dell'esistenza e dell'attività, ambedue intermittenti, della Orchestra nazionale dei Conservatori Italiani, invece 'nessuna nuova', che in questo caso non vuol dire 'buona nuova'. Anzi. La conferenza dei direttori ed il suo presidente dovrebbero forse, se tengono alle sorti della musica italiana, interessarsene di più e farsi sentire.
Come si fanno sentire alcuni Conservatori con attività sempre più frenetica . Ma serve?
Novara ad esempio, il cui Conservatorio è intitolato a Guido Cantelli, il giovane direttore pupillo di Toscanini, scomparso nel famoso incidente aereo all'aeroporto di Orly, ha organizzato una mostra dedicata al direttore novarese, mettendo sotto gli occhi di tutti, cimeli e documenti del direttore, raccolti amorosamente da Badalì.
Sempre sul terreno delle mostre, in questo caso si tratterebbe invece di una mostra permamente, si è attivato il Conservatorio Verdi di Milano per celebrare Toscanini. Nella mostra è finito - omaggio del proprietario - anche un prezioso frac del celebre direttore, donato da Riccardo Muti che del Conservatorio milanese è stato allievo (dopo gli studi di pianoforte con Vitale a Napoli) studiando composizione con Bettinelli e direzione con Votto.
Sul terreno, invece, della produzione musicale, risulta superattivo il Conservatorio di Roma, intitolato a Santa Cecilia, come la omonima Accademia con la quale viene spesso, indebitamente, scambiato da gazzettieri ignoranti. Il Conservatorio di Roma, con i suoi complessi, dall'orchestra interna ai gruppi cameristici, ai solisti, tiene concerti e stagioni di concerti - chiamati tutti senza eccezioni: EVENTI) in tutta la città e ad ogni ora ( l'ultima al Teatro Eliseo, la domenica mattina), in numero superiore forse anche a quelli canonici dell'Accademia. Già altre volte ci siamo chiesti ciò che nuovamente ora facciamo: ma questi ragazzi quando studiano?
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Ancora su Giovanni Allevi. Il caso Pascal Quignard, quello di 'Tous les matins du monde'
Una conferma, non richiesta, di ciò che abbiamo scritto di Giovani Allevi - sia dei suoi atteggiamenti che della sua musica - ci è venuta leggendo in rete una breve intervista al pianista Bollani che critica l'aria 'troppo ispirata' del pianista compositore di 'musica classica/contemporanea' che si presta, come la sua musica, a immancabili critiche.
Se l'interessato si mostrasse meno sprovveduto - ma solo all'apparenza!, il suo personaggio è ben costruito e preservato dai suoi venditori - e meno eterno fanciullo (cresciutello!) ispirato, egli stesso toglierebbe materia a chiunque voglia ancora azzardare qualche appunto sul suo modo di presentarsi e sulla sua musica, compresa anche l'ultima, in prima italiana a chiusura del Festival internazionale di musica e arte sacra a Roma, la 'Toccata, Canzone e Fuga' per organo, ovviamente (In un video in rete si vede il compositore, al termine della prima esecuzione di questa sua nuova opera, in Germania, rivolgersi all'organo-strumento ed omaggiarlo con inchino e lancio di bacio:penoso! Ma nello stesso video neppure una sola immagine sulla platea della chiesa tedesca. Chissà perchè)
Indirettamente sull'argomento del compositore 'ispirato', come Allevi, torna anche Nicola Piovani su 'La Repubblica', a margine di un articolo che dei musicisti cosiddetti 'leggeri' racconta particolari davvero minuscoli, in taluni casi anche manie, che sarebbero alla base dell'ispirazione di alcune loro canzoni. Ripetendo e ribadendo che il demone dell'ispirazione non esiste e, se esistesse, nessuno saprebbe dove cercarlo, nè come riconoscerlo. Certo nella nascita di opere dell'ingegno, specie nel campo artistico, non va sottovalutato il talento degli autori ( che secondo un celebre detto conta forse per l' 1%), mentre per il restante 99% c'entra il lavoro (sempre secondo il celebre detto, verità sacrosanta). Vero è anche che senza talento, per quanto sia in percentuale bassissima la sua incidenza sulla singola creazione artistica, difficilmente si avrebbero opere d'arte, che sono il frutto 'sudato' di un lavoro duro, lungo e costante. Lo dicono tutti, ad eccezione forse di Allevi, che invece scrive quando il demone lo prende, entra dentro di lui nonostante che il corpo faccia resistenza, ma alla cui potenza alla fine deve abbandonarsi. E qualche volta accade che il demone si impossessi di lui anche in luoghi e circostanze impensabili. Durante una festa, mentre cammina per strada. A quel punto l'invasato cosa può fare, se non fermare il tempo, il traffico, o il brindisi e correre a casa prima che il demone l'abbandoni e non sa quando tornerà ad ispirarlo?
Quando si dice i casi strani della vita. Uno scrittore francese, che di nome fa Pascal Quignard, autore di un best seller che ebbe anche una altrettanto nota trasposizione cinematografica, a firma Alain Corneau ('Tour les matins du monde', si intitolava il romanzo ed anche il film, protagonista Depardieu che impersonava il musicista barocco Sainte-Colombe ) che deliziò a lungo esperti ed amatori, torna (vorrebbe tornare) a far parlare di sè con un libro che vuole, come dicono i francesi 'épater' tutti senza distinzione, intitolato 'La haine de la musique' (tradotto da Marella Nappi e pubblicato da EDT con il titolo 'L'odio della musica'). Il contrario di quel che narrava nel precedente romanzo che aveva come soggetto, se non ricordiamo male, proprio l'amore per la musica.
E' bene subito precisare che il romanzo-film è del 1987; il saggio, ora tradotto in italiano è invece del 1996, e dunque prima di poter essere letto nella nostra lingua - ma era proprio necessario? - ha atteso quasi vent'anni.
Cosa scrive Quignard di tanto forte e spiazzante? Innanzitutto che non è vero che la musica è la 'lingua' dell'uomo; la sua lingua è il linguaggio: mentre tutti gli uomini rischiano di essere attirati e travolti dal 'mare sonoro'; addirittura che 'la musica è il richiamo sonoro che attira verso la morte'. Addio perciò tutti i canti elevati alla musica come la lingua più universale, quella che affratella i popoli. Tutte fandonie. La musica è morte e non vita. E a dimostrazione, il Quignard, va ai campi di concentramento nazisti. Nessuna altra arte si rese complice di quei delitti contro l'umanità e degli ignominiosi eccidi commessi in quegli inferni, come la musica, la quale veniva diffusa nei campi, crudele ed indifferente spettatrice, o si confondeva, anzi li nascondeva, con gli scoppiettii dei forni crematori. Lo scrittore arriva addirittura a scrivere che 'la musica è l'unica arte che concorse allo sterminio degli ebrei...'.
Dove si può arrivare quando ci si mette in testa che si vuole ad ogni costo 'épater tout le monde'. E poi quando le munizioni finiscono, dopo averle sparate così grosse in ogni direzione, ecco una qualche asserzione condivisibile, come quella riguardante l'invasione del rumore (o suono) attraverso le tecnologie, che rende la 'musica imprescindibile e ripugnante', e che non lascia spazio al silenzio, alla riflessione, quanto meno la rende assai difficoltosa.
Se l'interessato si mostrasse meno sprovveduto - ma solo all'apparenza!, il suo personaggio è ben costruito e preservato dai suoi venditori - e meno eterno fanciullo (cresciutello!) ispirato, egli stesso toglierebbe materia a chiunque voglia ancora azzardare qualche appunto sul suo modo di presentarsi e sulla sua musica, compresa anche l'ultima, in prima italiana a chiusura del Festival internazionale di musica e arte sacra a Roma, la 'Toccata, Canzone e Fuga' per organo, ovviamente (In un video in rete si vede il compositore, al termine della prima esecuzione di questa sua nuova opera, in Germania, rivolgersi all'organo-strumento ed omaggiarlo con inchino e lancio di bacio:penoso! Ma nello stesso video neppure una sola immagine sulla platea della chiesa tedesca. Chissà perchè)
Indirettamente sull'argomento del compositore 'ispirato', come Allevi, torna anche Nicola Piovani su 'La Repubblica', a margine di un articolo che dei musicisti cosiddetti 'leggeri' racconta particolari davvero minuscoli, in taluni casi anche manie, che sarebbero alla base dell'ispirazione di alcune loro canzoni. Ripetendo e ribadendo che il demone dell'ispirazione non esiste e, se esistesse, nessuno saprebbe dove cercarlo, nè come riconoscerlo. Certo nella nascita di opere dell'ingegno, specie nel campo artistico, non va sottovalutato il talento degli autori ( che secondo un celebre detto conta forse per l' 1%), mentre per il restante 99% c'entra il lavoro (sempre secondo il celebre detto, verità sacrosanta). Vero è anche che senza talento, per quanto sia in percentuale bassissima la sua incidenza sulla singola creazione artistica, difficilmente si avrebbero opere d'arte, che sono il frutto 'sudato' di un lavoro duro, lungo e costante. Lo dicono tutti, ad eccezione forse di Allevi, che invece scrive quando il demone lo prende, entra dentro di lui nonostante che il corpo faccia resistenza, ma alla cui potenza alla fine deve abbandonarsi. E qualche volta accade che il demone si impossessi di lui anche in luoghi e circostanze impensabili. Durante una festa, mentre cammina per strada. A quel punto l'invasato cosa può fare, se non fermare il tempo, il traffico, o il brindisi e correre a casa prima che il demone l'abbandoni e non sa quando tornerà ad ispirarlo?
Quando si dice i casi strani della vita. Uno scrittore francese, che di nome fa Pascal Quignard, autore di un best seller che ebbe anche una altrettanto nota trasposizione cinematografica, a firma Alain Corneau ('Tour les matins du monde', si intitolava il romanzo ed anche il film, protagonista Depardieu che impersonava il musicista barocco Sainte-Colombe ) che deliziò a lungo esperti ed amatori, torna (vorrebbe tornare) a far parlare di sè con un libro che vuole, come dicono i francesi 'épater' tutti senza distinzione, intitolato 'La haine de la musique' (tradotto da Marella Nappi e pubblicato da EDT con il titolo 'L'odio della musica'). Il contrario di quel che narrava nel precedente romanzo che aveva come soggetto, se non ricordiamo male, proprio l'amore per la musica.
E' bene subito precisare che il romanzo-film è del 1987; il saggio, ora tradotto in italiano è invece del 1996, e dunque prima di poter essere letto nella nostra lingua - ma era proprio necessario? - ha atteso quasi vent'anni.
Cosa scrive Quignard di tanto forte e spiazzante? Innanzitutto che non è vero che la musica è la 'lingua' dell'uomo; la sua lingua è il linguaggio: mentre tutti gli uomini rischiano di essere attirati e travolti dal 'mare sonoro'; addirittura che 'la musica è il richiamo sonoro che attira verso la morte'. Addio perciò tutti i canti elevati alla musica come la lingua più universale, quella che affratella i popoli. Tutte fandonie. La musica è morte e non vita. E a dimostrazione, il Quignard, va ai campi di concentramento nazisti. Nessuna altra arte si rese complice di quei delitti contro l'umanità e degli ignominiosi eccidi commessi in quegli inferni, come la musica, la quale veniva diffusa nei campi, crudele ed indifferente spettatrice, o si confondeva, anzi li nascondeva, con gli scoppiettii dei forni crematori. Lo scrittore arriva addirittura a scrivere che 'la musica è l'unica arte che concorse allo sterminio degli ebrei...'.
Dove si può arrivare quando ci si mette in testa che si vuole ad ogni costo 'épater tout le monde'. E poi quando le munizioni finiscono, dopo averle sparate così grosse in ogni direzione, ecco una qualche asserzione condivisibile, come quella riguardante l'invasione del rumore (o suono) attraverso le tecnologie, che rende la 'musica imprescindibile e ripugnante', e che non lascia spazio al silenzio, alla riflessione, quanto meno la rende assai difficoltosa.
venerdì 6 novembre 2015
L'errore di Eleonora Abbagnato che Roberto Bolle ha evitato
La tentazione per un ballerino o una ballerina di fare il passo più lungo e più alto di quanto le gambe non gli consentono è forte. E, nonostante il pericolo che tale azzardo comporta, primo fra tutti quello di spezzarsele le gambe, c'è chi rischia. Secondo noi ha rischiato e tuttora rischia Eleonora Abbagnato che ha voluto ad ogni costo assumere la direzione del ballo all'Opera di Roma, spalleggiata da due ignari irresponsabili, come Fuortes e Marino, che pensarono di rimpiazzare con una bella giovane brava famosa ballerina , il non più giovane Mischa che ha seguito Muti, suo patron, lontano dall'Opera di Roma (se non lo avesse fatto, forse neanche a Ravenna, regno incontrastato dei Muti, troverebbe impiego).
Staremo a vedere i frutti della gestione Fuortes-Abbagnato; se son fiori fioriranno e noi saremo pronti ad ammettere che non avevamo visto giusto.
Ma se di errore s'è trattato nel caso della Abbagnato - come noi crediamo, convinti che natura ed anche danza 'non faciunt saltus' - Roberto Bolle, altro grande nome internazionale della danza italiana, ha evitato accuratamente di cadere nello steso tranello, al momento in cui il direttore del ballo della Scala ha fatto sapere che, fra qualche mese, lascerà la Scala per tornare nella sua Mosca. Milano con Bolle poteva fare la stessa scelta -errata, lo ripetiamo - che Roma ha fatto con la Abbagnato, ma Roberto il bello ha detto no. E bene ha fatto. Lui sa fare il ballerino, non ha mai diretto un corpo di ballo, perchè deve cominciare ora un lavoro che non sa fare e che potrebbe oscurare i suoi trionfi e le sue capacità come ballerino?
Lui, Roberto, fa altri progetti, alcuni dei quali con il suo quasi coetaneo Dudamel, Gustavo per gli amici, che ha una moglie ex ballerina dilettante e amante della danza, già programmati a Los Angeles dove il direttore venezuelano è di casa e lo sarà ancora per qualche anno.
Insieme stanno pensando ad alcuni concerti coreografici. Cioè, Dudamel esegue alcuni celebri pezzi scritti per balletto, con l'orchestra sul palco e nello stesso tempo questi stessi pezzi, nati per la danza, vengono danzati su quello stesso palco. Si tratta di un esperimento nuovo. Non è la stessa cosa del balletto normale, con l'orchestra in buca, o con nastro preregistrato ed il palcoscenico tutto abitato dalla danza; no, ma di un concerto in forma ballettistica, un concerto con coreografia, nel caso di balletti celebri (ci sembra abbiamo pensato a celeberrimi pezzi di Stravinsky, con l'Apollo Bolle che li danza).
Fa bene Bolle; mentre farebbe altrettanto bene a desistere da quella sua recente attività, un solo caso, di regista, che ha fatto conoscere ai milanesi ed al mondo la Milano della Scala, in occasione dell'EXPO.
Perché il mestiere del regista, come quello di direttore di un corpo di ballo, non si improvvisa; e perchè se continuasse, darebbe ragione a Gabriele Muccino che, nel criticare Pasolini autore di capolavori cinematografici che lui sostiene essere regista 'amatoriale', anzi 'non' regista, pensa che quella sua attività ha fatto credere a molti che il mestiere del regista sia alla portata di tutti.
E noi non vorremmo per lui che dopo aver evitato la padella, nella quale è cascata la Abbagnato, cada nella brace, frutto dell'esempio pasoliniano, secondo Muccino, che rosica.
Staremo a vedere i frutti della gestione Fuortes-Abbagnato; se son fiori fioriranno e noi saremo pronti ad ammettere che non avevamo visto giusto.
Ma se di errore s'è trattato nel caso della Abbagnato - come noi crediamo, convinti che natura ed anche danza 'non faciunt saltus' - Roberto Bolle, altro grande nome internazionale della danza italiana, ha evitato accuratamente di cadere nello steso tranello, al momento in cui il direttore del ballo della Scala ha fatto sapere che, fra qualche mese, lascerà la Scala per tornare nella sua Mosca. Milano con Bolle poteva fare la stessa scelta -errata, lo ripetiamo - che Roma ha fatto con la Abbagnato, ma Roberto il bello ha detto no. E bene ha fatto. Lui sa fare il ballerino, non ha mai diretto un corpo di ballo, perchè deve cominciare ora un lavoro che non sa fare e che potrebbe oscurare i suoi trionfi e le sue capacità come ballerino?
Lui, Roberto, fa altri progetti, alcuni dei quali con il suo quasi coetaneo Dudamel, Gustavo per gli amici, che ha una moglie ex ballerina dilettante e amante della danza, già programmati a Los Angeles dove il direttore venezuelano è di casa e lo sarà ancora per qualche anno.
Insieme stanno pensando ad alcuni concerti coreografici. Cioè, Dudamel esegue alcuni celebri pezzi scritti per balletto, con l'orchestra sul palco e nello stesso tempo questi stessi pezzi, nati per la danza, vengono danzati su quello stesso palco. Si tratta di un esperimento nuovo. Non è la stessa cosa del balletto normale, con l'orchestra in buca, o con nastro preregistrato ed il palcoscenico tutto abitato dalla danza; no, ma di un concerto in forma ballettistica, un concerto con coreografia, nel caso di balletti celebri (ci sembra abbiamo pensato a celeberrimi pezzi di Stravinsky, con l'Apollo Bolle che li danza).
Fa bene Bolle; mentre farebbe altrettanto bene a desistere da quella sua recente attività, un solo caso, di regista, che ha fatto conoscere ai milanesi ed al mondo la Milano della Scala, in occasione dell'EXPO.
Perché il mestiere del regista, come quello di direttore di un corpo di ballo, non si improvvisa; e perchè se continuasse, darebbe ragione a Gabriele Muccino che, nel criticare Pasolini autore di capolavori cinematografici che lui sostiene essere regista 'amatoriale', anzi 'non' regista, pensa che quella sua attività ha fatto credere a molti che il mestiere del regista sia alla portata di tutti.
E noi non vorremmo per lui che dopo aver evitato la padella, nella quale è cascata la Abbagnato, cada nella brace, frutto dell'esempio pasoliniano, secondo Muccino, che rosica.
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giovedì 5 novembre 2015
La società ottimizzatrice 'Tasse & Finanze' ha aiutato anche Bocelli
Chi non vorrebbe poter disporre, cittadino della moderna Europa, con buone possibilità economiche, di una società come quella ticinese che si chiama appunto 'Tax& Finance' che ha come suo scopo statutario, quello di 'ottimizzare' i rapporti dei cittadini con il Fisco e di rendere il più possibile redditizi i capitali disponibili - che, detto in parole più semplici, vuol dire: come fregare il fisco dei paesi che hanno regimi fiscali più onerosi?
Ci si rivolge ad una tale società, o a tante sue consorelle - perchè anche nei periodi di crisi, mentre la maggioranza della popolazione tira la cinghia, c'è chi si arricchisce a spese degli altri e, non contento, tenta di mettere a profitto i soldi guadagnati alle spalle del popolo impoverito - e si domanda come pagare meno tasse, costi quel che costi. La società indica su due piedi, data la lunga esperienza e la bravura dei suoi dirigenti, come fare. La strada più semplice sembra quella di creare una società in paesi che hanno un regime fiscale meno oneroso; si trova il modo per inventarsi qualche ragione plausibile da sbattere in faccia al fisco quando dovesse accorgersi del trucco, e da vantare in caso di contenzioso, che ogni tanto arriva e quasi sempre vede gli 'ottimizzati' perdenti e condannati a
pagare.
Le notizie di questi giorni danno anche Andrea Bocelli fra questi: con la consulenza di quella santa società, avrebbe, a sua volta, creato una sua società in Irlanda (conosciamo tante altre aziende ed anche persone fisiche che hanno creato analoghe società in Irlanda, o in altri paesi dove le tasse che si pagano sono di gran lunga inferiori a quelle italiane). E quando il fisco gli contesta tale operazione, lui ha già pronta la risposta, fornitagli da subito dalla società 'ottimizzatrice': Io ho un attività internazionale sono cittadino del mondo, guadagno dappertutto, ma non pago le tasse nel mio paese nel quale ho la residenza. Mica scemo. Questo lui non lo dice, ma la logica alla quale si sarebbe ispirato per tale operazione non è che questa.
Ora che anche Bocelli, divenuto straricco, e che si professa benefattore dell'umanità con alcune sue iniziative lodevolissime, debba evadere il fisco italiano, è vergognoso. Perciò paghi tutto quello che ha evaso, saldi il conto con la società ottimizzatrice, e porti tutti i suoi soldi in Italia. Che se ne deve fare di quella montagna di soldi che, grazie alla sua voce, ha guadagnato e continua a guadagnare?
Ci si rivolge ad una tale società, o a tante sue consorelle - perchè anche nei periodi di crisi, mentre la maggioranza della popolazione tira la cinghia, c'è chi si arricchisce a spese degli altri e, non contento, tenta di mettere a profitto i soldi guadagnati alle spalle del popolo impoverito - e si domanda come pagare meno tasse, costi quel che costi. La società indica su due piedi, data la lunga esperienza e la bravura dei suoi dirigenti, come fare. La strada più semplice sembra quella di creare una società in paesi che hanno un regime fiscale meno oneroso; si trova il modo per inventarsi qualche ragione plausibile da sbattere in faccia al fisco quando dovesse accorgersi del trucco, e da vantare in caso di contenzioso, che ogni tanto arriva e quasi sempre vede gli 'ottimizzati' perdenti e condannati a
pagare.
Le notizie di questi giorni danno anche Andrea Bocelli fra questi: con la consulenza di quella santa società, avrebbe, a sua volta, creato una sua società in Irlanda (conosciamo tante altre aziende ed anche persone fisiche che hanno creato analoghe società in Irlanda, o in altri paesi dove le tasse che si pagano sono di gran lunga inferiori a quelle italiane). E quando il fisco gli contesta tale operazione, lui ha già pronta la risposta, fornitagli da subito dalla società 'ottimizzatrice': Io ho un attività internazionale sono cittadino del mondo, guadagno dappertutto, ma non pago le tasse nel mio paese nel quale ho la residenza. Mica scemo. Questo lui non lo dice, ma la logica alla quale si sarebbe ispirato per tale operazione non è che questa.
Ora che anche Bocelli, divenuto straricco, e che si professa benefattore dell'umanità con alcune sue iniziative lodevolissime, debba evadere il fisco italiano, è vergognoso. Perciò paghi tutto quello che ha evaso, saldi il conto con la società ottimizzatrice, e porti tutti i suoi soldi in Italia. Che se ne deve fare di quella montagna di soldi che, grazie alla sua voce, ha guadagnato e continua a guadagnare?
Consigli a Papa Francesco: controlli chi si mette in casa
Ciò che emerge dalle cronache vaticane di questi giorni è che i nuovi assunti, nell'era di Francesco, somigliano ai residenti dalle passate gestioni. Insomma come può Papa Francesco o chi per lui non essersi informato BENE prima di assumere qualcuno cui affidare la cassa? Quel monsignore piccolo piccolo che, indispettito per una promozione non ricevuta, si vendica, non l'ha esaminato bene prima di assumerlo. E quella giovane signora, con tanta voglia di far carriera, figlia di un egiziano e di una calabrese, dal nome quasi impossibile da scrivere, CHAOUQUI, sposata con un perito informatico, che potrebbe aver sfruttato la sua posizione per agi personali, economici e di carriera, anche fuori dal Vaticano, assunta a tempo di record forse per dimostrare che la Chiesa è donna meritava forse maggiore attenzione.
Certo, specie ora che si sa che anche la Procura di Terni indaga la signora e suo marito, e che sempre la signora per anni, anche dopo la morte di una sua zia handicappata, ha usato per entrare e circolare a Roma, in zone a traffico limitato, il contrassegno della zia, defunta; e che ha reiterato l'illecito anche quando, dopo la morte della zia, cambiando macchina ha richiesto ancora il permesso di circolazione, il Vaticano non può stare a guardare, deve assumere decisioni anche dolorose ma necessarie, perchè parliamo di ladruncole/i di polli, ai quali il Vaticano affida , in qualche modo, la gestione della cassa.
Vallini, vicario del Papa, lancia il suo anatema su Roma che è governata da gente incompetente e di nessuna moralità.
Cardinale, di grazia, provveda a risanare anche il Vaticano. Faccia pulizia di tanti sacerdoti e prelati, ed anche dei laici cooptati dall'amministrazione della Chiesa, che non hanno nulla da invidiare ai politici incompetenti, amanti degli agi, quando non anche disonesti e ladruncoli.
Già, il Vaticano non è fuori dal mondo, non sta su Marte. Allora un pò più di attenzione, come viene consigliato dallo stesso Vaticano alla società civile nel momento in cui si scelgono i candidati a governare il paese.
Certo, specie ora che si sa che anche la Procura di Terni indaga la signora e suo marito, e che sempre la signora per anni, anche dopo la morte di una sua zia handicappata, ha usato per entrare e circolare a Roma, in zone a traffico limitato, il contrassegno della zia, defunta; e che ha reiterato l'illecito anche quando, dopo la morte della zia, cambiando macchina ha richiesto ancora il permesso di circolazione, il Vaticano non può stare a guardare, deve assumere decisioni anche dolorose ma necessarie, perchè parliamo di ladruncole/i di polli, ai quali il Vaticano affida , in qualche modo, la gestione della cassa.
Vallini, vicario del Papa, lancia il suo anatema su Roma che è governata da gente incompetente e di nessuna moralità.
Cardinale, di grazia, provveda a risanare anche il Vaticano. Faccia pulizia di tanti sacerdoti e prelati, ed anche dei laici cooptati dall'amministrazione della Chiesa, che non hanno nulla da invidiare ai politici incompetenti, amanti degli agi, quando non anche disonesti e ladruncoli.
Già, il Vaticano non è fuori dal mondo, non sta su Marte. Allora un pò più di attenzione, come viene consigliato dallo stesso Vaticano alla società civile nel momento in cui si scelgono i candidati a governare il paese.
Card. Bertone, cambi casa, faccia come papa Francesco
Il card. Bertone, estromesso da papa Francesco dalla segreteria di Stato vaticana; quello del mega appartamento di lusso con annesso superiore mega terrazzo; quello che ha riempito il Vaticano di salesiani, a cominciare dalla cappella Sistina (intesa come cappella musicale) e l'Ospedale Bambino Gesù di genovesi, si è oggi discolpato, dalle pagine del Corriere della Sera, delle accuse che gli sono state mosse in questi giorni, prima di ogni altra quella relativa all'appartamento principesco in cui abita in Vaticano, assegntogli beninteso dal governatorato, i cui lavori di ristrutturazione sarebbero costati quanto un appartamento (300.000 pagati da lui e 250.000 dalla Fondazione Bambino Gesù del suo amico Profiti, genovese, del quale il nosocomio infantile si è sbarazzato, appena il suo protettore, Bertone, è caduto in disgrazia). Lui l'ha pagato quei lavori con 'i risparmi di una vita'. Continua a non capire, e con lui molti altri prelati che non hanno ancora capito che il vento nella chiesa di Francesco è cambiato. E non solo lui. Pensiamo - sempre a proposito degli appartamenti di lusso - ad altri cardinali come Sandri, o come Filoni: quest'ultimo abita un principesco appartamento al Gianicolo, lui che è prefetto di Propaganda Fide, del dicastero cioè che amministra i beni della Chiesa, compresi tutti quegli appartamenti che, prima di lui, il card. Sepe aveva affittato ad amici e amici degli amici, i cui proventi dovrebbero servire per la diffusione della fede. L'elenco dei prelati che abitano case principesche è lungo, e i giornali l'hanno più volte reso noto, ancor prima dei due libri che in queste ore stanno uscendo nei quali si fanno i conti in tasca alle sacre tasche vaticane.
Noi non siamo nè Bertone, nè Sandri e neanche Filoni, ma se fossimo Bertone, Sandri e Filoni, sapremmo il da farsi: lasceremmo immediatamente quelle dimore che stridono fortemente con l'immagine di una chiesa che si rivolge ai poveri, agli ultimi della terra.
Toglieremmo dal collo quelle catene d'oro, talvolta anche pacchiane, con il crocifisso, che sta lì a dir loro ogni momento: vergognatevi! e lasceremmo a casa anche gli anelli preziosi che fanno da pendant nell'abbigliamento aureo dei prelati della Chiesa.
Chi abbraccia il sacerdozio, nella Chiesa, deve rinunciare a tutti gli agi che la società concede ai cittadini operosi, nel caso in cui abbiano fatto fortuna. Il grado di appartenenza alla Chiesa e la posizione nella gerarchia di qualsiasi prelato, non si misura, come fuori dalla Chiesa, dalla fortuna che uno s'è costruito e dagli agi conseguenti che in quel caso uno si può pagare, bensì dal suo distacco da tutto ciò che è terreno e dal servizio reso ai più poveri.
Perciò alla vergogna, dovrebbe seguire il cambio di vita, l'abbandono degli agi, o addirittura lo scomparire per fare vita ritirata, nel silenzio e nella preghiera, lontani dal mondo, per espiare la colpa di non aver capito il proprio ruolo nella chiesa e il comportamento che ne discende.
E se non fanno questo, nessuna giustificazione tiene per mantenere le loro posizioni, semplicemente VERGOGNOSE.
Noi non siamo nè Bertone, nè Sandri e neanche Filoni, ma se fossimo Bertone, Sandri e Filoni, sapremmo il da farsi: lasceremmo immediatamente quelle dimore che stridono fortemente con l'immagine di una chiesa che si rivolge ai poveri, agli ultimi della terra.
Toglieremmo dal collo quelle catene d'oro, talvolta anche pacchiane, con il crocifisso, che sta lì a dir loro ogni momento: vergognatevi! e lasceremmo a casa anche gli anelli preziosi che fanno da pendant nell'abbigliamento aureo dei prelati della Chiesa.
Chi abbraccia il sacerdozio, nella Chiesa, deve rinunciare a tutti gli agi che la società concede ai cittadini operosi, nel caso in cui abbiano fatto fortuna. Il grado di appartenenza alla Chiesa e la posizione nella gerarchia di qualsiasi prelato, non si misura, come fuori dalla Chiesa, dalla fortuna che uno s'è costruito e dagli agi conseguenti che in quel caso uno si può pagare, bensì dal suo distacco da tutto ciò che è terreno e dal servizio reso ai più poveri.
Perciò alla vergogna, dovrebbe seguire il cambio di vita, l'abbandono degli agi, o addirittura lo scomparire per fare vita ritirata, nel silenzio e nella preghiera, lontani dal mondo, per espiare la colpa di non aver capito il proprio ruolo nella chiesa e il comportamento che ne discende.
E se non fanno questo, nessuna giustificazione tiene per mantenere le loro posizioni, semplicemente VERGOGNOSE.
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