Una conferma, non richiesta, di ciò che abbiamo scritto di Giovani Allevi - sia dei suoi atteggiamenti che della sua musica - ci è venuta leggendo in rete una breve intervista al pianista Bollani che critica l'aria 'troppo ispirata' del pianista compositore di 'musica classica/contemporanea' che si presta, come la sua musica, a immancabili critiche.
Se l'interessato si mostrasse meno sprovveduto - ma solo all'apparenza!, il suo personaggio è ben costruito e preservato dai suoi venditori - e meno eterno fanciullo (cresciutello!) ispirato, egli stesso toglierebbe materia a chiunque voglia ancora azzardare qualche appunto sul suo modo di presentarsi e sulla sua musica, compresa anche l'ultima, in prima italiana a chiusura del Festival internazionale di musica e arte sacra a Roma, la 'Toccata, Canzone e Fuga' per organo, ovviamente (In un video in rete si vede il compositore, al termine della prima esecuzione di questa sua nuova opera, in Germania, rivolgersi all'organo-strumento ed omaggiarlo con inchino e lancio di bacio:penoso! Ma nello stesso video neppure una sola immagine sulla platea della chiesa tedesca. Chissà perchè)
Indirettamente sull'argomento del compositore 'ispirato', come Allevi, torna anche Nicola Piovani su 'La Repubblica', a margine di un articolo che dei musicisti cosiddetti 'leggeri' racconta particolari davvero minuscoli, in taluni casi anche manie, che sarebbero alla base dell'ispirazione di alcune loro canzoni. Ripetendo e ribadendo che il demone dell'ispirazione non esiste e, se esistesse, nessuno saprebbe dove cercarlo, nè come riconoscerlo. Certo nella nascita di opere dell'ingegno, specie nel campo artistico, non va sottovalutato il talento degli autori ( che secondo un celebre detto conta forse per l' 1%), mentre per il restante 99% c'entra il lavoro (sempre secondo il celebre detto, verità sacrosanta). Vero è anche che senza talento, per quanto sia in percentuale bassissima la sua incidenza sulla singola creazione artistica, difficilmente si avrebbero opere d'arte, che sono il frutto 'sudato' di un lavoro duro, lungo e costante. Lo dicono tutti, ad eccezione forse di Allevi, che invece scrive quando il demone lo prende, entra dentro di lui nonostante che il corpo faccia resistenza, ma alla cui potenza alla fine deve abbandonarsi. E qualche volta accade che il demone si impossessi di lui anche in luoghi e circostanze impensabili. Durante una festa, mentre cammina per strada. A quel punto l'invasato cosa può fare, se non fermare il tempo, il traffico, o il brindisi e correre a casa prima che il demone l'abbandoni e non sa quando tornerà ad ispirarlo?
Quando si dice i casi strani della vita. Uno scrittore francese, che di nome fa Pascal Quignard, autore di un best seller che ebbe anche una altrettanto nota trasposizione cinematografica, a firma Alain Corneau ('Tour les matins du monde', si intitolava il romanzo ed anche il film, protagonista Depardieu che impersonava il musicista barocco Sainte-Colombe ) che deliziò a lungo esperti ed amatori, torna (vorrebbe tornare) a far parlare di sè con un libro che vuole, come dicono i francesi 'épater' tutti senza distinzione, intitolato 'La haine de la musique' (tradotto da Marella Nappi e pubblicato da EDT con il titolo 'L'odio della musica'). Il contrario di quel che narrava nel precedente romanzo che aveva come soggetto, se non ricordiamo male, proprio l'amore per la musica.
E' bene subito precisare che il romanzo-film è del 1987; il saggio, ora tradotto in italiano è invece del 1996, e dunque prima di poter essere letto nella nostra lingua - ma era proprio necessario? - ha atteso quasi vent'anni.
Cosa scrive Quignard di tanto forte e spiazzante? Innanzitutto che non è vero che la musica è la 'lingua' dell'uomo; la sua lingua è il linguaggio: mentre tutti gli uomini rischiano di essere attirati e travolti dal 'mare sonoro'; addirittura che 'la musica è il richiamo sonoro che attira verso la morte'. Addio perciò tutti i canti elevati alla musica come la lingua più universale, quella che affratella i popoli. Tutte fandonie. La musica è morte e non vita. E a dimostrazione, il Quignard, va ai campi di concentramento nazisti. Nessuna altra arte si rese complice di quei delitti contro l'umanità e degli ignominiosi eccidi commessi in quegli inferni, come la musica, la quale veniva diffusa nei campi, crudele ed indifferente spettatrice, o si confondeva, anzi li nascondeva, con gli scoppiettii dei forni crematori. Lo scrittore arriva addirittura a scrivere che 'la musica è l'unica arte che concorse allo sterminio degli ebrei...'.
Dove si può arrivare quando ci si mette in testa che si vuole ad ogni costo 'épater tout le monde'. E poi quando le munizioni finiscono, dopo averle sparate così grosse in ogni direzione, ecco una qualche asserzione condivisibile, come quella riguardante l'invasione del rumore (o suono) attraverso le tecnologie, che rende la 'musica imprescindibile e ripugnante', e che non lascia spazio al silenzio, alla riflessione, quanto meno la rende assai difficoltosa.
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