Fontane spente e Pos accesi in piazza Gae Aulenti. Bip, transazione eseguita. Al «The Stage Cafè» non è un suono improvvisamente ripetuto, il bip del pagamento elettronico, né un sottofondo per coprire commenti rispetto alla commissione bancaria. Qui, dove si servono soprattutto studenti e lavoratori, la «strisciata» è sempre stata la modalità più utilizzata: «Mai fissato un tetto di spesa per il circuito bancomat — spiega un dipendente mentre presidia i tavoli all’aperto —, l’85 per cento dei clienti usa carte o app, infatti è capitato di fare incassi di giornata senza contanti. Zero, nemmeno una moneta». Poco più in là, Unicredit pubblicizza su un cartellone il terminale elettronico con il proprio brand. Pos che invece sembra ancora inviso alla categoria dei tassisti. «Ce l’ho, certo, eccolo qui, ma sono stufo di lavorare per ingrassare le banche» lo sfogo di un autista, che nel frattempo fa salire a bordo un turista straniero, «ma — mette le mani avanti — ho finito il rotolino di carta per stampare la ricevuta». Dietro, un collega della stessa scuola di pensiero: «Ho tre figli, pur di lavorare va bene anche il Pos, ma all’estero non ci sono tutte queste commissioni».
Cosa prevede la nuova legge
Prove sul campo, resoconti e pareri nel pomeriggio del 30 giugno, un giorno non qualsiasi, con commercianti e liberi professionisti «svegliati» da una nuova legge che non ammette ignoranza, né scuse: ora è un obbligo avere il Pos e accettare un pagamento elettronico di qualsiasi importo, pena una sanzione di 30 euro più il quattro per cento della transazione negata, una maggiorazione più alta della commissione media prevista dagli istituti di credito, di solito all’1,5 per cento. Al cliente basterà denunciare l’esercente «contrario», promuovendo una misura che dovrebbe concorrere alla lotta all’evasione fiscale. In un bar di corso Como un cliente sta acquistando una bottiglia d’acqua al prezzo di un euro e cinquanta centesimi e chiede al barista: «Posso pagare con la carta?». L’altro annuisce: affermativo. Non molto lontano, in viale Monte Grappa, fa capolino «Tramé», il regno del sandwich ma anche dei Pos, con terminali di ogni tipo, compresi quelli per ricevere i buoni pasto accreditati su carta. «È sempre stata la nostra politica — spiega Carlos mentre serve un paio di avventori —, non è una novità, l’obiettivo è sempre stato quello di semplificare la vita al cliente, anche quando vuole pagare 20 centesimi con carta o con un’app come Satispay».
Dal bar all’edicola, tutti accettano il pagamento elettronico
Dal Naviglio Pavese, la testimonianza di un ragazzo appena uscito da un bar con una bottiglia d’acqua: «Mi hanno chiesto se avessi moneta, visto il costo di un euro, ma ho risposto di no, allora ho atteso ben tre minuti prima di concludere il pagamento, avrei voluto andarmene. In un altro bar, invece, ho ordinato un caffè, anche qui la stessa domanda sul contante, ma al mio rifiuto è comparso il Pos all’istante». Insomma, quando l’importo è irrisorio i negozianti sembrano recalcitranti, ma almeno ora, nei primi giorni di «scuola» della norma, potrebbe prevalere la totale adesione. Anche all’edicola del Duomo nessun rifiuto da segnalare. Come in periferia, dove a Baggio è stato possibile acquistare un accendino e due panini senza il ricorso a monetine o banconote. La nota stonata arriva da una lavanderia in zona Washington, dove la titolare sembra avere studiato più di altri la legge, che non prevede sanzioni se il Pos ha problemi tecnici o di connessione. «Ho appoggiato la carta per il pagamento di 28 euro — racconta uno storico cliente del negozio — ma a un certo punto è comparsa proprio la scritta “mancata connessione”, con tanto di lamento della commessa perché il terminale non prende mai».
I costi delle commissioni
La riflessione generale sulla partita tra contante e moneta elettronica è del segretario locale di Confcommercio, Marco Barbieri: «A Milano il problema non è mai stato il Pos, che è anche uno strumento di sicurezza, bensì i suoi costi, e cioè le commissioni sui piccoli importi che riducono la marginalità degli esercenti. Ci appelliamo alle banche perché possano agevolare le piccole realtà, non solo i colossi che hanno più potere contrattuale per i maggiori volumi. Per il resto ci siamo anche noi per la promozione di questo percorso culturale».