giovedì 30 giugno 2022

Da oggi esercizi commerciali con il POS. Multe ai trasgressori

 Fontane spente e Pos accesi in piazza Gae Aulenti. Bip, transazione eseguita. Al «The Stage Cafè» non è un suono improvvisamente ripetuto, il bip del pagamento elettronico, né un sottofondo per coprire commenti rispetto alla commissione bancaria. Qui, dove si servono soprattutto studenti e lavoratori, la «strisciata» è sempre stata la modalità più utilizzata: «Mai fissato un tetto di spesa per il circuito bancomat — spiega un dipendente mentre presidia i tavoli all’aperto —, l’85 per cento dei clienti usa carte o app, infatti è capitato di fare incassi di giornata senza contanti. Zero, nemmeno una moneta». Poco più in là, Unicredit pubblicizza su un cartellone il terminale elettronico con il proprio brand. Pos che invece sembra ancora inviso alla categoria dei tassisti. «Ce l’ho, certo, eccolo qui, ma sono stufo di lavorare per ingrassare le banche» lo sfogo di un autista, che nel frattempo fa salire a bordo un turista straniero, «ma — mette le mani avanti — ho finito il rotolino di carta per stampare la ricevuta». Dietro, un collega della stessa scuola di pensiero: «Ho tre figli, pur di lavorare va bene anche il Pos, ma all’estero non ci sono tutte queste commissioni».

Cosa prevede la nuova legge

Prove sul campo, resoconti e pareri nel pomeriggio del 30 giugno, un giorno non qualsiasi, con commercianti e liberi professionisti «svegliati» da una nuova legge che non ammette ignoranza, né scuse: ora è un obbligo avere il Pos e accettare un pagamento elettronico di qualsiasi importo, pena una sanzione di 30 euro più il quattro per cento della transazione negata, una maggiorazione più alta della commissione media prevista dagli istituti di credito, di solito all’1,5 per cento. Al cliente basterà denunciare l’esercente «contrario», promuovendo una misura che dovrebbe concorrere alla lotta all’evasione fiscale. In un bar di corso Como un cliente sta acquistando una bottiglia d’acqua al prezzo di un euro e cinquanta centesimi e chiede al barista: «Posso pagare con la carta?». L’altro annuisce: affermativo. Non molto lontano, in viale Monte Grappa, fa capolino «Tramé», il regno del sandwich ma anche dei Pos, con terminali di ogni tipo, compresi quelli per ricevere i buoni pasto accreditati su carta. «È sempre stata la nostra politica — spiega Carlos mentre serve un paio di avventori —, non è una novità, l’obiettivo è sempre stato quello di semplificare la vita al cliente, anche quando vuole pagare 20 centesimi con carta o con un’app come Satispay».

Dal bar all’edicola, tutti accettano il pagamento elettronico

Dal Naviglio Pavese, la testimonianza di un ragazzo appena uscito da un bar con una bottiglia d’acqua: «Mi hanno chiesto se avessi moneta, visto il costo di un euro, ma ho risposto di no, allora ho atteso ben tre minuti prima di concludere il pagamento, avrei voluto andarmene. In un altro bar, invece, ho ordinato un caffè, anche qui la stessa domanda sul contante, ma al mio rifiuto è comparso il Pos all’istante». Insomma, quando l’importo è irrisorio i negozianti sembrano recalcitranti, ma almeno ora, nei primi giorni di «scuola» della norma, potrebbe prevalere la totale adesione. Anche all’edicola del Duomo nessun rifiuto da segnalare. Come in periferia, dove a Baggio è stato possibile acquistare un accendino e due panini senza il ricorso a monetine o banconote. La nota stonata arriva da una lavanderia in zona Washington, dove la titolare sembra avere studiato più di altri la legge, che non prevede sanzioni se il Pos ha problemi tecnici o di connessione. «Ho appoggiato la carta per il pagamento di 28 euro — racconta uno storico cliente del negozio — ma a un certo punto è comparsa proprio la scritta “mancata connessione”, con tanto di lamento della commessa perché il terminale non prende mai».

I costi delle commissioni

La riflessione generale sulla partita tra contante e moneta elettronica è del segretario locale di Confcommercio, Marco Barbieri: «A Milano il problema non è mai stato il Pos, che è anche uno strumento di sicurezza, bensì i suoi costi, e cioè le commissioni sui piccoli importi che riducono la marginalità degli esercenti. Ci appelliamo alle banche perché possano agevolare le piccole realtà, non solo i colossi che hanno più potere contrattuale per i maggiori volumi. Per il resto ci siamo anche noi per la promozione di questo percorso culturale». 

MACRON: i 10 ex terroristi italiani residenti e protetti in Francia siano ESTRADATI e GIUDICATI in Italia ( da Il Giornale.it, di Fabrizio De Feo)

 «Il processo agli ex terroristi italiani si faccia in Italia». È un segnale politico importante quello che arriva da Parigi, una conferma della nuova impostazione politica di Emmanuel Macron, deciso a recidere le interpretazioni eccessivamente estensive della cosiddetta «dottrina Mitterand». Il presidente francese, all'indomani della decisione della Corte d'Appello che ha negato l'estradizione, fa sapere che la Francia valuta il ricorso. Macron esprime la «volontà politica di collaborare con il governo italiano» per l'estradizione degli ex militanti dell'area dell'estrema sinistra accusati di reati legati al terrorismo negli Anni di piombo e rifugiatisi in Francia.

© Fornito da Il Giornale

«Per quanto riguarda le decisioni del sistema giudiziario francese, per definizione, non mi pronuncio su di essa. In ogni caso, ho detto che politicamente sostenevo l'approccio, e che appoggiavo la richiesta del governo italiano per quanto riguarda questi brigatisti, in accordo peraltro con la dottrina che la Francia ha sempre avuto», spiega Macron, rispondendo a un giornalista durante la conferenza stampa al termine del vertice Nato di Madrid. «Perché la Francia - ha ricordato - aveva respinto solo le richieste di estradizione di persone non coinvolte in crimini di sangue. In questo caso specifico - fa notare il presidente francese - queste persone sono state coinvolte in crimini di sangue e meritano di essere processate sul suolo italiano. Questo è il rispetto che dobbiamo alle famiglie delle vittime e alla nazione italiana». Ora, continua Macron, «è stata presa una decisione legale. Questa decisione non è nota oggi, ma il suo risultato è comunque noto. Io non l'ho visto scritto. Ma spetta a noi, nelle prossime ore, verificare se è possibile un ricorso alla Corte Suprema, o in ogni caso, se ci sono ancora canali giurisdizionali che ci permettano di andare oltre». «Quindi non posso dirvi altro, se non ribadire la volontà politica di collaborare con il governo italiano su questo tema e di farlo in coerenza con la linea che è sempre stata della Francia. Tutto dipende ora, in questo caso, da altre questioni legali e giurisdizionali».

Il livello di attenzione politica sulle mancate estradizioni, all'indomani della sentenza della corte francese, resta alto e le polemiche non mancano, riverberandosi anche sulla ratifica del Trattato del Quirinale, firmato nel novembre scorso da Emmanuel Macron e Mario Draghi, un documento che dovrebbe rilanciare un nuovo asse di cooperazione franco-italiano. «La Francia nega l'estradizione in Italia di 10 terroristi delle Brigate Rosse in quanto nella nostra Nazione non sarebbe garantito il giusto processo. Mi auguro che l'Aula si ricordi di questo atteggiamento francese quando martedì arriverà la ratifica del Trattato del Quirinale tra Italia e Francia» dichiara in Aula il senatore di Fdi, Giovanbattista Fazzolari. Protesta anche il collega Andrea Delmastro. Il trattato all'articolo 4 prevede la cooperazione giudiziaria e di polizia, la consegna delle persone e la lotta coordinata al terrorismo.

Si fa sentire anche la voce delle forze di polizia italiane, attraverso il Consap. «A volte la tempistica esalta l'illogicità. Nel paese d'Oltralpe cambiano i tempi ma non la dottrina Mitterand - dichiara il segretario Cesario Bortone - per il sindacato di polizia quella della corte d'appello di Parigi è una sentenza irrispettosa della giustizia italiana. Tra i terroristi figurano tra gli altri anche pluriomicidi. Un caso a parte poi la questione di Giorgio Pietrostefani da quello che il suo sodale Adriano Sofri ha definito vecchio uomo e nonno, ancora aspettiamo la verità sul vile agguato costato la vita al commissario Calabresi».

LUCCA, città della musica. L'Istituto 'Boccherini' Conservatorio (da La Repubblica- Firenze)

 La musica ha scandito la storia dell’umanità fin dai suoi albori, svolgendo un ruolo fondamentale per le civiltà e le culture più disparate. La sua esistenza è attestata a partire da 55mila anni fa, con l’inizio del Paleolitico superiore, e da allora si è evoluta dando vita a una straordinaria varietà di generi e forme sonore. Oltre ad accompagnarci in molte attività quotidiane, come fonte di svago, divertimento, relax, con conseguenti risvolti positivi sull’umore e sulla mente, la musica ha anche un’importante funzione sociale, grazie alla sua capacità di favorire l’inclusione e il superamento delle differenze.

In Toscana a vantare un’eccellente tradizione è senza dubbio la città di Lucca, dove le più antiche testimonianze di scuole musicali sono reperibili in fonti del VII secolo. Dalle piazze alle chiese, dai giardini e ai palazzi storici, così come a teatro e nei caffè, molteplici sono i luoghi dove durante l’anno è possibile godere dell’arte dei suoni che si tramanda nel tempo e che ancora oggi viene coltivata con passione, tanto che l’insegnamento della musica riveste da sempre un ruolo cardine. Terra di interpreti e compositori di fama internazionale, Lucca ha dato i natali a figure come Giacomo Puccini, Alfredo Catalani e Luigi Boccherini.

Proprio a quest’ultimo, vissuto tra la metà del Settecento e l’inizio dell’Ottocento, è intitolato l’omonimo Istituto Superiore di Studi Musicali risalente al 1842. Nel 1999 la scuola è stata trasformata in istituzione del Comune di Lucca, avviando un percorso conclusosi poche settimane fa con la firma di una convenzione che ne ha sancito il definitivo passaggio a conservatorio statale, dopo che il pareggiamento era stato ottenuto nel settembre 1924. Una transizione epocale che ha visto riconosciuto il valore dell’offerta didattica e dell’organizzazione dell’Istituto Luigi Boccherini. I corsi accademici di I e II livello attirano ogni anno centinaia di studenti da tutto il mondo, con le domande di iscrizione che puntualmente superano i posti disponibili.

Qui ha studiato Giacomo Puccini e, più recentemente, si sono formati Andrea Bocelli e il figlio Matteo. Con i suoi 180 anni di vita è uno dei più antichi istituti musicali d’Italia e il rispetto per la tradizione non impedisce al Boccherini di rispondere alle esigenze degli allievi di oggi e alle sfide di un mondo in continua evoluzione come quello della musica. In questa direzione va il progetto di un terzo ciclo, che darà l’opportunità di andare oltre il diploma di II livello, alla stregua del potenziamento dei vari segmenti dell’offerta formativa e delle attrezzature, tra cui rientrano il primo master in Italia dedicato alla musica applicata alle immagini e l’impianto audio/video all’avanguardia del quale è stato recentemente dotato l’auditorium.

Ad attrarre gli studenti, provenienti anche dal Centro America così come dall’Estremo Oriente, è poi l’intensa attività di produzione artistica che contraddistingue l’Istituto. La ricca programmazione concertistica non si limita a offrire al pubblico numerosi appuntamenti di ottimo livello, ma è pensata per integrare la didattica dando modo agli allievi di perfezionarsi sul campo. Le rassegne tematiche, come il Guitar Festival, l’Open Piano, il Bass Festival e quello dedicato ai fiati, contribuiscono a qualificare la preparazione degli studenti, mentre le frequenti collaborazioni con enti e istituzioni musicali permettono ai giovani di suonare accanto a musicisti affermati, in appuntamenti di livello internazionale.

Per presentare domanda di iscrizione al nuovo anno accademico del conservatorio Luigi Boccherini c’è tempo fino al 31 luglio. Un’occasione da non perdere per chi ama la musica al punto da voler trasformare la propria passione in una professione, affidandosi a un’eccellenza italiana che da quasi due secoli tiene viva la tradizione di una città dove l’arte dei suoni e il suo insegnamento si sono ritagliati una posizione di primo piano.

Ucraina. Nel mirino dei russi oltre il Donbass anche Odessa ( da Il Giornale.it, di Mauro Indelicato)

 Nuova notte di bombardamenti in Ucraina e nuova strage di civili a seguito della caduta di alcuni missili su edifici residenziali. Questa volta a contare numerose vittime dopo l'ennesimo bombardamento è l'oblast di Odessa. A Bilhorod-Dnistrovsky, in particolare, un missile ha centrato un palazzo residenziale di nove piani.

© Fornito da Il Giornale

Così come dichiarato nelle ultime ore dalle autorità regionali di Odessa, sotto le macerie si sta continuando a scavare perché si teme la presenza di numerose vittime. Al momento il bilancio parla di 17 morti, ma potrebbero essere di più. L'edificio centrato dal missile (non si sa se perché diretto verso di esso oppure perché deviato dalla contraerea) questa notte non era evacuato ed era regolarmente abitato dai suoi residenti.

Si combatte nel Donbass

Intanto si continua a combattere nel Donbass. Oramai l'attenzione è quasi interamente puntata su Slovjansk, cittadina dell'oblast di Donetsk diventata, dopo la caduta di Severodonetsk, principale obiettivo militare del Cremlino.

Russi e filorussi stanno avanzando dalle aree di Izyum e Lyman, precedentemente conquistate dalle truppe di Mosca tra i mesi di aprile e maggio. Due veri e propri avamposti situati a ridosso del fiume Seversky Donetsk da cui poi poter puntare per l'appunto verso Slovjansk e non solo. A pochi chilometri più a sud della città infatti si trova la “gemella” Kramatorsk, diventata nel 2014 capoluogo provvisorio dell'oblast di Donetsk. Un quadrante quindi fondamentale per i russi, i quali in caso di conquista potrebbero rivendicare quella che il Cremlino ha sempre chiamato come “liberazione” del Donbass.

Si capisce quindi perché in queste ore i combattimenti stanno convergendo proprio da queste parti. Nella notte sono stati segnalati nuovi intensi scambi di colpi di artiglieria tra le parti. La guerra nel Donbass si sta dimostrando proprio come un confronto simile ai conflitti di una volta, svolto tra trincee e dove l'artiglieria sta avendo un ruolo predominante.

Un ulteriore motivo che ha spinto Kiev a chiedere ancora più armi all'occidente. Lo ha fatto lo stesso presidente Volodymyr Zelensky nel suo consueto discorso notturno su Telegram. Secondo gli ucraini, l'unica chance per non perdere il Donbass è data proprio dalla possibilità di usare contro gli uomini di Mosca le armi più moderne in arrivo dall'occidente.

C'è comunque da dire che durante la notte i russi, così come negli ultimi giorni, nonostante una forte pressione militare al momento non sono riusciti a penetrare in profondità verso Slovyansk e ad attaccare frontalmente la città. Occorrerebbero, secondo diversi analisti anche occidentali, ancora diversi giorni di combattimenti vista anche la natura del terreno e la conoscenza del territorio da parte degli ucraini.

Partita invece quasi chiusa nell'oblast di Lugansk. Caduta Severodonetsk, i russi provano ad assaltare Lysychansk. Notizie di combattimenti nella zona sono arrivate anche nella notte. Prendere la cittadina però potrebbe richiedere anche in questo caso del tempo, in quanto situata su una delle poche alture della regione.

I combattimenti quindi stanno proseguendo. L'unica notizia distensiva è arrivata ieri da Zaporizhzhia, dove russi e ucraini hanno scambiato centinaia di combattenti. Alcuni di loro, sul versante di Kiev, hanno combattuto all'interno dell'acciaieria Azovstal di Mariupol.

Giuseppe Conte non è più lo stesso. Più che Draghi, Giuseppi teme Beppe ( da Corriere della sera, di Tommaso Labate)

 Racconta nelle ultime ore un ministro dei suoi vecchi governi, che gli è rimasto affezionato e con cui si sente spesso, che «il problema di Conte non è Draghi ma Grillo». Racconta che « Draghi è finito in mezzo» a una faida politica tra omonimi, Giuseppe contro Beppe e viceversa; che «se Grillo avesse dato il via libera al terzo mandato dei parlamentari, le nuove tensioni tra il M5S e il governo sarebbero riesplose semmai dopo l’estate»; insomma, che «tenere sulla corda il presidente del Consiglio e l’esecutivo, a cui Grillo tiene tantissimo, è l’ultima strada per provare ad avere finalmente mani libere da capo politico».

© Fornito da Corriere della Sera

Che abbia tutte le ragioni del mondo, come sostengono gli amici, oppure che non ne abbia neanche mezza, come ripete la pletora di nemici, il Giuseppe Conte delle ultime settimane abbandona la strada di quel «governismo dolce» quasi oltre i limiti del buonismo, che ne aveva accresciuto gli indici di popolarità prima, durante e anche dopo l’esperienza di Palazzo Chigi; e veste i panni del barricadero socio di una maggioranza di governo che passa il tempo a tenere l’esecutivo sul filo del rasoio, minacciando dietro le quinte l’appoggio esterno salvo poi smentirlo (ieri), ventilando voti contrari che all’ultimo minuto diventano a favore (nell’ultima risoluzione sull’Ucraina), appiccando politicamente incendi che forse si spengono e forse no, di certo lasciano cenere e macerie.

Del cinquantenne bonario autoproclamatosi «avvocato del popolo italiano», di quel «Giuseppi» che evocava tenerezza anche se evocato da una personalità come Donald Trump, del compagnone che davanti a una birra raccontava l’Italia a un’Angela Merkel che lo ascoltava assorta, del presidente del Consiglio che annunciava i lockdown accarezzando con le parole i titolari dei «negozi di prossimità» e promettendo loro «i ristori che arriveranno», di tutto questo resta adesso poco o nulla. Avvicinatosi più per vocazione umana che per professione di fede politica a uno stile che faceva gridare all’avvento del messia di una nuova Democrazia cristiana — con ex dc devoti come Gianfranco Rotondi e Bruno Tabacci che sognavano di costruire attorno a lui uno Scudo crociato nuovo di zecca — Conte è diventato una specie di Mr.Hyde di se stesso, con movenze stilistiche che ricordano tanto il Matteo Salvini che si avvicinava pericolosamente al Papeeete e poco, pochissimo, il morigerato uomo di fede che di fronte alle insistenze di Bruno Vespa («Vogliamo vederla questa immagine?», «Andiamo proprio sul personale, allora?») tirava fuori dal taschino della giacca l’immaginetta di Padre Pio, perché «io ho una via personale religiosa e quindi prego anche, e penso spesso a Padre Pio».

Quella strana sintesi tra l’ultra-cristiano dovere di porgere l’altra guancia e l’ultra-laico approccio da chi il pugno di ferro lo riveste saggiamente con un guanto di velluto, un mix che era stato la sua fortuna, cede terreno al rancore che l’ex presidente del Consiglio ha riversato pubblicamente su Draghi, a quello «sconcerto per le parole che ha rivolto contro di me» nella vicenda della presunta richiesta del presidente del Consiglio a Grillo di togliergli i galloni di capo politico del M5S. La circostanza è stata smentita da Palazzo Chigi e da Beppe Grillo, confermata dal sociologo Domenico De Masi al Fatto quotidiano e da Conte stesso ma, vera o falsa che sia la storia, il punto è forse un altro: l’uomo che a ragione o a torto era stato baciato da un gradimento che evocava cose grandi ed epocali come «pandemia» ma anche «vaccini», «sacrifici» ma anche «ristori», «chiusure» ma anche «riaperture di massa», adesso rischia di diventare una maschera che rimanda a questioni piccole come possono esserlo terzi mandati di parlamentari e consiglieri regionali, deroghe a statuti, cavilli, regolamenti, governi sostenuti a metà, appoggi esterni.

È l’universale che si fa particolare, il senso di una storia grande che si fa cronaca piccolissima, in fondo l’opposto del Conte che sceglieva la piccola storia dei migranti tenuti a Malta nel gennaio del 2019 e che rispondeva a Salvini, suo ministro dell’Interno, con una grande lezione di umanità: «Se lui tiene i porti chiusi, vorrà dire che andrò a prenderli io con l’aereo».

Non tornerà a essere «il punto di riferimento dei progressisti», com’era stato salutato anche nel Pd, e forse rischia una fine politica da Totò Schillaci nei Mondiali di calcio del ’90, eroe indiscusso di una grande partita finita male. Nel suo presente c’è lo strano destino del personaggio tormentato della vecchia canzone di Tonino Carotone, «vita intensa / felicità a momenti /e futuro incerto». Domani chissà.

Il Covid prosegue. Protocollo per misure di prevenzione e contenimento

 Dopo una giornata di confronto fra ministero del Lavoro, ministero della Salute, Mise, Inail e parti sociali è stato siglato il protocollo condiviso di aggiornamento delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Sars-CoV-2/Covid-19 negli ambienti di lavoro.

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Il protocollo aggiorna e rinnova i precedenti accordi su invito del ministro del Lavoro e delle Politiche sociali e del ministro della Salute, che hanno promosso un nuovo confronto tra le parti sociali. Il documento tiene conto delle misure di contrasto e di contenimento della diffusione del virus negli ambienti di lavoro, già contenute nei protocolli condivisi sottoscritti successivamente alla dichiarazione dello stato di emergenza, in particolare il 14 marzo, il 24 aprile 2020, il 6 aprile 2021, sviluppati anche con il contributo tecnico-scientifico dell’Iinail. Il protocollo aggiorna tali misure, tenuto conto dei vari provvedimenti adottati dal Governo, dal ministero della salute nonchè della legislazione vigente. A tal fine, contiene linee guida condivise tra le parti per agevolare le imprese nell’adozione di protocolli di sicurezza anti-contagio in considerazione dell’attuale situazione epidemiologica e della necessità di conservare misure efficaci per prevenire il rischio di contagio. Nello specifico, gli esiti del costante monitoraggio sulla circolazione di varianti di virus Sars-CoV-2 ad alta trasmissibilità delle ultime settimane sottolineano l’importanza di garantire condizioni di salubrità e sicurezza degli ambienti e delle modalità di lavoro a specifica tutela dei lavoratori stessi. L’attuale protocollo è più snello e contiene una serie di misure di prevenzione che tengono conto dell’evoluzione della situazione pandemica: è una semplificazione importante del quadro di regole ma non è un liberi tutti, considerata l’impennata dei contagi di questi giorni.

Le misure prevenzionali riguardano le informazioni, attraverso le modalità più idonee ed efficaci, a tutti i lavoratori e a chiunque entri nel luogo di lavoro del rischio di contagio da Covid-19, le modalità di ingresso nei luoghi di lavoro, la gestione degli appalti, la pulizia e la sanificazione dei locali e il ricambio dell’aria, le precauzioni igieniche personali, i dispositivi di protezione delle vie respiratorie, la gestione degli spazi comuni, la gestione dell’entrata e uscita dei dipendenti, la gestione di una persona sintomatica in azienda, la sorveglianza sanitaria, il lavoro agile, la protezione rafforzata dei lavoratori fragili. Centrale è il ruolo dei comitati aziendali per l’applicazione e la verifica delle regole prevenzione. Le parti si impegnano a incontrarsi ove si registrino mutamenti dell’attuale quadro epidemiologico che richiedano una ridefinizione delle misure prevenzionali qui condivise e, comunque, entro il 31 ottobre per verificare l’aggiornamento delle medesime misure.

Il protocollo prevede che l’uso dei dispositivi di protezione delle vie respiratorie di tipo facciali filtranti FFP2 è un presidio importante per la tutela della salute dei lavoratori ai fini della prevenzione del contagio nei contesti di lavoro in ambienti chiusi e condivisi da più lavoratori o aperti al pubblico o dove comunque non sia possibile il distanziamento interpersonale di un metro per le specificità delle attività lavorative. A tal fine, il datore di lavoro assicura la disponibilità di FFP2 al fine di consentirne a tutti i lavoratori l’utilizzo. Inoltre, il datore di lavoro, su specifica indicazione del medico competente o del responsabile del servizio di prevenzione e protezione, sulla base delle specifiche mansioni e dei contesti lavorativi sopra richiamati, individua particolari gruppi di lavoratori ai quali fornire adeguati dispositivi di protezione individuali (FFP2), che dovranno essere indossati, avendo particolare attenzione ai soggetti fragili.  (ITALPRESS)

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