Caro direttore,
sono direttore anch’io, di una non profit che gestisce una minuscola scuola dell’infanzia paritaria bresciana, non di ispirazione cattolica. E la ringrazio per il vostro lavoro quotidiano. Sono abbonato da alcuni mesi, ho trovato quello che cercavo: un giornale che fa giornalismo (sì, ormai è strano...) tenendo sul tavolo la luce della speranza cristiana. Desidero condividere la mia testimonianza sul tema delle scuole paritarie: il punto di vista di un operatore non profit nel settore dei servizi educativi alla prima infanzia. Perché mi pare evidente che nessuno, soprattutto in Parlamento, si fa una domanda semplice: a chi fa comodo che le scuole paritarie non siano accessibili a tutti?
Dunque, sono direttore di una "scuola per i ricchi", o di una "scuola degli Avengers" – anche questo mi è toccato sentire in giro – mentre ricordo bene, per averli visti di persona e abbastanza a lungo, i figli sbrindellati dei campesinosquechua che alle cinque del mattino, a digiuno, pascolavano le vacche prima di andare a scuola, e penso spesso a quanto sarebbe giusto cambiare questa storia offrendo proprio a loro la possibilità di vivere l’infanzia accompagnati da una scuola come la nostra.
I figli dei Marchionne non si iscrivono di certo alla nostra scuola – quelli vanno alle International Schools – ma è indubbio che i figli dei precari o delle famiglie operaie monoreddito da noi li conti sulle dita di una mano monca. Ed è ovvio che per gli immigrati siamo inaccessibili. Piuttosto, ci sono i figli di piccoli imprenditori, di solidi professionisti, di lavoratori autonomi. Quasi sempre entrambi i genitori lavorano, hanno titoli di studio e competenze medio-alte ed esprimono un evidente dinamismo, personale, sociale e soprattutto culturale.
Di fatto, chi gestisce questa scuola è mediamente meno benestante dei propri clienti, anche se un ragionamento in più, su chi può permettersela questa scuola da 3.800 euro all’anno più pasti, andrebbe fatto… La nostra scuola non è speciale, è come dovrebbe essere qualsiasi scuola. Certo è Montessori, ma non è davvero questo il punto; il punto è che ci piace prenderci cura delle persone: i bambini, le maestre e i genitori. Investiamo in ricerca pedagogica, sviluppo organizzativo, presidio del clima lavorativo, cultura aziendale condivisa, comunicazione (non marketing), selezione del personale, formazione continua sulle soft skills. Prenditi cura di chi si prenderà cura dei bambini, questa è la lezione che mi ha passato Montessori. Quanto mi piacerebbe se una scuola come questa, statale o paritaria, fosse alla portata dei due figli di Issa, nigeriano fuggito dalla Libia e da cinque anni inchiodato a rinnovi annuali del permesso di soggiorno, inservibili alla ricerca di un lavoro dignitoso (di lui ho perso le tracce dopo la chiusura degli ultimi mesi, mea culpa).
La volete, la sussidiarietà? Beh, la ricetta per fare in modo che davvero ci sia possibilità di scelta è piuttosto semplice, ma occorrerebbe smetterla di agitare a caso la foglia di fico della Costituzione. Se volete sanare le iniquità smettetela di dare contributi statali alle scuole paritarie. La scuola paritaria svolge una funzione pubblica, ma ogni anno scopriamo l’importo del contributo solo quando i soldi atterrano sul conto corrente. Credete che su questa base sia possibile programmare? Fate scegliere le famiglie, tutto qui.
Date a ogni figlio dei ceti medio-bassi un voucher di 5.278 € ogni anno (secondo il costo standard dichiarato per la scuola dell’infanzia dal Decreto ministeriale 181 del 16 marzo 2020). Tanto li spendereste comunque questi soldi. Oppure no? Dategli un voucher e lasciate che siano le famiglie a scegliere la scuola dell’infanzia (e qualsiasi altra scuola) e vedrete che saranno premiate le scuole migliori e che anche quelle statali o comunali saranno spinte a investire di più sulla crescita delle maestre e dei bambini.
Ma per essere giusti e rispettosi della Costituzione, quel voucher non datelo a tutti, ma solo a chi ha un reddito e un patrimonio pari o inferiore alla media regionale, perché non è vero che gli italiani sono contrari alla logica della patrimoniale, sono gli italiani ricchi che sono contrari alla patrimoniale, toglietevi ogni dubbio!
Rimettete in circolo le risorse che decenni di speculazione finanziaria ed edilizia hanno infrattato nelle tasche di pochissimi e investitele nel prevenire l’esclusione sociale sin dalla nascita, permettendo a tutti di vivere per lo meno a scuola una signora infanzia.
Ma immagino che le prime a insorgere davanti a un’ipotesi voucher sarebbero proprio certe paritarie, perché è chiaro che alcune avrebbero la fila di genitori e altre meno. E i secondi a insorgere sarebbero certi genitori, perché è chiaro che una scuola paritaria costosa ti garantisce di non mescolare i tuoi figli con quelli dei poveri e degli immigrati. Ne vogliamo parlare?
Michele Vezzoli
Ne parliamo da anni e non ci stanchiamo di farlo, caro direttore Vezzoli. La sua lettera mi ha fatto tornare in mente quelle a cui risposi cinque anni fa dopo una sconcertante sentenza giudiziaria ( https://tinyurl.com/ydxtgukk ). Questa storia delle paritarie "scuole ricche e per ricchi" è vecchia, greve, mistificante e profondamente ingenerosa. E come mettere qualcuno in catene e poi accusarlo di immobile pigrizia... Perciò, gentile direttore, grazie due volte: per il suo abbonamento ad "Avvenire" e per questa schietta, stimolante e assai concreta condivisione di idee.
Che cosa aggiungere? Come in una vecchia pubblicità, un semplice invito a lettori, ministri e legislatori: "Meditate gente, meditate". E meditino soprattutto i parlamentari a 5 stelle dalle firme e dai pregiudizi facili. Lo facciano assieme ai leader del loro partito, che è perno del governo e titolare della maggioranza relativa degli eletti nelle due Camere. E magari provino a pensarci seriamente anche tutti quelli che, quando si parla di "servizio pubblico scolastico", continuano in automatico a concepire e usare l’aggettivo "pubblico" come sinonimo di "statale". Non è così, Costituzione alla mano.
Non è così, per il sacrosanto principio di sussidiarietà che valorizza la collaborazione tra Stato e società civile. Non è così per la normativa vigente, la cosiddetta Legge Berlinguer (62/2000) che fissa princìpi ricchi di senso e di prospettiva, ma da vent’anni, purtroppo, è attuata con dotazioni di fondi indecorosamente insufficienti per dare corpo a un sistema nazionale d’istruzione che si regga su due gambe: quella statale e quella non statale paritaria. Solo se sono forti e sane entrambe le gambe si progredisce e si va lontano…
Insomma: pure nella scuola – come in tanti altri settori dove questo è ormai pacifico o quasi – anche i privati (comunque ispirati, molto spesso sulla base di statuti non profit), possono paritariamente fornire un servizio pubblico a disposizione della libertà di scelte delle famiglie, cioè dei cittadini di qualunque censo. Possono farlo accettando e onorando gli standard fissati dalla leggi (è questa la scelta che le rende paritarie e non più solo private). Possono farlo perché la Repubblica che ha deciso di finanziare esclusivamente l’istituzione di scuole statali (art. 33 Cost.), garantisce prima ancora la libertà educativa dei genitori (art. 30 Cost.) e nel sancire la libertà di insegnamento si impegna ad assicurare a bambini e ragazzi che frequentano le scuole riconosciute paritarie un trattamento equipollente (di nuovo art. 33). E quell’«equipollente» dice dei doveri delle scuole tanto quanto dei doveri dello Stato. Questo – ahinoi – sulla carta e, assai faticosamente nella realtà. Così faticosamente che tante delle scuole paritarie – cattoliche e no, buone e povere (soprattutto se fanno di tutto per non escludere poveri e meno ricchi) – hanno già dovuto chiudere i battenti o sono ormai a un passo dalla chiusura. Vengono smantellate dall’incuria delle Istituzioni e dal pregiudizio. Sono costrette a rinunciare al loro servizio pubblico e non per demerito, ma per indotta fragilità. Lo schianto annunciato è in corso, fa male a tanti ed è un disastro per l’intera "scuola di tutti". Vogliamo rendercene conto?
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