Il presidente dell’Associazione italiana dello spettacolo illustra le idee presentate al governo agli Stati generali Riforma del settore, fondi e attenzione all’educazione
Reinventarsi tornando al passato. Che non vuol dire tornare a fare tutto come prima. «Cosa che per un po’ non sarà ancora possibile viste le regole che ci impone la pandemia di coronavirus» spiega Carlo Fontana, presidente dell’Agis, l’Associazione generale italiana dello spettacolo, che rappresenta più del 90% dello spettacolo dal vivo italiano. Tornare al passato, per Fontana, significa tornare alle radici «che per lo spettacolo dal vivo sono quelle dell’imprescindibile rapporto che si instaura tra palcoscenico e platea». Ripartire al più presto, dunque, auspica il presidente dell’Agis, classe 1947, per quindici anni, dal 1990 al 2005, sovrintendente del Teatro alla Scala. Lo fa nei giorni in cui lo spettacolo dal vivo riprende rispettando misure di sicurezza e distanziamento per artisti e pubblico tra concerti all’aperto, proiezioni cinematografiche (non molto frequentate, in realtà) e prosa. Una necessità che Fontana ha portato sul tavolo dell’incontro con il premier Giuseppe Conte a Villa Pamphlili a Roma per gli Stati generali dell’economia. «Sono estremamente soddisfatto per il clima di cordialità e per la sensibilità dimostrata dal presidente del consiglio e dal ministro Franceschini. Le nostre proposte hanno trovato nel premier un interlocutore attento e consapevole di quanto il settore dello spettacolo rappresenti per il Paese un volano economico e sociale imprescindibile» racconta Fontana, che ha guidato la delegazione dell’Agis al tavolo del confronto con il governo. Incontro definito «un passo in avanti concreto per un pieno, e mi auguro rapido, ritorno alla normalità».
Quali, presidente Carlo Fontana, le proposte per il settore dello spettacolo dal vivo che avete portato agli Stati generali?
«Siamo partiti dalla situazione molto pesante nella quale versa lo spettacolo perché i mesi di chiusura forzata hanno provocato danni economici ingenti, in tutti i settori, che è ancora difficile calcolare in quanto le perdite continueranno. Per questo abbiamo sottolineato l’urgenza di una profonda e organica riforma, accompagnata da adeguate risorse, a favore di un settore come quello dello spettacolo danneggiato come pochi altri dal Covid. Vista la forte precarietà del settore riteniamo indispensabile una proroga degli ammortizzatori sociali e delle indennità per i lavoratori del settore».
Imprescindibile, dunque, il sostegno economico.
«Il supporto economico non potrà non esserci perché questo è un settore che non può reggersi solo sulle sue gambe. Se la cultura è un servizio pubblico essenziale non può mancare il sostegno dello Stato, come per la sanità, l’istruzione…».
Dal 2006 al 2008 lei è stato senatore e conosce da dentro i meccanismi della politica. Oggi chi governa guarda alla cultura come a una risorsa?
«Sono passati 12 anni, ma sembra sia passato un secolo. Molte cose sono cambiate. Posso dire che nel ministro Franceschini abbiamo un interlocutore attento: non parlerà molto di spettacolo, ma ha ottenuto 250 milioni di finanziamento extra Fus, una cifra enorme. Si farà un fondo per la cultura e auspico che si crei una stretta alleanza tra iniziativa pubblica e privata».
In questi giorni lo spettacolo riparte, un segnale di speranza per i molti lavoratori, spesso precari, che durante i mesi di lockdown hanno lamentato la poca attenzione della politica al settore della cultura.
«Credo che sia positivo iniziare con i festival estivi, un modo per ristabilire il contatto con il pubblico: all’aperto, dove il pericolo di contagio è molto più basso che nei luoghi chiusi, il fatto che si possano prevedere un massimo di mille spettatori – certo seguendo le regole con percorsi dedicati, distanziamenti e altro… – dovrebbe favorire il ritorno degli spettatori. Capire come reagirà il pubblico, come risponderà è la vera sfida che ci attende ora e, soprattutto, con il ritorno in sala. I timori ci sono, inutile negarlo».
Avete fatto proposte anche in questo senso al governo?
«Indubbiamente si rendono necessarie risorse a fondo perduto che possano sostenere i costi nascenti e i ricavi mancanti dovuti al periodo di lockdown. E sempre in tema di risorse questa potrebbe essere la fase in cui incentivare, attraverso un fondo dedicato, la ristrutturazione e l’adeguamento tecnologico delle sale teatrali e cinematografiche per l’anno 2021. Sempre per incentivare il pubblico abbiamo proposto la detrazione dei consumi culturali o un modello, simile all’App18 per i ragazzi, allargato ad ogni fascia di età. Fondamentale, per costruire il pubblico di domani, anche il rilancio del ruolo del teatro e del cinema nella scuola, obiettivo che potrebbe essere sviluppato con il supporto di un percorso strutturale con i maggiori operatori del servizio pubblico, partendo dalla Rai».
Queste le proposte fatte alla politica. Ci sono poi le idee per la ripartenza che realtà come Ravennafestival hanno messo nero su bianco e che voi come Agis avete fatto vostre proponendole a tutto il settore.
«Ravenna Festival è la prima rassegna che riparte e fa da apripista, ci abbiamo puntato molto. Le idee sono quelle per creare le condizioni perché gli spettacoli si possano svolgere. Siamo riusciti a far sì che i 200 posti al chiuso potessero riguardare solo gli spettatori e non dovessero comprendere anche artisti e personale di sala. Una cifra che non può essere blindata perché deve variare da spazio a spazio: un conto è la Scala, un conto il Comunale di Bologna un contro il Teatro Studio del Piccolo di Milano. Se nel settore dello spettacolo viaggiante è fattibile la riorganizzazione degli spazi, per le sale cinematografiche al chiuso i problemi su capienza e gestione dei posti sono gli stessi delle sale teatrali. Certo sul fronte artistico per il teatro d’opera, se le misure dovessero restare queste, sarà molto difficile riprendere a fare spettacoli con orchestra coro, comparse: non so immaginare come si possa far spettacolo pur sfruttando al massimo la creatività degli artisti. Per quel che riguarda la musica sinfonica è più semplice, anche grazie ai protocolli messi in campo dai Wiener e dai Berliner che rendono fattibili concerti dal vivo. Per la cameristica, poi, non c’è alcun tipo di problema».
Le ripartenze di questi giorni riguardano festival e rassegne, realtà locali. Alcune fondazioni lirico-sinfoniche, invece, secondo qualcuno, preferiscono temporeggiare, forse per il fatto che la cassa integrazione copre i costi dei dipendenti.
«Il problema è più complesso. Le fondazioni lirico-sinfoniche hanno personale fisso (i numeri nei teatri di tradizione si riducono di molto, in quanto gli artisti sono scritturati di volta in volta) tutelato dagli ammortizzatori sociali, ma questi mesi di stop e di biglietterie chiuse hanno significato un grossa perdita nei bilanci soprattutto per quelle realtà che hanno ingenti ricavi propri: penso alla Scala che ha più del 35% dei ricavi provenienti dallo sbigliettamento e arriva a oltre il 50% di introiti con gli sponsor. Più si sta chiusi e più si perde. Reinventarsi può essere un problema emergenziale, ma sino a che si chiamerà spettacolo dal vivo non si potrà prescindere dalla compresenza nello stesso luogo di artisti e pubblico».
Poco percorribile, allora, la via dello streaming?
«Io francamente non ci credo. O meglio, penso che sia un rimedio in una situazione di emergenza, ma non lo vedo come un fattore strutturale. Pensiamo a cosa accade al Metropolitan di New York, uno dei teatri che nel mondo aveva puntato maggiormente sullo streaming ha già annunciato che non riaprirà prima della fine dell’anno».
Nel suo curriculum il Piccolo Teatro, la Biennale di Venezia, il Comunale di Bologna, il Teatro alla Scala: come uomo di teatro e di cultura cosa le è mancato in questi mesi?
«Ho passato più dell’80% delle serate della mia vita in una sala teatrale. Andare a teatro e al cinema è connaturato alla mia stessa esistenza. Per me è stata un’enorme privazione. Lo sapevo già, ma quando ti manca qualcosa ti rendi conto di quanto sia importante».
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