domenica 21 giugno 2020

Giovan Battista Velluti, l'ultimo grande castrato, fu uno sciupafemmine ( da Il Resto del Carlino, di Giovanni Martinelli)

Fu l’ultimo grande cantante castrato Giovan Battista Velluti da Corridonia. Bellissimo, slanciato, elegante, libertino, per anni fu corteggiato dai maggiori teatri d’Europa, ma molti ebbero a che fare con il suo carattere intrattabile e con le sue manie di protagonismo (non per nulla aveva cambiato anche il cognome, originariamente Stracciavelluti). 

Dicono che la sua castrazione fu un incidente: il padre ne avrebbe voluto fare un militare ma, probabilmente affetto da criptorchidia, fu affidato alle cure di un medico che “mal capì le direttive dei genitori” evirandolo. 

Vero o no, così ridotto quel bambino non poteva che sfruttare la sua voce seguendo lo studio del canto. Dal suo debutto a Forlì nel 1800 in avanti, la sua carriera fu contrassegnata da plausi e trionfi, i maggiori musicisti del tempo (Rossini, Meyerbeer, Niccolini) scrissero parti per lui, la sua presenza veniva contesa dai migliori salotti. 

Strapagato, ultimo grande esponente degli evirati cantori, presto si fece la fama di “sciupafemmine” dando scandalo a Milano per la sua tresca con una giovane marchesa con la quale fuggì: questa fu solo la prima delle tante avventure amorose che il bellissimo Velluti ebbe in tutta Europa. 

Irascibile e vezzoso al punto di scontrarsi costantemente con impresari, direttori di teatri, musicisti (ruppe anche con Rossini, con il quale si riappacificò molti anni più avanti), si rese protagonista di un incidente diplomatico nel 1817 a Senigallia. 

Carolina di Brunswick, moglie del principe di Galles, il futuro Giorgio IV, allontanata dalla corte, si era accasata in Italia, prima sul lago di Como poi a Pesaro e nell’estate del 1817 fu a Senigallia per visitare la famosa fiera. Per lei al Teatro della Fenice fu allestita una serata d’onore con la rappresentazione del Carlo Magno di Niccolini, protagonista d’eccezione il Velluti. 

La principessa chiese che l’opera iniziasse dal secondo atto e l’impresario fece illuminare il teatro come mai prima, con lumi ad olio e candele di sego. Alla notizia il cantante andò su tutte le furie e urlando “la mia gola vale bene una regina” si rifiutò di cantare. Soltanto l’intervento delle autorità lo convinse a cantare, ma si vendicò: entrato in scena non fece il consueto inchino al pubblico e soprattutto alla principessa. Fu uno scandalo pubblico, ma Carolina non se la prese: Velluti cantò in modo celestiale, da “imperatore d’altissimo canto” come lo definì Rossini.

3 commenti:

  1. Potrebbe dirmi gentilmente tutta la bibliografia che ha consultato per scrivere questo?

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  2. la richiesta va girata a Martinelli, della redazione de Il Resto del Carlino, noi abbiamo ripreso il suo articolo e basta. Se scr9ie certe cose presumiamo che non se le sia inventate.

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  3. Sì, non sono deficiente, non ho messo in dubbio che se le sia inventate, questo lo ha fatto lei.
    Ad ogni modo la ringrazio.

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