Là ci darem la mano" sospira Don Giovanni ormai sicuro di inserire Zerlina nel catalogo delle mille, e più, donne sedotte. Questi del Covid-19 sono però tempi duri per il seduttore seriale fra mascherine, guanti, distanziamento, e soprattutto: tracciamento. Quanto è difficile mettere in scena Don Giovanni in fase-coronavirus? Ci prova Davide Livermore, regista delle prime della Scala, da gennaio direttore del teatro (di prosa) Nazionale di Genova, un passato recente al timone del Palau de les Arts di Valencia. Il 18 luglio, al Macerata Opera Festival firma la regia di Don Giovanni, capolavoro assoluto di Mozart e Da Ponte.
"Prima della pandemia avevo pensato a un Don Giovanni che non può compiere la sua vita fino in fondo perché viviamo un tempo molto virtuale. Con il Coronavirus è successa una cosa straordinaria, abbiamo sentito il bisogno di vita concreta e reale. Questo Don Giovanni che non vive ma desidera, immagina ma non compie, può essere la cosa più deflagrante nella lettura di oggi. Vanno in scena gli ultimi battiti di ciglia di un uomo che sta morendo. Questo è quello che accade se abdichiamo alla vita, se decidiamo di non vivere e di rimanere in una situazione virtuale per la paura di tutto. Sostanzialmente per la paura di vivere"...
"Mi aspetto che si creino nuove opere da rappresentare per i prossimi 100 anni. Il teatro musicale ha ancora tante cose da raccontare e inventare soprattutto in questo momento storico, mettendo insieme le esperienze musicali elettroniche, di sofisticazione sonora, di antica arte lirica e orchestrale".
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