Salvini lo avevano accolto in Sicilia come una rockstar: folle osannanti che soltanto Beppe Grillo, sette anni fa, era stato capace di adunare dopo la traversata a nuoto dello Stretto. Lo stesso Salvini quasi non credeva ai suoi occhi: «Un mare di gente», aveva twittato venerdì da Gela; «spettacolare», si era lasciato andare il giorno prima da Bagheria, invitando su Facebook i fan a spargere le immagini del comizio, «perché tivù e giornaloni faranno di tutto per nasconderle».
Insomma, una grande aspettativa di trionfo. Per questo il Capitano aveva scelto di correre quasi ovunque da solo, un modo per testare la propria forza anche in vista delle Europee il 26 maggio. Salvo scoprire, domenica sera, di avere avuto meno voti che spettatori. Nei 34 comuni siciliani dove si eleggeva il sindaco, la Lega ha raccolto mediamente il 10 per cento. Tanto, se si pensa che partiva da zero e una volta da queste parti Salvini sarebbe stato accolto a sassate; ancora poco, tuttavia, per dichiarare l’annessione del Profondo Sud alla Padania. A Salvini interessa soprattutto il bicchiere mezzo pieno: «Qualche anno fa sarebbe stata fantascienza» ha commentato, all’apparenza soddisfatto. I suoi candidati sono approdati al ballottaggio in due soli comuni: a Mazara del Vallo e a Gela, dove il leghista Giuseppe Spata sfiderà una strana alleanza tra Forza Italia e Pd, nata a sostegno di Lucio Greco.
Nel nome del Nazareno. Come mai berlusconiani e «Dem» si siano messi insieme a Gela, è un altro dei misteri tipici della Sicilia, laboratorio di strani esperimenti fin dai tempi del milazzismo (destra e sinistra insieme, fine anni Cinquanta). Stavolta la formula è quella detta del Nazareno, dal famoso patto del 2014 tra il Cavaliere e Matteo Renzi. A spingere i berlusconiani siciliani nelle braccia del Pd (che in questa tornata non è andato peggio, ma nemmeno meglio del solito nonostante a Roma ci sia adesso Nicola Zingaretti) pare sia stata la profonda antipatia per Salvini di Gianfranco Micciché, ricambiata soprattutto dopo che il proconsole berlusconiano ha pubblicamente definito Matteo «uno stronzo». Addirittura, pochi giorni fa, Micciché aveva messo in fuga da Forza Italia il sindaco di Catania, Salvo Pogliese, che passava per essere troppo filo-leghista. La vendetta salviniana contro i seguaci del Cav si è consumata a Caltanissetta (unico capoluogo di provincia domenica alle urne): la destra priva dei leghisti non è riuscita a eleggere direttamente il sindaco per un nonnulla, col risultato che dovrà vedersela al ballottaggio con i grillini.
Ritirata grillina. A proposito dei Cinquestelle: pure stavolta sono usciti dalle urne piuttosto ammaccati. Avevano due sindaci, a Gela e a Bagheria, però l’esperienza di gelesi e bagaresi non dev’essere stata delle più esaltanti perché, in entrambi casi, dei pentastellati sono rimaste poche tracce. Luigi Di Maio però si consola con il duello finale che vedrà protagonista un suo candidato a Caltanissetta e a Castelvetrano, nella patria del super-boss di mafia Messina Denaro. Ma soprattutto, Di Maio gode del mezzo passo falso di Salvini: per una volta sulla graticola c’è Matteo e non lui.
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