L’esperienza insegna che le crisi finanziarie sono cicliche e che non arrivano mai di botto. Segnali evidenti sono giunti da più parti negli ultimi tempi, basti pensare alle criticità della Silicon Valley Bank negli Stati Uniti e della Credit Suisse in Svizzera. I mercati sono in fibrillazione in tutto il mondo, anche se in Europa e in Italia la situazione viene descritta sotto controllo e meno preoccupante. Sull’argomento è intervenuto anche il filosofo e opinionista Massimo Cacciari, che ha rilasciato un’intervista al quotidiano La Stampa.
Qual è il prezzo da pagare
“La crisi del 2007-2008 sembra ripetersi. Pure le crisi finanziarie – ha detto Cacciari al giornale torinese – sembrano aver perduto la periodicità di un tempo per risolversi anch'esse in perenne emergenza. Gli interventi degli Stati attraverso i diversi organismi cui hanno dato vita si sono rivelati di un'efficacia incomparabile rispetto al passato. Ma a che prezzo?”. Per l’ex sindaco di Venezia il problema sta nel comportamento di chi governa le diverse nazioni. Immettere continuamente risorse nel sistema economico-finanziario comporta l’inevitabile crescita del debito. Secondo l'opinionista si verrebbe a creare un sistema perverso che crea disuguaglianze. “Gli Stati più forti – ha spiegato il filosofo – possono farlo senza temere contraccolpi catastrofici. Alle nazioni più deboli queste pratiche risultano proibite. La disparità che si viene a creare è sistemica. Lo Stato debitore più è debole più finisce col dipendere dal creditore. Il meccanismo del debito diventa il vero sovrano”.
I danni alla società civile
Per Cacciari questa spirale negativa produce conseguenze nefaste, in particolare per la società civile. Le nazioni più deboli non hanno voce in capitolo sulle decisioni dei mercati creando dissapori con le popolazioni e le conseguenti proteste. Alla lunga questa situazione potrebbe produrre conseguenze drammatiche e irreversibili. “Assistiamo a una trasformazione delle costituzioni reali delle nostre democrazie – ha concluso l’opinionista –. Lo stato permanente di emergenza non può non finire col produrre una discontinuità istituzionale. Lo Stato debitore sarà sempre più governato dalle tecniche, e dunque dai tecnici, rispondenti agli interessi del creditore”.
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