Dell' anacoluto giornalistico di tanti intervistatori che si credono più importanti dell'intervistato, tante volte abbiamo scritto. E' perciò con grande piacere che apprendiamo oggi che Aldo Grasso scrive anche lui dell'argomento, riferendo un episodio del quale egli stesso è stato spettatore in tv. Di una intervistatrice - forse abbiamo capito chi è, perché anche noi, spettatori al pari di Grasso, abbiamo riflettuto sulla cosa - che chiede all'intervistato, prima di rivolgergli un'ultima domanda, di essere conciso, perché mancano solo una trentina di secondi alla fine della trasmissione. Ma ciò che colpisce Grasso è che il tempo impiegato dalla intervistatrice per rivolgere la domanda al suo interlocutore superava di gran lunga i trenta secondi da lei posti come condizione, per non rischiare di esser 'tagliati' brutalmente - come la tv pubblica, e non solo quella fa spesso, anche in altre circostanze. Recentemente, per restare in tema, Rai 1 ha tagliato il bis, già iniziato e arrivato quasi alla fine, del Concerto di Capodanno dalla Fenice di Venezia, fra le proteste di molti telespettatori.
Grasso attribuisce tale comportamento non isolato in tv- ma non raro anche sulla carta stampata - alla convinzione dell'intervistatore di essere superiore all'intervistato, od anche alla scarsa preparazione dell'intervistatore che non sa sintetizzare in maniera chiara e concisa una domanda.
Segnalammo la prima volta tale anomalia, scorrendo un libro/intervista curato da Enzo Restagno ad un musicista - uno dei tanti cui erano dedicati i titoli della collana monografica pubblicata da EDT, in supporto alle varie edizioni di 'Settembre Musica', nelle quali compariva un medaglione in onore di un musicista contemporaneo.
In uno di quei libri - l'abbiamo impresso nella memoria - fummo colpiti dalla lunghezza di molte domande rivolte da Restagno - ci pareva quasi di sentirlo con la sua voce impostata baritonale mentre rivolgeva le domande all'illustre musicista - e , al contrario, dalla risposta quasi sempre stringata dell'intervistato ( non vorremmo sbagliarci, ma crediamo fosse Gyorgy Ligeti l'intervistato. Adesso non ci va di controllare, riprendendo quel volume che abbiamo nella nostra libreria).
Ma a proposito delle interviste altre anomalie riscontriamo ogni giorno, fra quella assolutamente inutili, quelle ripetitive, o , in generale, giornalisticamente irrilevanti.
Un esempio, freschissimo di stampa, ci è capitato sotto gli occhi proprio oggi, sfogliando Repubblica , subito dopo aver letto la rubrica di Grasso sul Corriere.
L'intervista di Angelo Foletto - sempre più presente nel ruolo di intervistatore, negli ultimi tempi, mentre non l'ha mai fatto nei suoi lunghi anni a Repubblica - a Speranza Scappucci, la direttrice d'orchestra italiana, prima donna a dirigere un'opera alla Scala (Capuleti e Montecchi di Bellini ), chiamata a prove già avviate per sostituire un collega ammalato (o forse in quarantena).
L'unica notizia che abbiamo appreso dalla lunga ma inutile, banalisima intervista di Foletto è stata che per la prima volta nella locandina scaligera dell'opera figurava la dicitura 'direttrice' per Speranza Scappucci.
Che è certo una notizia, perché tale dizione è stata 'messa in croce' da una giovane direttrice d'orchestra italiana che ha la lingua molto più acconcia del braccio e che per una stupida - come altro definirla?- polemica è stata sulle prime pagine dei più vuoti giornali italiani per settimane, mentre quasi mai ci è finita, sulle prime pagine dei giornali, per qualche sua impresa da direttrice. Semplicemente perché non l'ha mai meritato.
Solo che la Scala, scrivendo 'direttrice', come potrebbe fare qualunque altro teatro d'ora in avanti, ha dovuto rinunciare alla dizione che da sempre indica il direttore d'orchestra di un'opera, e cioè: 'maestro concertatore e direttore d'orchestra'.
Non sappiamo se per non rischiare di dover scrivere 'maestro concertatore e direttrice d'orchestra', nella dizione aggiornata 'maestra concertatrice e direttrice d'orchestra', oppure perché accade assai di rado che un direttore prepari, prima ancora delle prove in palcoscenico con l'orchestra, i cantanti al pianoforte. Che era un tempo il lavoro che tutti i direttori facevano, e che anche la Scappucci, da quello che ha detto, ha fatto alla Scala.
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