mercoledì 4 agosto 2021

Cronache di antichi 'tagliatori di teste' ignoranti e bugiardi, in azione al Teatro dell'opera di Roma ( 2014)

 ....Nella veste dei tagliatori di teste — «faremo un cosa che in Italia non è mai stata fatta» — sembravano ieri, Marino e Fuortes in conferenza stampa, due innocenti orgogliosi: «Siamo i primi, diventerà un esempio». Come se il crac della musica e più in generale della cultura a Roma non dipendesse soprattutto da loro, e come se Muti non fosse scappato anche da loro. Il direttore in fuga non ha parlato né di orchestra né di sindacati, ma di un clima, di una mancanza di serenità, di condizioni non più felici che non è possibile attribuire a un solo colpevole. Anche il suo silenzio di oggi è un momento di questa musica. La vigliaccheria non gli appartiene, anzi è l’impeto meridionale che talvolta ne ha ridimensionato la magnificenza artistica.

Muti conosce l’Opera di Roma e sa bene che ci sono competenze che non si inventano. Non è vero, per esempio, che i grandi teatri del mondo hanno orchestre usa e getta, dall’Opera di Parigi, al Covent Garden, al Metropolitan di New York. Ce n’è solo qualcuno che, con l’eccezione di Madrid, non è però di “serie A”, come il modesto Chatelet citato da Fuortes. Nei due grandi teatri lirici di Vienna e Berlino, ieri evocati a sproposito, l’assetto aziendale è quello tradizionale dei dipendenti fissi, a contratto. Proprio ieri Dominique Meyer, sovrintendente dell’Opera di Stato di Vienna ha confermato che «solo quelli piccoli che non prendono soldi dallo Stato lavorano invece con ingaggi di volta in volta».

E diciamo la verità: solo al sindaco Marino poteva venire in mente di annunziare con l’enfasi della genialità che avrebbe sostituito Muti con una donna a prescindere. E ha fatto i nomi di tre bacchette rosa, come se la demagogia di genere potesse irrobustire quei talenti ancora fragili che un gentiluomo non avrebbe mai dovuto esporre all’ordalia del paragone con Muti. Certo, abbiamo già scritto degli assalti al camerino del maestro, delle assemblee nelle pause, della furbizia nazionale dei certificati medici per non andare in tournée. E l’Italia, che ha riso dell’indennità frac e del risarcimento per gli spifferi, ha invidiato quel primo violino che lavora 62 giorni ed è pagato per 180.

Ma bene si capiva ieri che Marino e Fuortes volevano suonare la nota dell’abolizione dell’articolo 18. E invece hanno finito con lo sporcare quella necessaria riforma civile. È infatti raccapricciante l’idea che la via italiana al liberalismo sia quella dei licenziamenti di massa, delle vendette, delle purghe, delle pulizie etniche di intere categorie, per quanto odiose esse siano. L’Italia è un arcipelago di isole ingovernabili, come e peggio dell’Opera di Roma, dalla Rai all’Inps, dalla Sanità ai Musei. E si potrebbe continuare illustrando gli infiniti privilegi corporativi spacciati per diritti sindacali. Ma se la soluzione fosse davvero quella di Marino e Fuortes, «alla prima che mi fai ti licenzio e te ne vai», allora … arridatece i Soviet”...


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