L’ondata d’autunno spaventa chi lavora nei reparti Covid. E mette di nuovo a rischio le cure per le altre malattie. Di fronte alla possibilità che gli ospedali tornino a riempirsi, diagnosi e trattamenti per tumori e non solo debbano essere rimandati e le liste delle chirurgie vengano ancora congelate, il tema della scelta se vaccinarsi o no assume una luce diversa.
Per questo è dagli ospedali che si alzano le voci più nette a favore dell’obbligo. «Ormai non ci sono più scuse. È dimostrato che i vaccini funzionano. Non prevedere l’obbligo vuol dire difendere la libertà di infettare anziché il diritto di curarsi». Guido Rasi, microbiologo dell’università di Roma Tor Vergata, ex direttore dell’Agenzia europea dei medicinali, spiega ancora: «Non vaccinarsi vuol dire rimettere sotto pressione gli ospedali e impegnare risorse che dovrebbero essere usate per curare anche gli altri malati. Questo non è più etico né tollerabile. Un vaccino costa 20 euro, un ricovero 50mila euro a settimana. I mezzi del sistema sanitario non sono infiniti e vanno dedicati ai malati che più ne hanno bisogno».
Anche perché, fa notare Antonella Viola, immunologa dell’università di Padova, «fra Green Pass, obbligo di vaccino per andare a scuola o a mensa oggi, per entrare in fabbrica o prendere il tram domani, rischiamo di impegnare il Paese in una miriade di discussioni frammentarie. Tanto vale abbandonare ogni ipocrisia e prendere la decisione una volta per tutte». Francesco Menichetti, primario di malattie infettive all’ospedale universitario di Pisa, ha curato un migliaio di pazienti Covid nel suo reparto. «Nel frattempo ho dovuto dirottare altrove malati di Aids o con altre patologie. Ho visto tagliare le liste delle chirurgie perché non c’erano posti in terapia intensiva. Non vaccinarsi oggi non è più una scelta di libertà individuale. Vuol dire limitare il diritto alla cura degli altri».
Il discorso è già stato affrontato con il morbillo, e risolto a favore dell’imposizione. Dal 2017, su decisione dell’ex ministro della Salute Beatrice Lorenzin, dieci vaccini dell’infanzia sono obbligatori. «Per il morbillo la copertura è salita sopra al 95%, riportandoci all’immunità di gregge», dice Giovanni Di Perri, professore di infettivologia all’università di Torino e primario all’Amedeo di Savoia. «Non ho più visto casi come il 40enne salvato per un pelo con la circolazione extracorporea. La moglie è no vax, i figli hanno preso il morbillo e l’hanno contagiato».
Storie simili si ripetono oggi con il Covid. «Ormai assistiamo a una pandemia dei non vaccinati» dice Viola. Per i medici, i ricoveri dei non immunizzati sono pane quotidiano: «Non faccio domande, curo e basta», taglia corto Menichetti. «Ma è chiaro che la scelta di vaccinarsi ormai non riguarda più solo l’ambito individuale. Sono il primo a provare empatia per un malato di cancro che chiede di non proseguire le cure. Ma qui siamo di fronte a un problema di sanità pubblica. Ci sono interessi della collettività da salvaguardare».
A settembre c’è un Paese da far ripartire, una scuola non più da sacrificare e un’economia che non può reggere un’emergenza lunga anni. «I vaccini non sono lo strumento per chiudere del tutto la partita con il coronavirus, ma per metterci una grossa ipoteca sì», sostiene Di Perri. «Perché non avere l’ambizione di usarli fino in fondo? La legge prevede obblighi per il ricovero di un paziente con la tubercolosi che non si vuole isolare, per impedire che una persona ubriaca guidi l’auto o che un fumatore accenda una sigaretta in un ristorante. Affrontare la questione anche per i vaccini contro il Covid non deve essere un tabù».
I vaccini poi, dopo 8 mesi di utilizzo, non sono più una lotteria. Ne sono state somministrate 5 miliardi di dosi nel mondo. Abbiamo dati chiari sui loro benefici e sui loro limiti. Gli approvvigionamenti in Italia hanno superato i colli di bottiglia. «Non è una questione di gusti o di tifo. Che i vaccini funzionino è un’acquisizione scientifica ormai indiscutibile» sostiene Viola. «Chi non è immunizzato oggi — dice Menichetti — è perché lo ha scelto. Ma poi alcune di queste persone arrivano in ospedale. Lì non ti ricordi più delle cose che hai letto sui social. Le amenità sulle iniezioni che sono sperimentali o ti controllano col chip, o sull’Rna che si integra nel tuo Dna, si sciolgono come neve al sole. Tutto quel che desideri, giustamente, è tornare a respirare».
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