mercoledì 25 agosto 2021

Lorenzo Da Ponte lavorava notte e giorno, con qualche espediente. Quella tradizione è rinnovata ora sia da Fuortes che da Schwarz, senza espedienti

 


 Dalle Memorie di Lorenzo Da Ponte

"Pensai però che tempo fosse di rianimare la vena poetica, che mi parea secca del tutto quando scrissi per Reghini, e Peticchio. Me ne prensentarono l’occasione i tre prelodati Maestri, Martini, Mozzart, e Salieri, che vennero tutti tre in una volta a chiedermi un dramma. Io gli amava, e stimava tutti tre, e da tutti tre sperava un riparo alle passate cadute e qualche incremento alla mia gloriuccia teatrale. Pensai se non fosse possibile di contentarli tutti tre, e di far tre opere a un tratto.

Salieri non mi domandava un dramma originale. Aveva scritto a Parigi la Musica all’ opera del Tarar, volta ridurla al carattere di dramma e musica italiana, e me ne domandava quindi una libera traduzione: Mozzart e Martini lasciavano a me interamente la scelta. Scelsi per Mozzart il Don Giovanni, soggetto che infinitamente gli piacque, e L’ arbore di Diana pel Martini, a cui dar voleva un argomento gentile, adattabile a quelle sue dolcissime melodie, che si senton nell’ anima, ma che pochissimi sanno imitare. Trovati questi tre soggetti, andai dall’imperadore, gli esposi il mio pensiero e l’informai che mia intenzione era di far queste tre opere contemporaneamente. “Non ci riuscirete”, mi rispose egli! “Forse che no, replicai ; ma mi proverò. Scriverò la notte per Mozzart e farò conto di legger l’ inferno di DanteScriverò la mattina per Martini, e mi parrà di studiar il Petrarca. La sera per Salieri, e sarà il mio Tasso”. Trovò assai bello il mio parallello e appena tornato a casa mi posi a scrivere. Andai al tavolino e vi rimasi dodici ore continue. Una bottiglietta di Toccai a destra, il calamajo nel mezzo, e una scatola di tabacco di Siviglia a sinistra

Una bella giovinetta di sedici anni, ch’ io avrei voluto non amare che come figlia, ma. . . stava in casa mia con sua Madre, ch’ aveva la cura della famiglia, e venia nella mia camera a suono di campanello, che per verità io suonava assai spesso, e singolarmente quando mi pareva che l’estro cominciasse a raffreddarsi: ella mi portava or un biscottino, or una tazza di Caffè, or niente altro che il suo bel viso, sempre gajo, sempre ridente, e fatto appunto per inspirare l’estro poetico e le idee spiritose. Io seguitai a studiar dodici ore ogni giorno, con brevi intermissioni, per due mesi continui, e per tutto questo spazio di tempo ella rimase nella stanza contigua, or con un libro in mano, ed ora coll’ago, o il ricamo, per esser pronta a venir da me al primo tocco del campanello. Mi si assideva talvolta vicino senza moversi, senza aprir bocca, né batter occhio, mi guardava fisso fisso, sorrideva blandissimamente, sospirava e qualche volta parea voler piangere: alle corte questa Fanciulla fu la mia Calliope per quelle tre opere e lo fu poscia per tutti i versi che scrissi per l’intero corso di altri sei anni. Da principio io le permettea molto sovente tali visite; dovei alfine renderle meno spesse, per non perdere troppo tempo in tenerezze amorose, di cui era perfetta maestra. 

La prima giornata frattanto tra il toccai, il tabacco di Siviglia, il caffè, il campanello, e la giovine Musa, ho scritte le due prime scene del Don Giovanni, altre due dell’ Arbore di Diana, e più di metà del primo atto del Tarar, titolo da me cambialo in Assur. Portai la mattina queste scene a tre Compositori, che appena volevan credere che fosse possibile, quello che cogli occhi proprj leggevano; e in 63 giorni le due prime opere erano finite del tutto, e quasi due terzi dell’ ultima. L’ albore di Diana fu la prima a rappresentarsi. Ebbe un incontro felicissimo, e pari almeno a quello della Cosa Rara...

[…]

                                                  *******

Al racconto di Lorenzo Da Ponte siamo andati  con la memoria, quando abbiamo sentito Sebastian Schwarz, direttore artistico del Teatro Regio di Torino, e, da poco, anche direttore del Festival della Valle d'Itria, affermare che non lascerà Torino per lavorare a Martina Franca nè che rinuncerà a quel gioiello di festival pugliese, ma che 'lavorerà di giorno per il Regio di Torino, e di notte per il Festival di Martina Franca'. 

Certo, uno che già dirige un teatro, la direzione contemporanea di un festival la fa 'con la mano sinistra'. Nel senso che ha già le mani in pasta,  ed è perciò agevolato nel suo 'secondo lavoro. Colpisce, nel caso del Festival di Martina Franca, che i suoi direttori artistici, negli ultimi vent'anni circa, siano sempre stati contemporaneamente direttori artistici anche di importanti teatri.

In un altro caso, questi giorni, abbiamo pensato, spontaneamente, a quella storia di Da Ponte. Nel caso di Carlo Fuortes,  da poco nominato amministratore delegato della Rai,  che dovrà ancora occuparsi della amministrazione 'corrente' del Teatro dell'Opera, per il quale purtroppo ci vorrà del tempo prima che si decidano a nominare il suo successore. Lavorando giorno e notte, altrimenti come farà?

 Solo che nel caso di Fuortes - che comunque non è nuovo a posizioni di 'doppio' amministrativo ( Musica per Roma e Teatro dell'Opera; Teatro dell'Opera e Teatro Petruzzelli di Bari; Teatro dell'Opera e Arena di Verona) -  e che naturalmente non si è pronunciato come l'altro, si tratta di due lavori onerosi che, per quanto egli possa lavorare notte e giorno, e per quanto possa aiutarsi con i mezzi che ritiene più opportuni, esclusa la ' bella giovinetta di sedici anni', come Da Ponte, dubitiamo fermamente riuscirà a reggere per molto tempo.

Perciò sarebbe opportuno che Fuortes, di sua iniziativa, mandi a dire ai suoi superiori che dal tale giorno, lascia il Teatro dell'Opera per occuparsi, come  si deve, esclusivamente della Rai. I suoi superiori, a quel punto, si daranno una mossa, perché un teatro come l'Opera di Roma non può restare senza sovrintendente, per troppo tempo. Come fa purtroppo temere l'insensibilità ed la distrazione della politica. ( P.A.) 

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