A rileggerla dopo oltre 150 anni, l'affermazione di Francesco De Sanctis secondo cui la musica non formerebbe «valentuomini, ma buffoni» fa un po' sorridere. Eppure, proprio quella prevenuta visione del primo ministro della Pubblica Istruzione dell'Italia unita ha sempre condizionato la pressoché assente formazione musicale degli italiani.
È da poco uscito un libro miscellaneo che tenta quella che il suo curatore, Andrea Estero, nell'introduzione definisce una possibile «impresa destinata al fallimento», ovvero fare il punto sulla cultura musicale nostrana lungo tutto il Novecento. L'impresa del volume La cultura musicale degli italiani (Guerini e associati, pagg. 526, euro 48), però, è tutt'altro che fallimentare: nei suoi quindici saggi, il libro, che si inserisce in un più ampio progetto editoriale diretto da Guido Salvetti per la Società Italiana di Musicologia, riesce ad affrescare con esaustività e con sguardi finora inediti la consapevolezza musicale nel paese del Belcanto.
Ciò che, indubbiamente, ha segnato per sempre e in profondità generazioni di italiani è stata l'istruzione scolastica, caratterizzata, con picchi più o meno virulenti, da uno «svilimento pedagogico» della musica, relegata a qualcosa di esclusivamente «molle» e «donnesco» (tant'è vero che, quando la riforma voluta da Giovanni Gentile ampliò lo studio della musica nelle scuole, lo fece per gli istituti magistrali e femminili). Nonostante i successivi miglioramenti, il volume individua una costante nel marginale ruolo della musica: «L'educazione musicale a scuola è e deve rimanere riservata all'età dell'infanzia e della pre-adolescenza». Ne consegue che tale formazione degli italiani «mostra enormi carenze sotto il profilo culturale, giacché il collegamento con la dimensione infantile ha finito per accentuare la componente ludico-edonistica della disciplina».
Il testo riflette poi sull'associazionismo musicale e sul dilettantismo, sulle pratiche musicali nell'Italia contadina e, infine, sul decisivo ruolo svolto dai mass media e dalla divulgazione musicale in tv (e quando la Rai, dalla seconda metà degli anni '80, progressivamente diradò l'offerta musicale classica, ci pensò Fininvest/Mediaset a garantire un'adeguata programmazione, soprattutto con i concerti della Scala).
Insomma, come nota Salvetti, occorre perseverare nella «volontà di reagire alla perdurante marginalità della dimensione musicale nella prospettiva di ogni ambito della società italiana».
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