sabato 14 agosto 2021

Leggendo di musica sui giornali di oggi, rispunta il tema della scomparsa dei direttori artistici

Pochi giorni fa ragionavamo sulla scomparsa del direttore artistico nelle grandi istituzioni musicali del nostro paese, ruolo assunto da sovrintendenti tuttofare e, in parte, scaricato sulle spalle del direttore musicale, laddove esiste.

 La diarchia (Sovrintedente-Direttore artistico), che ha origini antiche, ed è figlia della logica spartitoria dei partiti, serviva a premiare fedelissimi servitori con un incarico. Ad esempio, laddove il sovrintendente aveva la casacca socialista, il direttore artistico lo nominavano i democristiani.

 Ci si accorse ben presto che le due teste pensanti (?), benché avessero ruoli e compiti ben definiti ed ambedue importanti in un teatro d'opera, sviluppavano - come del resto hanno sempre fatto i partiti anche nelle coalizioni - lotte intestine, sgambetti...

 Perciò ad un certo momento si decise che al vertice dei teatri sedesse il Sovrintendente, nelle cui mani veniva messa tutta la responsabilità della gestione, compresa quella artistica che è la ragione della loro esistenza, il quale poi se lo ritiene opportuno oltre che necessario nomina un direttore artistico ed anche un direttore musicale. 

 Nel tempo si è assistito ad un altro gioco perverso a danno dei teatri, al gioco di sovrintendenti 'fessi'  - usiamo questo termine solo per farci capire e non per insultare o inveire contro questo o quel sovrintendente del passato (oggi di fessi non ve ne sono più, la loro stirpe si è esaurita col tempo) - che per non farsi  oscurare dal direttore artistico ne nominavano uno ancor 'più fesso'.

 In Italia, dove - lo abbiamo scritto giorni fa - il direttore artistico sta scomparendo (oggi ha ripreso l'argomento sul Corriere della Sera, Valerio Cappelli che non perde occasione per incensare  quello che lui considera il più grande direttore artistico in attività, forse l'ultimo dei 'mohicani', Alessio Vlad,  figlio di Roman, non si dimentichi mai nel leggere la sua carriera, e suo amico, nel timore del diretto interessato che al prossimo giro di nomine qualcuno lo scalzi dalla poltrona dell'Opera di Roma) si è verificato anche qualche episodio davvero sconcertante, riguardante, nel caso che stiamo per citare, l'Accademia di Santa Cecilia. E Bruno Cagli.

L'Accademia che è un consesso di noti e riconosciuti musicisti elesse per molti anni a suo presidente - carica che assomma quelle di sovrintendente e direttore artistico - Bruno Cagli che è stato certamente un buon letterato, studioso di Rossini, ma che forse la musica non la sapeva leggere e che di mettere insieme un cast non era capace. Una accusa simile se la rivolsero in anni di rivalità, per l'ascesa all'incarico di presidente, Cagli e  Giorgio Battistelli; a loro si unì in  questo lancio di stracci anche Nicola Sani: uno diceva dell'altro cose inenarrabili professionalmente, in rapporto ai rispettivi incarichi, per il cui svolgimento nessuno di loro aveva gli strumenti necessari.

 Resta il fatto che al vertice dell'Accademia, consesso di noti musicisti,  per un  ventennio sedette Bruno Cagli, che musicista non era, e che per programmare le stagioni dell' Orchestra - suo principale incarico, retribuito oltre misura - si contornò di una 'segreteria artistica' ben nutrita e perciò costosa, senza la quale avrebbe  dovuto dichiarare forfait. Ma vi pare che si poteva dimettere dopo aver tanto sgomitato, pur cosciente che  per quell'incarico non   era certo lui il più idoneo in circolazione?

 

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