Se c’è un termometro che è in grado di misurare in tempo reale la voglia di tornare ad ascoltare la musica dal vivo, è quello dell’Arena di Verona. E, almeno stando ai numeri della “Settimana delle stelle”, ossia quella a cavallo fra luglio e agosto con i big della lirica e della danza che affollano il cartellone scaligero, beh allora si può dire che siamo a una sorta di “febbre da note” di sera. Bastava essere domenica 1 agosto alla “Turandot” andata in scena sul più grande palcoscenico del mondo. Quasi esauriti i posti a disposizione. E sono 6mila adesso, secondo le norme anti-Covid: meno della metà rispetto agli oltre 13mila spettatori che l’anfiteatro potrebbe accogliere in tempi ordinari, ma comunque una capienza contingentata che è da primato in mezzo alla pandemia.
Ecco, il pubblico riempire il teatro. Mascherina Ffp2 obbligatoria; posti distanziati; controlli certosini agli ingressi. Ma nessuno si fa problemi. Anzi, si sceglie di esserci nella grande “sala” a cielo aperto per gustarsi l’ultimo capolavoro di Giacomo Puccini. Anzitutto, perché oggi, al tempo del coronavirus, solo l’Arena può far salire sul palco un centinaio di figuranti e mimi per raccontare Pechino, la sua famiglia imperiale, un popolo che sogna una principessa, Turandot appunto, non più “boia” per amore, la sfila che le lancia e che vince all’alba il principe ignoto Calaf. Dominano i maxischermi che proiettano stampe asiatiche, perché i movimenti scenici sono ancora limitati. Ma ci sono tutti. Non saranno i super allestimenti che rendono celebre Verona ma incantano benché non ci siano idee nuove e tutto sembri “già visto”. Però il pubblico apprezza lo stesso, affamato com’è di entrare di nuovo a teatro.
La regina della serata è Anna Netrebko, nome di richiamo nella locandina. Spettatori in piedi per lei al termine della rappresentazione. La sua voce è sempre più scura, ogni volta che la si ascolta. Quasi “baritonale”, se non fosse un’eresia musicale affermarlo. Ma nel ruolo della principessa di ghiaccio, che propone per la prima volta in Italia, tocca il cuore e la mente. E poi ha quel physique du ròle che, con il suo comportamento imponente e austero, la rende ancora più attrattiva. A farle concorrenza è Ruth Iniesta. La cantante spagnola è una Liù che affascina. Non ha una massa vocale imponente e quindi talvolta alcuni passaggi vengono come risucchiati dagli spazi dell’anfiteatro; tuttavia offre un’interpretazione passionale e dolente che ha il suo apice nella morte. È lei l'eroina dello spettacolo.
Accanto al soprano russo, c’è il marito Yusif Eyvazov: coppia nella vita e coppia d’oro sotto i riflettori di Verona. Va detto che lui non ha una voce bella. Invece possiede un’ottima pronuncia. Ha ben preparato la sua aria più celebre “Nessun dorma” che infatti fila liscia e strappa applausi prolungati. Per il resto opta per un’impostazione lenta, troppo lenta, che crea anche problemi alla direzione d’orchestra ed è accompagnata da alcuni problemi di intonazione che non sfuggono. È un Timur sicuro Riccardo Fassi; un imperatore carismatico Carlo Bosi; un trio di ministri del regno accettabili Alexey Lavrov (Ping), Marcello Nardis (Pong), Francesco Pittari (Pang).
Sul podio sale Jader Bignamini. Non è una passeggiata affrontare una partitura complessa tenendo insieme l’orchestra allargata per ragioni di distanziamento, i soliti sul palco, il coro dell’Arena sugli spalti alla sua sinistra e quello di voci bianche sui gradoni alla sua destra (perché i coristi non salgono sul palcoscenico per cautela). Ma ci riesce con piglio sicuro, non intaccando la magnificenza pucciniana. Applausi meritati per lui.
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