Nell’attesa che il governo liberale di centrodestra istituisca il Sabato Cattolico e la Giornata della Famiglia Tradizionale, la nazione assediata dalle minigonne, dai capelloni e dai giovinastri senza più religione ha trovato motivo di conforto e speranza nei provvedimenti sicuritari e di manutenzione delle radici cristiane di cui finalmente han dato prova le istituzioni italiche: prima, l’urgentissima convocazione del Gran Consiglio di presidenza del Senato riunito in unità di crisi per i gravi fatti di sedizione culminati nel vilipendio spray dei sacri muri di Palazzo Madama; poi, il comando agli amministratori di ogni ordine e grado, dai vertici dei pubblici uffici ai capicaseggiato, di tenere a mezz’asta il vessillo repubblicano nel giorno del funerale dell’ex Papa di Roma.
Verrebbe da ridere se non si trattasse di segni esemplari di una involuzione civile e istituzionale molto grave, quella per cui è perfettamente normale la mobilitazione della gunta senatoriale a contrasto della blasfemia verniciatrice, con il rincalzo dell’ex ministro anti-zingaracce che rivendica il merito del presidio carcerario per la rieducazione dei ragazzini, mentre lo Stato laico – che dovrebbe essere di tutti, anche di chi considera il Papa un rispettabile monarca di un ordinamento straniero – prende il profilo di un sistema teocratico che si incurva per decreto a lutto pubblico. Nell’Italia democristiana, comunista e dei partiti costituzionali, una cosa del genere non si sarebbe mai vista, e infatti è stato necessario arrivare al 2005, alla morte di Giovanni Paolo II, per assistere alla completa compromissione dello Stato laico nella celebrazione delle esequie.
Ma in quel caso, per quanto fosse esecrabile la precettazione generalizzata, si trattava perlopiù di un omaggio alla figura storica e politica e persino alla sensualità del pontefice guerriero. Era l’Italia che partecipava ai funerali di una star. Nel caso del Papa emerito è diverso: è proprio l’indifferentismo della Repubblica al proprio decoro, alle proprie ragioni costituzionali, al proprio dovere di giustapporsi con rispetto alla Chiesa e al Vaticano, ma senza farsi testimone di questo né bandiera di quella. Ma pare che non se ne accorga nessuno. Pare che nessuno comprenda come non solo questa imbarazzante (è un eufemismo) abdicazione dello Stato laico, ma anche quella ridicola e in realtà preoccupante scena dei senatori adunati a contrasto dell’emergenza-bombolette presenti visibilissimi, e solo quantitativamente attenuati, tratti iraniani.
Il guaio è che questo doppio infortunio – chiamiamolo così – non costituisce un semplice strafalcione istituzionale ma la dimostrazione molto significativa di una realtà politico-culturale assai ben formulata: quiescente per decenni, quando appunto simili episodi sarebbero stati persino inenarrabili, e ora libera di risplendere per quel che è, il temibile complesso di nazionalismo, autoritarismo e confessionalismo che da conato reazionario rischia di trasformarsi in routine illiberale. C’è da sperare che chi minimizza, chi lascia correre perché dopotutto che sarà mai, un po’ d’ordine contro i vandali e un po’ di ripristino dei valori cattolici, sia in malafede. Perché se invece non capisce – e il sospetto è esattamente questo – vuol dire che siamo proprio al collasso civile e democratico.
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