Ieri, a Tokyo, 8 contagi, 95 in tutto l’arcipelago. «Appena» sei decessi dal 7 novembre, due proprio l’altro ieri, pazienti da lungo tempo ricoverati. In agosto, dopo le Olimpiadi, i contagi erano schizzati ad oltre duemila al giorno, e con un numero irrisorio (meno di 20mila) di tamponi. E se fino a qualche settimana gli ospedali – trovatisi fin dall’inizio inspiegabilmente impreparati a gestire la pandemia – erano ancora in affanno, specie nelle grandi città, ora si stanno “svuotando”. Nessun paziente in terapia intensiva, a Tokyo, 40 in tutto il Giappone.
E questo proprio mentre la stampa locale si accorge finalmente del dramma dei «jitaku hochi», dei pazienti deceduti in casa perché rifiutati dagli ospedali e di fatto abbandonati a se stessi. Pare siano centinaia, i cui certificati di morte spesso non indicano il Covid-19. E i parenti si stanno organizzando per una “class action”, fenomeno pressoché sconosciuto, finora, in Giappone.
Ma tutto questo fa parte del passato. Perché mentre in Europa è di nuovo emergenza e torna l’incubo – più che giustificato – dei lockdown più o meno selettivi, qui in Giappone il virus sembra davvero sparito. «Johatsu shita», dicono qui, «evaporato». Alcuni, radicalizzando una teoria che per quanto bizzarra sta provocando accessi dibattiti sia sui media che tra “esperti”, parlano di «suicidio». Secondo Ituro Inoue, direttore dell’Istituto di Genetica Nazionale, il virus in Giappone si sarebbe «arreso» di fronte all’esistenza-resistenza di un particolare enzima, l’Apobec3A, di cui i popoli asiatici, e i giapponesi in particolari sarebbero muniti. Teoria tutta da dimostrare, ma che ricorda in effetti quanto successo ai tempi della Sars (2003). Anche in quella occasione, dopo un prima esplosione di contagi, il virus scomparve, più o meno all’improvviso.
Più attendibile, forse, è invece la teoria che il Giappone – che fin dall’inizio vi aveva puntato senza annunciarlo ufficialmente, basta pensare alla vicenda della Diamond Princess, la nave a suo tempo bloccata a Yokohama ma i cui passeggeri “indigeni” vennero liberati e mandati a casa con i mezzi pubblici – abbia raggiunto l’immunità di comunità. Questo anche e soprattutto grazie all’improvvisa accelerazione della campagna vaccinale. Iniziata con grave e imbarazzante ritardo ( a settembre eravamo ancora attorno al 30% di vaccinati) ora la percentuale di vaccinati con doppia dose ha superato l’80%. Il Giappone, da ultimo che era, ora è al primo posto tra i Paesi del G7, seguito, a poca distanza, da Canada e Italia. E dal primo dicembre inizia la somministrazione della terza dose, aperta a tutti, da subito, senza limiti d’età. E questo in un Paese che tradizionalmente – e con qualche legittimo motivo – diffida da sempre dei vaccini, al punto che è l’unico Stato del mondo industrializzato a non imporre l’obbligatorietà dei vaccini di base ai bambini (polio, trivalente etce-ct). Una piroetta sociale e culturale improvvisa e inaspettata: pensate, qui i no-vax non esistono. O meglio, esistono in privato, ma non sono organizzati e non scendono in piazza. Quando alla Tv fanno vedere le immagini delle nostre manifestazioni lo stupore di conduttori e ospiti è totale: «Ma perché lo fanno» è la domanda che si pongono e alla quale nessuno sa rispondere. Grande interesse e apprezzamento invece per il Green pass, misura considerata giusta ed efficace. Qualcuno, a suo tempo, aveva anche proposto di adottarne una versione locale. Ma giunti a questo punto, con i numeri attuali della pandemia sembra davvero inutile. Il Giappone di fatto, è tornato alla normalità: nessuna restrizione particolare, mezzi pubblici e locali strapieni, distanza sociale, di fatto mai applicata seriamente, sparita. Resta la mascherina, anch’essa «raccomandata», ma non imposta. Ma i giapponesi ci sono abituati da sempre: un segno di civiltà che in certe stagioni (inverno e primavera, soprattutto) protegge da batteri e pollini. E ora arriva anche il “pacchetto” del premier Fumio Kushida. Quasi 500 miliardi di dollari per risarcire gli imprenditori e rilanciare l’economia, ferma da molto prima che arrivasse la pandemia. E perfino un bonus famiglia. L’equivalente di 1.000 euro ad ogni famiglia con figli minori.
Basta che nessuno dei due genitori guadagni più di 90mila euro l’anno. Non insieme, sia chiaro. Ciascuno di loro. Basta che nessuno dei due superi i 90 mila euro, e avranno diritto al bonus. Praticamente, oltre l’80% delle famiglie. Serviranno a poco, dicono gli “esperti”: nel 2020, quando l’ex premier elargì un primo bonus, il 70% finì in risparmi. Nessun effetto sui consumi. Vedremo questa volta, se i giapponesi ricominceranno a spendere. La ripresa economica dipende solo da loro, perché le frontiere resteranno chiuse ancora a lungo. Troppo rischioso riaprire ai turisti questa isola felice.
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