lunedì 22 novembre 2021

Julius Caesar di Battistelli visto in tv e (non) letto sui giornali

 Cominciamo da 'prima della prima' - non 'anteprima' come ha scritto la cronista de La repubblica, che non sapeva, inoltre, che il palco che lei ha chiamato 'del sovrintendente' dove si è accomodato anche il sindaco, è per tutti e da sempre il cosiddetto 'palco reale' - con il red carpet sul quale sarebbero sfilati - così si è letto - i più alti rappresentanti della cultura, delle professioni, della politica ed anche dei salotti romani.  Sul red carpet ha sfilato il sindaco Gualtieri, ma non il ministro Franceschini (c'era Bianchi, ma non è la stessa cosa!) e neppure il Presidente Mattarella che l'indomani ha assistito all'Otello che inaugurava il San Carlo di Napoli ( e comunque il Presidente della repubblica  all'Opera  sarebbe entrato da un ingresso laterale dedicato);  c'era Bruno Vespa e Letta - che non manca mai a niente, per paura che ci si dimentichi di lui -   dirigenti Rai, per dovere, come Calandrelli, fedelissima di Fuortes (come anche di Veltroni), e le consigliere Agnes e Bria, e poi le signore Federici e Tittarelli: insomma il mondo della Capitale, il 'gran mondo', ed il 'bel mondo' di Roma. Praticamente un deserto, che forse avrebbe offerto spazio per dire a Gualtieri di nominare presto il sovrintendente.

 Ancora oggi, per lo meno sui due maggiori quotidiani, tolte le cronache,  solitamente idiote e vuote,  niente si è letto dell'opera: perciò la grande stampa o meglio la stampa dei grandi giornali, ha praticamente snobbato l'inaugurazione di stagione affidata, dopo oltre un secolo dal precedente caso ( Le Maschere di Mascagni nel 1901), ad un'opera nuova, che avrebbe potuto destare, anche per il soggetto, una qualche curiosità. Meno per la musica di Battistelli che, da quella che conosciamo - e ne conosciamo ormai abbastanza - non presentava nulla di  rilevantemente nuovo.

 In tv la prima dell'opera è stata concepita dalla regista capo di Rai Cultura, Francesca Nesler, come una sorta di 'prima della prima': all'inizio quattro parole di Battistelli, senza senso e nulla di ricordevole e,  in aggiunta, altre quattro di Gatti; poi via all'opera e fra un atto e l'altro - l'opera è durata in tutto poco più di due ore -  altre parole di Battistelli, Gatti e Carsen, il regista; questa volta più articolate e forse per questo un pò utili.

 L'episodio clou della rappresentazione arriva alla fine del primo atto, con l'uccisione in Senato di Cesare per mano di Bruto, alle idi di marzo, il 15 del mese, del 44 av.Cr.

Nel secondo atto la  fine medesima, occorsa ai traditori di Cesare, Bruto ed anche Cassio.

E la musica? Un magma indistinto, tutto di colore scuro, per tutta l'opera,  e su di esso  il racconto in uno stile che altro non è che un parlato 'intonato', una sorta di 'recitar cantando' di storica memoria. Che dimostra ancora una volta come il problema del canto nell'opera moderna non sia stato ancora risolto, nonostante qualche proposta corale, s riscontri in qualche opera di Lucia Ronchetti. 

 Qualche increspatura strumentale sì è notata  nel passaggio lucente degli ottoni che accompagnano, in stile fugato, l'andata di Cesare in Senato dove  troverà, inattesa, la morte. E anche nel preludio che avvia il seond'atto, il momento più coinvolgente dell'opera, quando davanti al cadavere di Cesare il suo assassino prima e Antonio poi arringano il popolo che - dimostrazione efficace - si schiera prima con uno e poi con l'altro. I voltagabbana sono sempre esistiti, ci dice Shakespeare, e quel che si chiama popolo altro non è che una massa di gente addomesticabile anche con le più grandi bugie. Una parte rilevante  ha per questo il coro 'ondeggiante' - la 'ggente de Roma'.

In un'opera così è evidente che il lavoro maggiore, per la usa riuscita in palcoscenico, spetti al regista che firma lo spettacolo. Senza di lui forse dopo i primi minuti la gente comincerebbe a sbadigliare, a distrarsi. Come del resto si sono distratti quelli di Rai Cultura che hanno sbagliato in più casi i sottotitoli. 

E lui, il regista, non poteva fare  più di quello che ha fatto, ambientando tutto in uno spicchio  dell'emiciclo di Palazzo Madama (?) e legando così la politica del tempo di Cesare a quella di oggi, sottolineata anche dai rituali 'giacca e cravatta' necessari per entrare nei palazzi del potere. Quella fetta di emiciclo  girata su se stessa a vista,  e mostrando l'armatura sulla quale  si reggeva, diventava  la trincea di un campo di battaglia, per parte del second'atto, dove trovano la morte i cospiratori, per tornare ad essere infine l'aula del Senato 'romano' (di Roma).

 Senza i  sottotitoli, necessari perché l'opera è scritta in inglese, avremmo perso l'essenza della tragedia shakespeariana, che è la riflessione sul potere ecc...ecc...  alla quale quel magma musicale altro non è riuscito ad  aggiungere.

 Alla fine applausi ma anche qualche dissenso, in direzione di Battistelli, apparso accompagnato dal suo librettista, Jan Burton. 

Interpreti,  solisti, coro e orchestra, e direttore giustamente applauditi, tutti ineccepibili, anche in considerazione che  quelli principali, alcuni nel primo altri nel secondo atto, non hanno mai abbandonato la scena.


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