Ci vogliono dieci minuti a piedi per andare dal teatro Carlo Felice all’Istituto mazziniano. Meno di un chilometro fra i carruggi di Genova che per quasi due secoli ha nascosto uno spartito d’autore composto da Vincenzo Bellini. Autografo, per di più. E scritto proprio nel golfo dell’ex Repubblica marinara per l’apertura del nuovo teatro cittadino, il Carlo Felice appunto. Un frammento musicale dell’opera d’inaugurazione Bianca e Fernando che ha avuto la stessa sorte: perduta nelle sue pagine originali che il maestro di Catania aveva concepito per Genova dopo che, non ancora 27enne, si era visto assegnare il prestigioso incarico di scrivere il dramma per il debutto del teatro. Da quel 7 aprile 1828 il titolo belliniano è stato disperso in mille rivoli. Impossibile rimetterlo in scena se la composizione “primaria” non c’è più e l’unico riferimento che resta è una riduzione per canto e pianoforte edita da Ricordi.
«È stata come una sorta di caccia al tesoro riassemblare il materiale originario», spiega la musicologa Graziella Seminara, direttrice del Centro studi belliniano, ancora alle prese con il lavoro di ricerca lanciato dalla fondazione lirica. Le partiture ritrovate saranno sui leggii del Carlo Felice venerdì 19 novembre per l’apertura della nuova stagione con la perla “risuscitata” di Bellini. «Sarà la prima esecuzione moderna», fa sapere il sovrintendente Claudio Orazi. L’opera (in cartellone fino al 30 novembre) celebrerà i trenta anni del nuovo teatro, quello della ricostruzione dopo i bombardamenti della seconda guerra mondiale che sarebbe arrivato solo nel 1981 su progetto di Aldo Rossi. «Una delle sfide più stimolanti – prosegue Orazi – è “far cantare le mura”. Malgrado le devastazioni dell’ultimo conflitto il Carlo Felice è qui tutti i giorni a ricordarci del suo passato e a raccontarcelo».
Una storia iniziata con il giovane talento d’origine siciliana e con la sua storia in musica di due fratelli costretti a separarsi dal padre Carlo, duca d’Agrigento, che viene imprigionato dall’usurpatore Filippo e che alla fine i due figli riusciranno a liberare. Un «melodramma serio in due atti», si legge nella locandina del tempo, che era una rielaborazione dell’opera andata in scena a Napoli due anni prima. «Di quella prima versione Bellini mantenne integri soltanto la romanza di Bianca “Sorgi, o padre” e il “gran duetto” tra Bianca e Fernando», spiega Seminara. Sostituì anche il librettista: da Domenico Gilardoni passò al genovese Felice Romani che sarebbe stato al suo fianco nei più celebri capolavori, da Norma a La sonnambula.
«Ma per uno strano gioco del destino molti autografi della partitura non sono giunti a noi – continua la studiosa –. E forse tutto ciò è legato a un passaggio tecnico, ossia a quando le pagine sono state inviate al copista che doveva tirare le parti per il teatro». Alcuni fogli sono riemersi oggi in archivi, biblioteche, strutture specialistiche. È il caso dell’Istituto mazziniano. «Qui sono stati rinvenuti due recitativi – racconta la docente – che hanno una significativa funzione drammaturgica e che con tutta probabilità non sono mai stati eseguiti, visto che non compaiono nell’edizione Ricordi». Non solo. Dopo la sinfonia iniziale alla quale il compositore aveva aggiunto un Allegro rispetto all’impostazione napoletana, «si ascolterà per la prima volta in un teatro italiano il Maestoso, presente nella riduzione per canto e pianoforte, ma nella versione orchestrale di Paolo Furlani». Gli originali si trovano nel Palazzo Lobkowicz a Praga. «Però non siamo ancora riusciti a ottenere queste parti staccate», rivela la musicologa. Altre pagine «sono tornate alla luce nel Conservatorio “Paganini” di Genova, poco distante dal teatro», aggiunge il sovrintendente. E nel Museo belliniano di Catania è apparso uno schizzo del nuovo finale, poi scartato. Tutto confluirà nell’edizione critica che la musicologa sta curando. «Intorno a questa opera si è creata una situazione paradossale: è il lavoro di Bellini di cui sappiamo di più attraverso le sue lettere ma del quale possediamo di meno dal punto di vista degli autografi», afferma Seminara. Missive che ci dicono, ad esempio, anche la ragione per cui il compositore eliminò in terra ligure la romanza di Carlo e ritoccò il successivo terzetto tra Bianca, Fernando e Carlo: «Il basso è debolissimo in musica, avendo sì una bella voce, ma non può mai andare in tempo», annotava il maestro.
È ancora un Bellini acerbo quello di Bianca e Fernando ma già traspare il suo genio. «E infatti l’opera fornirà motivi musicali per Zaira, Norma o I puritani, nonostante non abbia una trama d’amore e nessuno muioia», osserva Donato Renzetti, il direttore d’orchestra che salirà sul podio del Carlo Felice e che per una sera sarà Bellini (che aveva guidato la prima a Genova). A firmare la regia è l’argentino di fama internazionale Hugo de Ana. «In Bianca e Fernando– avverte Renzetti – si trova il carattere malinconico del suo autore. Siamo di fronte a una melodia pura, come lo erano i suoi sentimenti, che l’hanno reso immortale. Ed è quello che intendo far emergere. Si tratta di una partitura complessa: e può essere anche questo uno dei motivi per cui è stata così poco eseguita». Una pausa. «Lo stile belliniano che aveva stregato anche da Wagner c’è tutto. Magari non si percepisce di primo acchito. Ecco perché la considero un’opera da riascoltare», aggiunge la bacchetta abruzzese, impegnata nella valorizzazione del patrimonio musicale del Novecento ma anche dei titoli “dimenticati” del secolo precedente.
La restituzione di Bianca e Fernando sarà accompagnata dalla mostra “Genova, 7 aprile 1828” che nel foyer ripercorre la genesi del Carlo Felice. E rientra nel progetto “Civiltà musicale genovese e ligure” voluto da Orazi. «L’arte ha una funzione sociale – riflette il sovrintendente –. Non possono correre in parallelo, senza incrociarsi, le storie delle nostre città e quelle che si scrivono con lo spettacolo dal vivo». Da qui la scelta di riconsegnare al territorio titoli con un’ascendente locale. Era già accaduto nel 2020 con il Trespolo tutore di Alessandro Stradella ridonato dopo 340 anni alla comunità dove l’autore era direttore del teatro di corte. Si ripete adesso con Bellini. «Bianca e Fernando aveva avuto un successo epocale, conquistando anche i reali sabaudi presenti non solo alla prima ma anche alle repliche – dice Orazi –. Per l’esordio del Carlo Felice, duecento anni fa, era stato varato un trittico di primizie, tutte affidate all’estro di Romani: dopo Bellini, era stata la volta di Gaetano Donizetti con il debutto di Alina regina di Golconda e poi di Francesco Morlacchi con Cristoforo Colombo. Proprio il suo Colombo è stato rintracciato nel Conservatorio di Genova e contiamo di proporlo fra qualche anno. È quanto chiede anche il nostro statuto che invita a compiere ricerche in campo musicologico e storico per il recupero di repertori meno frequentati o, come in questi casi, legati all’identità della città e a un passato apparente che in realtà segna ancora il nostro tempo».
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