giovedì 6 febbraio 2020
Hélène Grimaud, miss pianoforte che balla coi lupi ( da IL GIORNALE, 27 agosto 2006) . Si ripubblica
Hélène Grimaud è una pianista. È francese. Bellissima, più bella di quanto non dicano le foto. Specie nella versione acqua e sapone. Hélène è anche più giovane di quanto riveli l’anagrafe, forse è «la meraviglia per il mondo e le cose che mi fa sembrare tale» commenta. Anche se ha già passato i trenta, ha un fisico da adolescente, due occhi chiari e liquidi, fra il grigio e l’azzurro, vivacissimi e un sorriso irresistibile. Parla con grazia, sebbene a mitraglia, a voce bassa e profonda, con un vocabolario ricco.
Questa fanciulla all’apparenza fragile ha una tempra d’acciaio, ama le sfide impossibili. L’ultima, anni fa, quando dalla nativa Aix-en-Provence planò nella lontana America, per abitare nei boschi del Connecticut, a un’ora di macchina da New York. Là Hélène vive e parla coi lupi. È questa, dopo la musica, la seconda grande passione della sua vita. I lupi sono diventati suoi amici, compaiono in tante sue foto e le hanno anche ispirato un diario di vita e pensiero, intitolato Variations sauvages, in uscita anche in Italia alla fine del prossimo anno. Turbolenta e inquieta ma piena di energia, Hélène è sempre stata così. Quando aveva dieci anni, ai giochi con i coetanei preferiva la lettura, la «grande compagna della sua vita». Si dirà che tutti gli adolescenti assomigliano ad Hélène. È vero, tranne che in una cosa: Hélène le scelte le ha fatte sempre di testa propria, optando sempre per quelle più impegnative. Anche nel caso di quelle legate alla sua professione.
Oggi Hélène è una pianista notissima, una star nonostante la giovane età (la settimana scorsa ha suonato con grande successo al Tuscan Sun Festival di Cortona, in duo con la violoncellista Nina Kotova, direttrice artistica del festival). Anche il pianoforte racconta del suo forte carattere. Invece di altri strumenti più «naturali», come il violino o il flauto, decise di dedicarsi al piano perché è il più innaturale fra tutti gli strumenti, il più complesso e difficile, con una letteratura sterminata. Ed anche perché è quello che ti costringe continuamente ad una posizione fisica da equilibrista, una posizione innaturale di sfida, a braccia spesso aperte, come in croce. I genitori la assecondarono, anche perché sapevano che contrastando quella figlia tanto decisa c’era il rischio di mandarla dritta sul lettino dello psicoanalista. Preferirono perciò la posizione scomoda ma eretta.
Seconda giunse la sfida dei lupi; una sfida da donna matura, raccolta da Hélène poco dopo i vent’anni. «Si tratta di un progetto ambientalista» precisa. «Sento forte la responsabilità della salvaguardia della natura e dei lupi che minacciano di estinguersi. Sono animali preziosi, i predatori al vertice della catena alimentare. Preservandoli speriamo di salvare l’intera catena. Con questo impegno intendo restituire un po’ di quello che ho ricevuto dalla vita. Quando ho cominciato era assai faticoso. Mi creava seri problemi per la professione musicale; ma non ho mai pensato di rinunciare né alla musica né ai lupi. Oggi le cose sono più facili, al progetto lavorano molte persone, è ben avviato e in parte cammina da solo». Ai lupi, che Hélène assicura essere dotati di spiccata «socialità», piace la musica? «Vivono troppo lontano da dove studio e suono. Ma per un periodo ho accudito una piccola lupa. Ogniqualvolta che ascoltavo il Concerto per violino di Schumann – che adoro! – la lupacchiotta arrivava di corsa e cominciava a ululare. Forse era il suo modo per dirmi che piaceva anche a lei».
I prossimi traguardi? «Chissà. Intanto voglio suonare sempre più spesso con altri, nella musica da camera o con orchestra e sempre meno da sola. Il contatto e lo scambio mi arricchiscono; desidero impegnarmi anche nella musica contemporanea, con moderazione e quel tanto che sento, senza strafare, e, infine, desidero riprendere a scrivere. Ho scoperto che la scrittura mi piace e appassiona». Il prossimo appuntamento italiano, con Hélène Grimaud, la pianista che parla coi lupi, a metà dicembre, all’Auditorium di Roma, con il direttore Yuri Temirkanov, uno dei suoi beniamini, nel Concerto per pianoforte e orchestra n. 1 di Brahms.
Pietro Acquafredda
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