Gli Odg regionali: «Gli Stati generali finiscono qui». Crimi: «L'Ordine ormai è una scatola vuota»
Duro botta e risposta tra i vertici territoriali e il sottosegretario all'Editoria. «Solo sgombrando il campo dall'ipotesi di abrogazione, ci si può confrontare sulla urgente necessità di una riforma», scrivono i primi. «Non è accettabile che il confronto sia valido solo quando lo dicono loro», ribatte il secondo.
La cerimonia di inaugurazione degli Stati generali dell'editoria il 25 marzo 2019
Duro botta e risposta tra i vertici degli Ordini regionali dei giornalisti e il sottosegretario all'Editoria, Vito Crimi. «Il sottosegretario non ha perso occasione in questi mesi, ripetendolo quasi ad ogni appuntamento degli Stati generali dell'editoria, per rimarcare la necessità di abolire l'Ordine, bollandolo come anacronistico e delegittimando un organismo democraticamente eletto. Per questo motivo il Cnog e tutti gli Ordini regionali non hanno partecipato agli Stati generali», si legge in un documento approvato all'unanimità dalla Consulta dei presidenti e dei vicepresidenti regionali, riunita a Roma con il presidente del Cnog Carlo Verna.
«Solo sgombrando definitivamente il campo dall'ipotesi di abrogazione, ci si può confrontare sulla urgente necessità di una riforma. Non è istituzionalmente corretto fare contemporaneamente istruttoria ed emettere verdetti di condanna mentre si assumono elementi. Pertanto, senza un ravvedimento rispetto ad un modo di agire inaccettabile, per noi gli Stati generali finiscono qui: un fallimento decretato da chi li ha indetti», prosegue il documento.
«Nell'attuale panorama dell'informazione, affidata sempre di più alle tecnologie digitali, ai social media e agli algoritmi – incalzano i presidenti e vicepresidenti regionali – è fondamentale il ruolo di chi è professionalmente formato per accertare la fondatezza delle notizie, verificarne le fonti, certificarne la provenienza, nel rispetto della deontologia professionale. Sono questi i punti di forza della professione giornalistica, garantiti dall'appartenenza all'Ordine dei giornalisti. Un Ordine certamente da riformare, come chiediamo da anni al Parlamento, e da adeguare alle nuove realtà, visto che la legge istitutiva risale al 1963. Il Cnog insieme agli Ordini regionali, ormai un anno fa ha elaborato una proposta innovativa che apre la categoria alle trasformazioni in atto, preservandone l'autonomia in virtù della funzione prevista dall'articolo 21 della Costituzione».
Una presa di posizione a cui il sottosegretario all'Editoria risponde osservando: «Dal caso Fubini al disinteresse dei giornalisti per l'appuntamento loro riservato agli Stati generali dell'editoria credo che si definisca da sola la questione Ordine dei giornalisti. Non è accettabile che il confronto sia valido solo quando lo dicono loro, nelle forme volute da loro e se si fa quello che dicono loro. Un bell'esempio di democrazia, non posso aggiungere altro».
Per Crimi «l'Ordine dei giornalisti si definisce da sé: il suo essersi svuotato di senso e contenuto, e quindi averlo relegato ad una scatola vuota, è opera propria non di Crimi. Se si può esercitare la professione abusivamente, se non si incorre mai in reali sanzioni a fronte di conclamate fake news a cosa serve l'Ordine? Una domanda che non si pone solo il sottoscritto ma tantissimi bravi giornalisti che si sentono abbandonati nella loro professione. Mentre c'è chi si guarda l'ombelico e promette riforme, noi rimaniamo fedeli a quanto detto da oltre un decennio: superamento dell'Ordine dei giornalisti, ma forse – conclude il sottosegretario – vogliamo essere tra i pochi in Europa ad avere una situazione del genere».
«Solo sgombrando definitivamente il campo dall'ipotesi di abrogazione, ci si può confrontare sulla urgente necessità di una riforma. Non è istituzionalmente corretto fare contemporaneamente istruttoria ed emettere verdetti di condanna mentre si assumono elementi. Pertanto, senza un ravvedimento rispetto ad un modo di agire inaccettabile, per noi gli Stati generali finiscono qui: un fallimento decretato da chi li ha indetti», prosegue il documento.
«Nell'attuale panorama dell'informazione, affidata sempre di più alle tecnologie digitali, ai social media e agli algoritmi – incalzano i presidenti e vicepresidenti regionali – è fondamentale il ruolo di chi è professionalmente formato per accertare la fondatezza delle notizie, verificarne le fonti, certificarne la provenienza, nel rispetto della deontologia professionale. Sono questi i punti di forza della professione giornalistica, garantiti dall'appartenenza all'Ordine dei giornalisti. Un Ordine certamente da riformare, come chiediamo da anni al Parlamento, e da adeguare alle nuove realtà, visto che la legge istitutiva risale al 1963. Il Cnog insieme agli Ordini regionali, ormai un anno fa ha elaborato una proposta innovativa che apre la categoria alle trasformazioni in atto, preservandone l'autonomia in virtù della funzione prevista dall'articolo 21 della Costituzione».
Una presa di posizione a cui il sottosegretario all'Editoria risponde osservando: «Dal caso Fubini al disinteresse dei giornalisti per l'appuntamento loro riservato agli Stati generali dell'editoria credo che si definisca da sola la questione Ordine dei giornalisti. Non è accettabile che il confronto sia valido solo quando lo dicono loro, nelle forme volute da loro e se si fa quello che dicono loro. Un bell'esempio di democrazia, non posso aggiungere altro».
Per Crimi «l'Ordine dei giornalisti si definisce da sé: il suo essersi svuotato di senso e contenuto, e quindi averlo relegato ad una scatola vuota, è opera propria non di Crimi. Se si può esercitare la professione abusivamente, se non si incorre mai in reali sanzioni a fronte di conclamate fake news a cosa serve l'Ordine? Una domanda che non si pone solo il sottoscritto ma tantissimi bravi giornalisti che si sentono abbandonati nella loro professione. Mentre c'è chi si guarda l'ombelico e promette riforme, noi rimaniamo fedeli a quanto detto da oltre un decennio: superamento dell'Ordine dei giornalisti, ma forse – conclude il sottosegretario – vogliamo essere tra i pochi in Europa ad avere una situazione del genere».
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