Noi quella lirica di Leopardi, scritta esattamente duecento anni fa, la imparavamo a memoria, anche senza comprenderne il senso profondo e la bellezza. Ora non la si impara più a memoria - in verità a scuola non si fa più esercitare la memoria ai ragazzi: male, malissimo! - e non si sa neppure che esiste.
Le celebrazioni bicentenarie hanno risvegliato la memoria di quel testo poetico in noi e nella maggior parte degli italiani, complice il Corriere della Sera, la voglia di buttarcisi sopra e misurarsi con essa, da traduttori.
Il Corriere per settimane ha riproposto dell'Infinito leopardiano versioni in ogni lingua, dialettale, di ogni paese, accanto ad altre 'd'autore', diciamo così.
A noi l'operazione non è piaciuta fin dall'inizio, chiunque ne abbia dato la sua versione. Perchè, in alcuni casi, quel testo, misterioso e profondo, suonava quasi scioglilingua o barzelletta addirittura.
In tutte le settimane in cui poeti da strapazzo, della domenica o improvvisati, ma anche firme note si sono esibiti con sfacciataggine, e prosopopea nessuno ha mai detto: basta!
Salvo un caso. L'altro ieri Il Fatto ha criticato Franceschini - ex ministro e scrittore - che si è aggiunto alla lista dei dissacratori di Leopardi, traducendolo in 'ferrarese'. Non per dire basta alla stupida, inutile operazione, semplicemente perchè Franceschini a quelli del Fatto non è mai stato simpatico.
Nessun commento:
Posta un commento