La decisione è stata presa dal ministero della Difesa, "nulla da aggiungere". Il primo commento pubblico del Cremlino da quando il ministro Serghej Shojgu ha ordinato il ritiro da Kherson sulla sponda opposta del Dnipro conferma quello che si sospettava sin da quando Vladimir Putin a fine settembre ha nominato Serghej Surovikin a capo delle truppe in Ucraina: le vittorie sono del comandante in capo supremo, le sconfitte dei generali. Anche se di sconfitta non si parla. Un'umiliazione per Putin? Un secco "No" è stata la risposta del suo portavoce Dmitrj Peskov, che ha tenuto il punto. Non solo ha dichiarato che la Russia "non si rammarica" della cerimonia in pompa magna con cui il 30 settembre scorso ha sancito l'annessione di Kherson e altre tre regioni ucraine. Ma ha anche ribadito che il Cremlino continua a considerare tutta la regione di Kherson e la sua omonima capitale come appartenenti alla Russia. "È un soggetto della Federazione Russa, è legalmente fissato e definito. Non ci sono cambiamenti e non ci possono essere", ha detto. Parole inquietanti se si pensa che il 21 settembre Putin aveva brandito la minaccia del ricorso all'arma nucleare avvertendo che la Russia avrebbe difeso "con tutti i mezzi" quelli che adesso considera suoi territori.
"Il ritiro da Kherson non è un’umiliazione”. Mosca allude al negoziato ma prepara la controffensiva.
D'altro canto Peskov è sembrato non chiudere la porta a colloqui. Benché abbia affermato che la Russia è rimasta impegnata a raggiungere gli obiettivi di quella che chiama la sua "operazione militare speciale" in Ucraina, ha aggiunto che il conflitto "può essere concluso solo dopo che i suoi obiettivi sono stati raggiunti - o raggiungendoli attraverso negoziati di pace". "Tuttavia - ha poi precisato - a causa della posizione assunta dalla parte ucraina, i colloqui di pace sono impossibili". Anche il viceministro degli Esteri russo Serghej Rjabkov ha ribadito la volontà della Russia per un "dialogo senza precondizioni" che potrebbe coinvolgere anche Washington...
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