Lo scoop più silenzioso della mia vita risale al 2 aprile 2005 e riguarda Riccardo Muti, maestro d'orchestra che in questi giorni sta rilasciando interviste a giornali che stanno cercando dappertutto qualche posizione culturale antigovernativa. Se me ne ricordo ora c'è una ragione.
Si torna appunto a 17 anni fa, quando Giuliano Ferrara mi diede il via libera per pubblicare sul Foglio un mega-ritratto di Muti (29mila battute, almeno tre pagine di questo giornale) destinato a cozzare clamorosamente contro l'apparato che proteggeva il Maestro un po' ovunque: su tutti la Sovrintendenza della Scala, il Corriere, il Giornale e soprattutto Mediaset attraverso Fedele Confalonieri, che per il maestro aveva una passione smodata. Scrissi una sorta di poema con informazioni mai pubblicate che avevo serbato per anni e che avevo recuperato tra amici orchestrali e poi da una talpa formidabile alla Sovrintendenza e anche traducendo libri e giornali stranieri.
Il giorno della pubblicazione era un sabato: Muti lesse l'articolo, telefonò a Confalonieri e gli comunicò le proprie dimissioni dal Teatro alla Scala, dov' era stato direttore di ogni cosa per quasi vent'anni: si sentiva tradito politicamente - dopo esserlo stato clamorosamente dai suoi stessi orchestrali - dopodiché Confalonieri, imbufalito, telefonò a Ferrara, che infine telefonò a me: «Hai fatto il botto». Mi disse pure, perfidamente, che al telefono aveva obiettato: «Ma dottor Confalonieri, che vuole? Facci è un vostro dipendente». Era vero: ero stato assunto a Mediaset nel 1999. Non furono giorni facili, perché il terremoto scosse mondi elitàri un po' porporali e insomma, non è che ne parlassero nei bar; poi era vero che il mio articolo era stato solo un micidiale colpo di grazia rispetto a un malcontento sorto soprattutto in seno all'orchestra: la reazione di Muti, tuttavia, diede l'idea di come un segnale mediatico di abbandono politico (che peraltro non era) poteva essere sovradimensionato in un mondo in cui il benestare del sovrano aveva ancora un suo primato.
Qualche musicofilo potrebbe addirittura ricordare la nolenza del Maestro alle esecuzioni lente e più solenni dell'Inno (le uniche decenti, le uniche che non la facciano sembrare quella marcetta binaria "zumpappà" che purtroppo resta) e insomma: le volte che la Sovrintendenza fu costretta a giudicare «artisticamente incompatibile» l'esecuzione dell'Inno, che oggi è la regola. Sempre nell'intervista alla Stampa, ieri, Muti ha detto di non conoscere il nuovo ministro Gennaro Sangiuliano ma che spera «sappia ascoltare i veri uomini di cultura non per ricevere ordini, ma per raccogliere consigli». Già sentita anche questa: capitò quando il vicepresidente del Consiglio Walter Veltroni parlò di sovvenzioni per la musica, nel 1997, e Muti rispose: «Non l'ho mai incontrato, e non sono certo io a dover battere alle porte». Ci fermiamo qui. La verità è che il maestro Riccardo Muti oggi ci manca, e pure molto: a dispetto delle sue propensioni e di un repertorio preciso. Le sue interviste ci mancano un po' meno.
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