mercoledì 30 novembre 2022

Musica e musicisti stranieri in Italia. Sono troppi? Gino Castaldo dice di no

 Dalla rubrichetta che gli ha affidato su L'Espresso la nuova direzione, Gino Castaldo se l'è presa con la direttrice d'orchestra 'bellicapelli'  che vorrebbe limitare la presenza della musica e dei musicisti stranieri in Italia.

 Ma che dici, consulente del ministro Sangiuliano? In Italia gli 'italici' -  detto con aggettivazione vagamente dispregiativa da Castaldo - rappresentano la maggioranza e, se si desse corso alle quote, anche la direttrice consulente capirebbe che ad essere danneggiati sarebbero proprio gli italiani che oggi rappresentano di gran lunga  una quota superiore a quella in cui la direttrice vorrebbe restringere la presenza degli stranieri.

 Dunque nessuna quota, e gli 'italici' -  gli stessi, disprezzati, ma che gli danno da mangiare a Castaldo a Sanremo e in altre occasioni -  che sopravanzano di gran lunga gli stranieri nelle radio in Italia,  evitino di protestare perché la protesta potrebbe rivolgersi contro.

 Ora qualcosa va anche detta a Castaldo che evidentemente non ha capito bene come stanno le cose. Due soli esempi, uno preso dagli ambiti musicali che lui frequenta abitualmente e l'altro da quello più consono alla direttrice, dove Lei vorrebbe svolgere  con  maggiori chances e riconoscimenti quel suo lavoro, ma non le riesce, semplicemente perché non ha i numeri non è capace.

 Noi, caro Castaldo, non ascoltiamo mai la radio a casa, mentre la ascoltiamo sempre in macchina e sempre, o quasi, Radio Tre. E per questo veniamo a dirti che non c'è volta che ci riesca di capire che cosa viene trasmesso: titoli dei brani, nomi dei gruppi o dei compositori. Radio Tre, specie nelle trasmissioni 'culturali' del pomeriggio , a cominciare da FAREHNEIT, CON L'ACCA AL CENTRO - ma anche in  quelle della mattina, gli 'italici '  solitamente latitano, forse perché schifati, alla stessa tua maniera, mentre però li canti ed esalti, quando ti serve per mangiare e bere.

 Il problema è  più drammatico nel settore della musica che la direttrice-consulente frequenta abitualmente e vorrebbe frequentare sempre di più, e che tu non frequenti affatto, e mai hai frequentato. 

 Nel settore della musica classica, abbiamo dimostrato, conti e nomi alla mano, che in alcune stagioni - diciamo  nella stragrande maggioranza di quelle importanti - la presenza di interpreti stranieri è strabordante. Altrettanto non accade in paesi nostri vicini, Francia ad esempio, dove nelle stagioni importanti vengono privilegiati prima di ogni altro interprete quelli francesi, e gli stranieri vi compaiono come mosche bianche e nei casi in  cui non se ne può proprio fare a meno.  In diverse occasioni abbiamo illustrato le stagioni, ad esempio di Santa Cecilia e della Orchestra Rai di Torino. Gli italiani latitavano o erano ridotti al lumicino. Su questo blog ne abbiamo scritto già svariate volte.

 Poi accade che la pandemia  costringa  a riconsiderare l'organizzazione della vita musicale alla luce della minore circolazione degli artisti. E allora le stagioni si sono fatte prevalentemente con artisti italiani. A chi faceva notare l'anomalia rispetto alle stagioni precedenti, è stato risposto, ad esempio dal sovrintendente di Santa Cecilia dall'Ongaro, che in Italia ci sono artisti bravi come se non più di quelli stranieri.  Attutita la pandemia si è tornati alla logica di prima: in prevalenza musicisti stranieri nei cartelloni delle nostre istituzioni maggiori, finanziate con soldi pubblici.

 All'obiezione che tu, dalla tua rubrichetta potresti fare a questo nostro ragionamento, e cioè che i nostri musicisti sono presenti nei cartelloni esteri, caro Castaldo, risponderemmo che è vero, ma non nella stessa percentuale con cui gli stranieri sono presenti nei cartelloni italiani. Se in Italia in una stagione importante i musicisti italiani si contano sulle dita di una mano, mentre  per quelli stranieri occorrono le dita di mani e piedi, allora vuol dire che qualcosa non funziona. 

Non vogliamo affermare con sicurezza che dietro c'è il malaffare ( la storia di Graziosi, sovrintendete, dal Regio di Torino, finito sotto in- chiesta per aver fatto affari con una agenzia di rappresentanza) e che c'è sempre, ma qualche dubbio lo abbiamo qualche volta nutrito. Specialmente  per quelle  'isole' dove la dirigenza è la stessa da anni e quindi la possibilità che lì vi mettano radici interessi poco artistici è alta.

 Il desiderio poi della direttrice-consulente di creare un albo dei critici non merita neanche un minuto di attenzione.


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