lunedì 21 novembre 2022

RomaEuropa. 'Einstein on the beach' di Glass/Wilson. Versione 'concerto', prima nazionale

 Abbiamo ripreso, per i nostri  più attenti lettori, ciò che scrisse su Il Sole 24 Ore, Giuseppe Distefano, l'ultima volta che  in Italia si vide l'opera di Glass/Wilson -Einstein on the beach', più famosa che imprescindibile', secondo noi. L'abbiamo vista, anzi ascoltata, ieri sera nella sala grande dell'Auditorium, inaspettatamente piena, nonostante i pessimistici pronostici, almeno nostri, della vigilia e la dissuasione  che  la minaccia della durata, 200 minuti esatti senza interruzione, avrebbe potuto costituire.

 Invece no. La sala era piena, inspiegabilmente vale ripeterlo, anche se di un pubblico particolare - in parte costituito da quelli che un tempo frequentavano le sedi dove si faceva sperimentazione in tutte le branchie dell'arte, o i piccoli festival specialistici; in parte da coloro che la moderna indagine sociologica, definisce 'quelli delle ztl' o dei quartieri chic che votano a sinistra.

 Insomma quel lavoro antico, di cui ancora si favoleggia per la novità - opera-non opera - ma che poco si è visto da noi nei quarantasei anni di vita ( nacque nel 1976 ad Avignone, si vide a Spoleto due anni dopo e poche altre volte in forma scenica)  suscita ancora molto interesse; e la possibilità di muoversi ed uscire durante le tre ore non è stato raccolto, benché avesse il crisma dello stesso Glass che ha dichiarato che non lo ha mai visto per intero il suo Einstein

 L'articolo di Distefano, che precede questo nostro, spiega più di una cosa al lettore che si accinge a leggerci, perché la 'versione concerto' -  espressione malamente tradotta del dannato inglese, mentre sarebbe stato più 'italiano' scrivere 'versione da concerto' - alla quale abbiamo assistito, ci ha visti perplessi per quanto curiosi, affatto provati dalla lunga durata, e dalla monotona ripetizione della musica; e, in un caso urtati, quando  un faro issato su un'asta veniva fatto girare manualmente a  velocità sempre crescente, puntando palcoscenico e pubblico. Il giochetto, ingenuo ed anche maldestro, avrebbe dovuto, girando, 'significare' la luce e la velocità con cui si irradia sulla terra; a noi ha fatto girare le palle, perchè ci ha costretti a chiudere gli occhi,  per non farci accecare.

Ora vogliamo parteciparvi ciò che ci ha fatto venire in mente la lettura di alcune presentazioni del lavoro, compresa quella dell'  autore in persona.

  In tutte, la chiave di lettura dell'Einstein, é il divorzio fra musica e libretto (storia),  anzi l'assenza del libretto (storia),   che qui è ridotto ad alcuni testi 'nonsense' affidati, a Suzanne Vega, (nient'altro che una semplice suggestione, sonora e ritmica, come del resto una suggestione costituivano i testi che erano in realtà solo numeri - forse l'unico riferimento allo scienziato del titolo, e i nomi delle note, del coro). 

C ha ricordato un famoso brano di William Walton, che avemmo la fortuna di ascoltare, con grande interesse, molti anni fa, prima che Glass scrivesse la sua opera, presente l'autore, alla Chigiana dove studiavamo. Quel  brano si intitolava Facade, ed era costruito appunto su poesie 'nonsense' di Edith Sitwell. Dalla sua aveva anche una durata ragionevole.

 La lettura poi dell'intervista a Jean-Luc Plouvier ( artefice della versione romana dell'Ensemble Ictus e del Collegium Vocale Gent, un vero lusso!) riprodotta nel programma di sala, ci ha fatto venire in mente quel che  ci disse Pierre Boulez di Bruno Maderna e cioè che ogni sua opera aveva bisogno di ricognizione e ricostruzione per essere eseguita. Plouvier racconta che ha dovuto affrontare diversi problemi, e che per alcuni di essi ha approntato soluzioni che Glass non offriva, ricorrendo alla partitura, alle diverse versioni registrate dagli autori e ad alcune didascalie degli stessi. Quindi ben più di quanto sostiene la teoria dell'opera 'aperta'.

 Il modo disinvolto, appositamente proposto dagli interpreti - che si muovono, quando non suonano o non cantano, che cambiano spesso di leggio, che  si distendono a terra per  riposarsi (stirarsi?), o addirittura si fanno gli affari propri (la sassofonista che, in un momento di pausa per lei, era comodamente seduta e scriveva) le loro uscite dal palcoscenico per poi rientrare, ci hanno dato la sensazione di assistere alla 'prova' di un'opera seria (serio il personaggio, Einstein, serissimo l'intento del ritratto musicale di Glass/Wilson).

 E' blasfemo affermare che i vari brani che compongono  l' Einstein, Glass potrebbe riproporli in qualunque altro lavoro anche nella stessa veste dell'originale ed anche singolarmente? E che, a differenza di quel che Glas stesso ha fatto con le musiche della sua 'trilogia' (opera da film) da Cocteau, qui non c'è necessità di ricavarne una suite, perché la suite vocal-strumentale esiste già ed è l'originale?  E che mancando una storia, mancando un libretto, Einstein potrebbe essere in fondo quel che ieri sera si è ascoltato, anche senza l'intervento registico del coautore Wilson?

Glass comunque col tempo si è evoluto, senza rinunciare anche al vecchio Einstein . Come ci è parso  di ricordare  per la musica che Glass scrisse per l'indimenticabile 'Anima mundi', film di Reggio, commissionato da  Bulgari, in occasione dell'uscita di una linea di gioielli ispirati alla natura.

 Ci sono, inutile negarlo,  anche momenti di grande suggestione, se non di pathos, come il vocalizzo solistico accompagnato dalla tastiera o quell'assolo di violino con il coro che lo accompagna con un canto di sapore pretonale; ed anche momenti di virtuosismo 'paganiniano', come l'assolo di flauto (Michael Schmid) accompagnato da una base preregistrata di percussioni, incessante, vorticosa, un 'moto perpetuo'. 

Il violino, che ha una parte  consistente nell'opera, è forse 'l'unico elemento che rimanda alla biografia dello scienziato, che si dilettava a suonarlo. A tale proposito Franco Mannino, di professione musicista, in uno dei suoi libri autoreferenziali, scrisse di aver ascoltato  una volta suonare Einstein, convincendosi che non era particolarmente dotato. 

Resta comunque il fatto che Glass con Einstein ha fatto un doppio miracolo: riempire la sala e  non stancare,  non annoiare. Forse ci si aspettava che qualcosa, prima della fine, accadesse. Senza che nulla sia accaduto. E questo ha favorito la 'resistenza.

                                           *****

 

 P.S.

Quest'anno abbiamo seguito  più d'uno spettacolo di RomaEuropa, e dobbiamo confessare che, salvo un caso, fra quelli che abbiamo visto  il programma era molto ricco, variegato e pieno di sorprese, anche ben realizzate. (La presenza del Collegium Vocale Gent  nell'Einstein lo testimoniava a meraviglia). Il festival può farlo perchè si avvale oltre che di cospicui  finanziamenti pubblici e privati, dei rapporti che l'attuale direzione  ha saputo tessere, negli anni, con le rappresentanze diplomatiche e culturali dei vari paesi che al festival partecipano spesso come  sponsor o partner, anche economici. E consentono perciò produzioni che altrimenti sarebbero impossibili, si pensi all'Opera da tre soldi. Il festival non produce, in massima parte importa ed ospita. Si deve ammettere però che la direzione ha un 'buon orecchio'.

Solo che noi restiamo dell' idea, anche se dispiacerà ai diretti interessati,  che la direzione artistica  di un festival, pur di pregio e giustamente rinomato, non può restare nelle stesse mani per decenni. Prima o poi occorre far entrare aria nuova.(P.A.) 

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