Abbiamo letto, in ordine di tempo, ciò che il quotidiano Il tempo ha scritto a proposito di una intervista di Muti alla Stampa; a seguire, il commento che Filippo Facci ha tempestivamente fatto su Libero.it e, infine il celebre scoop al quale egli si riferisce, risalente al 2 aprile 2005 ( Il Foglio), che avrebbe fatto dimettere Muti dalla Scala - egli dice oggi.
Solo due o tre cose che Facci non sa e, invece , deve sapere su Isotta, passando per Buscaroli, e finendo con Meli. Ma anche di Muti.
Paolo Isotta, al quale dobbiamo riconoscenza per qualcosa che noi lui ed un'altra persona ancora viva sappiamo, era persona tanto geniale quanto inaffidabile. E coltissima. Noi non abbiamo prestato fede in nessuna occasione a ciò che scriveva di qualunque cosa, perché poteva scrivere oggi ciò che domani avrebbe smentito. E lo ha anche fatto. I suoi voltafaccia sono ben noti. E Muti, con il quale vantava amicizia strettissima allargata a tutta la famiglia, è stato il primo farne le spese, quando il direttore si è "permesso di annunciare le sue dimissioni ( da che, se vogliamo essere pignoli, se no aveva nessun contratto con l'Opera della Capitale) da Roma per lettera scritta al sovrintendente, e non a lui e ad Alesio Vlad" ( figlio di Roman, che le malelingue sostengono voluto da Cristina Muti all'Opera di Roma). Questo ha sostenuto Isotta.
Quello che non è stato capace di scrivere nei suoi libri di 'memorie da elefante' Isotta contro Muti, lo strapotere della moglie Cristina ( che metteva bocca nei cast e, 'si sente, scriveva Isotta, sono pessimi!) il suo repertorio abbastanza circoscritto, mentre lui, Isotta, gli suggeriva di ampliarlo. In sintesi lo strapotere, senza cadere nel vizio opposto, di tanti in Italia, di contrapporre Muti a Claudio Abbado, percè detestato da Isotta.
Veniva da chiedere a Isotta come mai si fosse tenuto in seno tutto quel veleno che ha riversato dopo anni su Muti, sulla sua famiglia ed anche sulla sua carriera. Che non è edificata sulla sabbia, caro Facci. Le racconto.
Dopo il terremoto aquilano, si fecero vedere ed ascoltare nella città ferita sia Abbado che Muti.
Abbado arrivò con la su orchestra 'Mozart' fece il concerto di pomeriggio e ripartì. Muti arrivò all'Aquila - fummo testimoni oculari di quei giorni - si fermò una settimana, provò con i musicisti aquilani e tenne alla fine un concerto.
Quando ne parlammo, in una occasione successiva, a Carlo Fontana, l'ex sovrintendente non si disse meravigliato, perché, "Muti è capace di far suonare anche le pietre".
In quelle giornate, in cui parlammo spesso con Muti, toccando anche gli anni di sua permanenza a Molfetta, dove anche noi avremmo fatto gli studi superiori, lo intervistammo, per Il Giornale, non senza avergli ricordato che era la prima intervista che ci rilasciava, nonostante la promessa fatta al suo adorato maestro Vincenzo Vitale, negli anni in cui dirigevamo Piano Time, dunque una ventina di anni prima. E non che non avessimo mai scritto o fatto scrivere di lui, su Piano Time ( ricordiamo ancora due copertine del mensile, intitolate_'Abbado-Muti:la Scala del paragone; e una seconda 'Napoletani a Milano' , in occasione di una regia di De Simone. Mai però una intervista nostra.
Per gli amanti del gossip, a L'Aquila si conobbero Giulia Minoli e Salvo Nastasi, oggi felicemente sposati; li fece conoscere Laura Valente, napoletana, che ai tempi si sarebbe detta una delle 'vestali' di Muti, anche a Milano.
A L'Aquila ci fece alcune confidenze, fra tutte una che ci restò impressa, e che abbiamo rivelato in altra occasione. Parlando dell'Orchestra di Santa Cecilia, disse: 'ma che quella è un'orchestra?'.
Di lì a poco Muti sarebbe sbarcato a Roma, al Teatro dell'Opera, dove 'porterò i gradi direttori come ho fatto al Festival di mia moglie a Ravenna' ci anticipò, da 'direttore musicale'. Per lui, allora, l'unica orchestra degna di tale nome era quella dell'Opera, in Italia non ve ne era un'altra che poteva stare alla pari. (Giova ricordare che Muti va facendo una consimile dichiarazione di tutte le orchestre, quelle poche, che in Italia dirige, da Firenze a Torino a Palermo; Roma, dopo che ne è uscito, non rientra più fra quelle, immaginate La Scala). Muti, sotto questo profilo è un bugiardo seriale, per lui conta l'orchestra che sta dirigendo in un certo momento, il resto non esiste.
Vogliamo dire di Buscaroli di cui apprezzammo l'impegno musicologico - apprezzammo e difendiamo sempre in ogni occasione - ma non la sua attendibilità? Sarà stato anche censurato quella volta che scrisse male di Muti - come scrive Facci - però...dopo che, molti anni fa, leggemmo un panegirico di Palo Olmi, che seguì invitato in Cina (da sottolineare che con Olmi aveva uno stretto rapporto, anche perché la moglie del direttore, lavorò per lui alla Rusconi) capimmo che anche Buscaroli era da annoverare fra gli inaffidabili, al pari di Isotta. Di Buscaroli conserviamo due lettere velenosissime, senza ragione, che ci spedì dopo aver letto su Piano Time un articolo di un noto studioso riguardante Mozart. Il suo livore era pari alla sua inattendibilità.
Mauro Meli, amico di Muti, che avrebbe dovuto prendere il posto di Fontana e guidare con lui la Scala. Facci non sa che Mauro Meli diplomato in chitarra, e amico di Proczinsky dalla cui agenzia monegasca esosissima, attingeva artisti che faceva pagare ad altri (anche Carlos Kleiber era di quella agenzia ed andò a Cagliari, strapagato); non sa Facci che Mauro Meli i primi passi nella organizzazione musicale li mosse in coppia con Alessandra Abbado, sì proprio la figlia del celebre direttore, in un festival che si chiamava 'Lario Musica' che noi ci arrischiammo a difendere contro le mire espansionistiche di una celebre coppia che spadroneggiava sul lago di Como e non consentiva intrusioni altrui ( Gisella Belgeri e Italo Gomez). Dunque Meli che Facci dice 'amico di Muti' era anche 'amico di Abbado'. E, se ricordiamo bene, lavorò anche a 'Ferrara Musica' ai tempi di Abbado. Il quale durò alla Scala gli anni esatti in cui sarebbe durato anche Muti, fra i 19 e 20. Poi, in un modo o nell'altro, via ambedue.
Per un curioso destino sarà così anche per Pappano che lascerà Santa Cecilia, dopo19 anni esatti di direzione musicale, ma in tutt'altra atmosfera: Pappano, mai una contestazione, è come Mida: qualunque cosa tocchi diventa oro. Ci sembra esagerato - e lo dice uno che di Pappano ha stima, tanto da scrivere nel lontano 2007 la sua prima biografia per Skira.
Tralasciamo le citazioni che Facci fa di Francesco Maria Colombo ( che deve a noi le prime collaborazioni giornalistiche su Piano Time) e Jacopo Pellegrini, ostracizzati da Muti. Suvvia Facci, non è stato un terremoto; e Colombo non si è dedicato alla direzione dopo e a causa di Muti; allora che dovrebbe dire Michelangelo Zurletti che ha sempre detto di non essere gradito a Muti, il quale aveva chiesto al suo giornale di far recensire i suoi concerti o opere ad un altro critico, e il giornale, se ricordiamo bene, acconsentì?
Ora che Muti si senta un 'padreterno' cui tutto è concesso, è cosa ben nota; noi lo diciamo da tempo. E sì che abbiamo criticato, senza reticenze, la sua decisione di dirigere in Italia opere solo se sua figlia Chiara fa la regia; e anche il suo recente concerto a Lourdes, per la serie 'Le vie dell'amicizia', inserito in un festival di cui è direttore artistico il marito di Chiara, il noto pianista David Fray
Che Muti abbia i suoi 'altoparlanti' nei giornali è altrettanto noto ( ma di chi è la colpa?): al Corriere Cappelli, a Repubblica, un tempo Bentivoglio, ora Bandettini; alla Stampa Satragni; altoparlanti che a noi piacerebbero più spesso spenti, perché non fanno che diffondere la stessa canzoncina che Muti ripete da tempo, introducendo qualche leggera variante di tanto in tanto, dimenticando talvolta qualche strofa precedente che raccontava la storia in altro modo.
Ma che si voglia disconoscere le qualità di Muti direttore d'orchestra e musicista, ce ne corre. Nonostante tutto quello che si è detto e scritto sull'uomo, dalla personalità assai complessa al punto che è convinto di dire il vero anche quando afferma il falso, Muti resta un grande direttore.
E noi siamo del parere, altre volte espresso, a proposito della querelle fra lui e Fontana alla Scala, che mentre è facile, relativamente, trovare un altro Fontana, è più difficile trovare un altro Muti. E che, di conseguenza, se si deve sacrificare uno dei due, a sacrificarsi deve essere Fontana.
Per Muti, invece, una volta che l'orchestra e tutto il teatro lo sfiducia - come avvenne per lui compattamente alla Sala, a quel punto era evidente che il direttore non poteva restare a Milano neanche un minuto in più. Quella sfiducia pesa ancora; e Muti difficilmente potrà tornare a dirigere alla Scala quella che un lungo tempo fu la sua orchestra.
Abbado fece lo stesso, non ci dimentichiamo. Ci tornò supplicato in ginocchio da quanti, alla Scala, non si rassegnavano al pensiero che il ritorno del direttore, ormai gravemente malato, poteva essere in una bara. Per questo alla fine tanto fecero che riuscirono ad averlo su quel podio, almeno una volta, da vivo.
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