L' Ora X è oggi. Ucraina e Russia si incontrano stamattina con le rispettive delegazioni, sul fiume Pripyat, 250 chilometri a nord di Kiev, in Bielorussia, mentre la guerra entra nel suo quinto giorno e Vladimir Putin ha messo sul tavolo l'opzione nucleare. Il presidente bielorusso Alexander Lukashenko, il padrone di casa alleato di Putin e finito anche lui nel mirino delle sanzioni, al telefono con il leader ucraino «si è preso la responsabilità di garantire che tutti gli aerei, elicotteri e missili in territorio bielorusso resteranno a terra durante il viaggio, i colloqui e il ritorno», spiega il presidente ucraino Volodymyr Zelensky.
Un «incontro senza pre-condizioni», è quanto concordato alla vigilia. Le parti arrivano all'appuntamento dopo una prima offerta di colloqui da Mosca, rifiutata da Zelensky per via della sede, la Bielorussia dalla quale partono i missili di Mosca. La Russia pone un ultimatum: «Kiev risponda entro le 15 o sarà responsabile dei prossimi eventi». «Inaccettabile» è la replica. Ma nel pomeriggio c'è la svolta. Zelensky dà il via libera all'incontro. Si arriverà a una tregua? C'è la speranza che i negoziati abbiano esito positivo? «Non ci credo molto, ma proviamo» spiega pessimista Zelensky. «Andiamo lì per ascoltare cosa vuole dire la Russia, andiamo senza accordi preliminari sui risultati», dice il ministro degli Esteri ucraino, Dmytro Kuleba. Che però mette in chiaro: «Se l'esito dei colloqui non sarà la pace, voglio chiarire che non cederemo un solo centimetro del nostro territorio». Si preannuncia un dialogo fra sordi. Ma per la prima volta da quando è scattato l'attacco russo all'Ucraina si potrà capire meglio quale partita intenda giocare Mosca. L'escalation verbale e sostanziale di Putin, che ha ordinato l'allerta del sistema di deterrenza nucleare, è la pistola che lo Zar mette sul tavolo dei negoziati. Escalation per la de-escalation, sembra la strategia del presidente russo. Alzare al massimo la tensione, per sedere ai colloqui da una posizione di forza e uscirne vincitore. Oppure, ancora peggio, fingere di voler trattare, per trovare nel fallimento dei colloqui il pretesto per proseguire l'offensiva, anzi per potenziarla.
È una partita che sembra vinta in partenza dallo Zar che con le sue guerre di aggressione ha sempre soggiogato il nemico e ha a disposizione il secondo esercito più potente del mondo, dopo quello statunitense. Ma la risposta ucraina è stata fin qui decisa ed efficace. I soldati russi proseguono l'offensiva, circondano Kiev ma non l'hanno ancora presa e l'esercito di Mosca ha ammesso per la prima volta l'uccisione di alcuni suoi soldati, 4300 tra feriti e uccisi secondo l'Ucraina. Impossibile parlare di fallimento russo, anche perché la guerra è appena cominciata. Ma la resistenza ucraina si è dimostrata più ostica del previsto, le armi dall'estero stanno arrivando. E a questo si aggiungono le ritorsioni dell'Occidente, che con il bando delle banche russe dal sistema Swift, ha sganciato la sua «arma nucleare finanziaria». L'obiettivo è rendere la guerra un costo troppo alto per Mosca. E isolare sempre più Putin, che intanto vede migliaia di russi sfidare il regime e scendere in piazza per dire «no» alla guerra. Ieri ha rotto il silenzio per primo l'oligarca Mikhail Fridman, uno degli uomini più ricchi di Russia, co-fondatore di Alfa-Bank, banca privata fra le più grandi del Paese, nato in Ucraina occidentale ma cresciuto in Russia, di cui è cittadino. Ha chiesto la fine del «bagno di sangue». «La guerra non può mai essere la risposta», ha scritto in un messaggio allo staff londinese. Dopo di lui è arrivato Oleg Deripaska, ex marito della nipote di Boris Eltsin, considerato tra gli oligarchi più vicini a Putin e tra gli uomini più ricchi di Russia. «La pace è importantissima», ha detto tifando per i negoziati. Potrebbe essere l'inizio di un pressing russo perché Putin riveda i suoi piani ma anche un segnale che rischia di rendere lo Zar ancora più nervoso e perciò più pericoloso.
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