Mancano all'appello 500 schermi sui circa 3600 che abbiamo in Italia in 1300 cinema. Andiamo verso un meno 20 per cento e, se non si prendono provvedimenti, il settore è a rischio». È iniziata così ieri, con questo grido di allarme di Mario Lorini, presidente degli esercenti cinematografici (Anec), la conferenza stampa il cui titolo era già tutto un programma: «La sopravvivenza della sala cinematografica». Perché, ha proseguito il presidente, «fasi di chiusura e di ripartenza si sono susseguite in questi due anni, si è gettato il seme della diffidenza verso questi luoghi. Mentre il mondo torna alla normalità, dalla Francia al Regno Unito alla Spagna il 2021 è stato un anno di ripresa, da noi non è accaduto, troppe restrizioni. Per fortuna dal 10 marzo si tornerà a vendere cibo e bevande nelle sale: è un primo segnale positivo».
È veramente difficile capire perché il mercato italiano sia così in sofferenza con circa il meno 70 per cento nel 2021, tra incassi e presenze, rispetto alla media del periodo 2017-2019. In mancanza di analisi periodiche e puntuali sulla tipologia degli spettatori al cinema, si naviga a vista, c'è molta confusione tanto che la stessa Anec non sa quale fine abbiano fatto questi 500 schermi che mancano all'appello di Cinetel che rileva gli incassi, e i soli dati del botteghino non restituiscono un'istantanea precisa degli spettatori - soprattutto quelli più adulti - scomparsi: «Nel 2021 - ha proseguito Lorini - sono arrivati in sala 353 film di cui 153 nazionali e di questi solo 4 o 5 hanno fatto incassi».
In questa fase di incertezza, agli esercenti non resta che chiedere al governo e al ministero della Cultura misure che almeno affermino la centralità della sala cinematografica, definendo ad esempio «una finestra dinamica tra la distribuzione di un film in sala e sulle piattaforme, 90 giorni potrebbe essere un primo fondamentale passo». Allo stesso tempo «l'esercizio cinematografico chiede uno sforzo collettivo alla produzione, agli autori e agli artisti italiani per non lasciare che prevalga il consumo domestico di film». L'altro allarme infatti è nel fatto che, «a fronte di oltre 900 produzioni approntate o in fase di completamento, al 99 per cento finanziate dallo Stato, non più del 35 per cento sembra destinato alle sale cinematografiche, sempre più spesso facendovi capolino prima di dirottare su piattaforme e tv».
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