Cinquant'anni fa giusti giusti, dicembre 1972, alla Società del Quartetto di Milano - noi non c'eravamo - Maurizio Pollini, prima di sedersi al pianoforte e dare inizio al concerto, tentò, invano, di leggere una breve dichiarazione di protesta contro i bombardamenti americani in Vietnam, che avevano fatto migliaia di vittime fra i civili. Ci fu una protesta tale che il pianista non solo non riuscì a leggere la sua breve dichiarazione per intero, ma neanche a fare il concerto. Quella protesta divise l'opinione pubblica: ci fu chi era in disaccordo, come Indro Montanelli, convinto che la musica non dovesse 'impicciarsi' della politica; e chi invece era perfettamente d'accordo con Pollini, come Umberto Eco.
Crediamo di aver chiesto a Pollini, qualche anno fa, nel corso di una conferenza stampa pubblica, se oggi rifarebbe quella dichiarazione di protesta durante un concerto. Non ricordiamo esattamente cosa ci rispose (però ne scrivemmo su Il Giornale) ma ci pare di ricordare all'incirca che la sua risposta fu di dubbio: "oggi, non so se la farei ancora".
Cinquant'anni esatti da quella protesta rimasta storica, alla quale tante altre sono seguite in varie circostanze, una protesta si è levata in Italia, Milano, ma anche a Vienna e New York, per una ragione opposta: contro il silenzio di Gergiev sulla guerra scatenata da Putin, suo amico e protettore, contro l'Ucraina.
Gianni Riotta, su La repubblica, scrive oggi che Sala e Meyer che hanno invitato Gergiev alla Scala, sapendo dei suoi stretti rapporti con il dittatore sanguinario, avrebbero potuto invitare altri al suo posto, e perciò adesso non possono chiedergli di sconfessare il dittatore amico. E di condannare la guerra?
Gergiev, vorremmo ricordare a Riotta, è ospite fisso ed anche conteso dalle maggiori istituzioni musicali mondiali, soprattutto per un repertorio, quello russo, di cui è interprete riconosciuto ed applaudito.
E questo accade da anni, da quando si sa della stretta amicizia del direttore con il dittatore, che a San Pietroburgo ha costruito il nuovo Mariinsky per il direttore, dove lui regna sovrano.
Il fatto nuovo, da cui la richiesta scaligera della sconfessione acquista un senso, è la guerra, scatenata da Putin - un atto delinquenziale e criminale, l'ha definito qualcuno - contro l'Ucraina; e almeno su questo Gergiev dovrebbe, anzi deve dissociarsi dal suo amico e protettore: condannare la guerra se non vuole condannare direttamente Putin. Ma sarebbe opportuno che egli sconfessasse anche l'amico, perché se uno ha un amico che mette una bomba e fa saltare in aria degli innocenti, non c'è amicizia che possa giustificarlo. Sarebbe giustificare un atto di barbarie.
Il silenzio di Gergiev ha una aggravante. Il direttore non ha mai fatto mistero del legame che lo lega a Putin, anzi in molte occasioni si è dichiarato suo sostenitore in politica; ed è questa sua pubblica posizione nei confronti di Putin che spinge molti a dire che ora, altrettanto pubblicamente, dovrebbe sconfessarlo, perché il suo amico l'ha fatto grossa. Qui si tratta di crimini contro l'umanità, di eccidio, e Gergiev non può restare in silenzio.
E forse, ci spingiamo a dire, non sarebbe fuori luogo se nei suoi confronti - sebbene egli non sia direttamente colpevole - si usasse lo stesso metro che nel mondo, e non sempre proporzionalmente, si è usato contro artisti accusati di aver molestato in passato collaboratori o collaboratrici. In taluni casi addirittura senza valutare concretamente ciò che era accaduto, tanto che abbiamo letto contro questo o quello che avevano tenuto 'atteggiamenti non consoni o irrispettosi'. Gergiev, con il suo silenzio su Putin e, cosa ancora più grave, sulla guerra, fa molto di peggio. Così sembra a noi.
Rifletta Gergiev, che perfino Berlusconi, amico dichiarato ed ostentato del dittatore ex sovietico, ha detto - come ha riferito un suo stretto collaboratore, l'ex giornalista Giorgio Mulé, oggi in politica - che il Putin che fa la guerra all'Ucraina, lui non lo riconosce più, quantomeno non è più l'amico che in passato ha conosciuto e in molte occasioni anche frequentato ed ospitato.
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