Nel cuore della lirica italiana, in quell’Emilia placida solo se guardata dall’alto, va in scena un dramma in cui per una volta non c’entra solo un tenore, ma un coro intero. Parma da giorni fibrilla per un caso che incrocia i destini del Coro del Regio, del Festival Verdi, e pure del sindaco uscente Federico Pizzarotti.
La "Sarajevo" della contesa è stata la scelta di affidare il titolo inaugurale del 22 settembre (La forza del destino) a Orchestra e Coro del Comunale di Bologna. "Una colonizzazione", la definiscono i coristi, che si sono presentati in massa a teatro alla presentazione della kermesse, interrompendola a più riprese con quello che sanno fare meglio, i cori, ma anche qualche isolato insulto (Pizzarotti s’è preso del fascista).
"Gli animi si sono surriscaldati - ammette Martino Faggiani, istituzione vivente, da più di due decadi alla guida del Coro, che di anni ne ha 40 - ma la nostra intenzione era opposta, ovvero rimanere a bocche cucite, come dimostravano le mascherine con la X".
E invece il Coro ha parlato eccome, sfogando malesseri lontani: "Con il Regio c’è una convenzione spiega Manuel Ferrando, presidente della cooperativa che regge le sorti dei coristi -. Ma dal 2016, quando fatturavamo 450mila euro, siamo passati ad avere uno zero in meno. Sul piano formale il Teatro può invitare chi vuole. Noi non siamo suoi dipendenti. Ma non era mai accaduto che al Regio, casa nostra, inaugurassero compagini di un’altra città".
Qui entra in scena Bologna, accusata di colonialismo musicale ed economico. Al Festival Verdi è di casa da cinque anni, un’alleanza voluta da Nicola Sani, che da sovrintendente del Comunale si sfilò dalla decennale collaborazione col Rossini Opera Festival di Pesaro per migrare verso Parma. Non certo per gusti operistici. Sull’Adriatico il Comunale era solo ospite, al Regio invece coproduce, che nel linguaggio ministeriale significa migliorare il punteggio del Fondo Unico per lo Spettacolo.
Ma negli ultimi anni soffia anche la proposta di Fulvio Macciardi, successore di Sani alla sovrintendenza di Largo Respighi. La sua idea, ribadita platonicamente anche in una recente audizione a Roma, è quella di unire le forze di Parma e Bologna - i due principali enti lirici regionali, benché il primo sia qualificato come teatro di tradizione e l’altro fondazione lirico sinfonica - per creare un "sovra- teatro" in grado di competere coi grandi.
"Non è nemmeno un tema - frena Pizzarotti -. Ascoltando bene le parole di Macciardi si capisce che è solo un esempio. Non esiste uno scenario simile perché non ci sono nemmeno le esigenze per crearlo. Noi stiamo bene, abbiamo risanato i conti e lanciato un Festival di eco internazionale".
Ma i coristi non la pensano così: "Se si affida lo spettacolo di punta a Bologna e a noi restano Simon Boccanegra, già sentito lo scorso anno, e il Trovatore a Fidenza, qualcosa non quadra - replica Faggiani -, il ruolo minoritario è evidentissimo. I giorni lavorativi sono più che dimezzati: ci sono coristi professionisti che una volta sfamavano famiglie e oggi cantano per il rimborso spese".
Pizzarotti promette un tavolo per ricucire ("Stiamo pianificando un incontro"), esclude danni d’immagine al Festival ("sarebbe come dire che non visiterò una città per la foto di un materasso abbandonato") e difende Anna Maria Meo, direttrice del Regio, bersaglio delle contestazioni: "I numeri, rispetto al budget, parlano di un successo mai raggiunto in passato. E poi basta con le questioni di campanile: al Festival del Cinema di Venezia ci vanno solo registi veneziani?".
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