Dopo aver letto le dichiarazioni inquietanti della Dottoressa Meo Direttrice della Fondazione Teatro Regio di Parma, rilasciate all’indomani della cena di gala tenutasi a New York, [LINK] indignato, sento il dovere di risponderle chiosando le frasi offensive e inaccettabili sia come parmigiano, sia a difesa della nostra tradizione lirica. La Meo dichiara “sistema Verdi” al cui centro c’è il Festival “unico evento monografico dedicato al grande compositore nel mondo”. E così, l’Unico evento al mondo monografico su Verdi lei lo affida a Bologna… Complimenti!!
Alla prima domanda “all’inizio della guerra in Ucraina il coro di Odessa ha voluto esprimere il proprio no alle bombe cantando in piazza il Nabucco”, lei risponde che bisogna lasciare al coro del Nabucco il significato che Verdi gli ha assegnato… questo significato lei non lo spiega e non dice nemmeno di che coro si tratti (benché il riferimento ad Odessa lo lasci intendere, Va’ pensiero) ed è molto ambiguo. Il significato che Verdi gli ha dato è di struggimento per la patria perduta. Un sentimento che intende sottolineare la necessità di recuperare le proprie tradizioni, di non perdere la propria identità e la propria cultura, giacché solo attraverso la cultura del popolo si mantiene viva una comunità (esattamente il contrario di quello che lei sta facendo a Parma). Alla prima di Nabucco non fu il Va’ pensiero ad avere successo, bensì l’ultimo coro: Immenso Jehova. Verdi voleva commuovere il pubblico e farlo riflettere ma non vi riuscì. Nemmeno ora ci sta riuscendo nel Festival a lui dedicato.
Rimando alla mittente quando afferma di voler far evolvere i loggionisti rei di “tradizioni locali ma tutto questo è anche a rischio di asfissia, di ipoteca, di zavorra e che vanno stimolati per garantire una crescita culturale” e di far evolvere pure i coristi che polemizzano “con rito tribale” e “con chiusura mentale”.
Trovo indegno e vergognoso che alla Direzione Generale del Teatro Regio di Parma sia permesso di infangare all’estero e in Italia il nome, la storia pluridecennale e la reputazione del Teatro Regio e del Coro del Regio di Parma. Putin l’avrebbe arrestata e condannata in carcere nei gulag. Noi siamo più clementi: le commineremo una multa, spero, pari al suo stipendio di un anno, e non le permetteremo da giugno con la sua decadenza contrattuale, di rientrare mai più nel nostro teatro. Lei mi ricorda l’inizio del secondo atto del film novecento di Bernardo Bertolucci: “verdi l’è mort!!! E’ mort verdi!”
Ricordo alla Direttrice che né gli artisti del coro, né tanto meno il pubblico che occupa stabilmente il loggione, hanno bisogno della Dottoressa Meo per evolvere culturalmente; a Parma il pubblico e il coro non sono analfabeti musicali e non ci risulta che debbano essere da lei stimolati, nemmeno sessualmente, per garantirne una crescita culturale. Semmai è lei che ha utilizzato il Regio di Parma per la sua crescita professionale.
La storia centenaria del loggione di Parma, stimato e temuto dai tutti i grandi cantanti e la lunga storia del nostro coro, non possono essere sviliti da simili inaccettabili affermazioni che solo una mente malata di protagonismo e ignoranza può elaborare e dichiarare. Non è nemmeno a conoscenza dei grandi maestri che il nostro coro ha visto nella sua storia: sono nomi d’eccellenza che partono da Annibale Pizzarelli (maestro di Toscanini), a Adolfo Tanzi, Edgardo Egaddi, Marco Faelli e infine quel Romano Gandolfi che fu il più grande direttore di coro di sempre.
Ricordo, e mi ripeto, alla Dottoressa Meo che la Scala di Milano, ben prima che lei venisse a renderci meno “chiusi mentalmente”, ha sempre attinto alle voci del nostro coro tutte le volte che aveva necessità di rinforzare il proprio organico o per effettuare trasferte nei più importanti teatri del mondo.
Se ci fosse il Maestro del coro Romano Gandolfi non la farebbe rientrare in Teatro per l’oltraggio inaccettabile nei confronti dello storico loggione di Parma e di un coro riconosciuto da sempre a livello internazionale da tutta la critica come portatore di vocalità verdiana eccelsa ed indiscussa.
Alla seconda domanda sul “personaggio queer” risponde “in occasione della messa in scena del Ballo in maschera, opera scritta per Guglielmo III sovrano dichiaratamente omosessuale” e wsostiene che il discorso attinente al gender fluid avrebbe attinenza con il contenuto dell’opera e sarebbe compreso nella drammaturgia del Ballo in maschera. Qui il discorso si fa molto complesso e pericoloso, giacché la drammaturgia del Ballo in maschera è contenuta nella partitura, e in essa non vi è alcun riferimento ad ambiguità di genere. Il Ballo in maschera è una storia di puro amore eterosessuale (per Massimo Mila, addirittura l’unica opera di Verdi che tratti unicamente di amore fra uomo e donna senza alcuna implicazione sociale o politica… Il vero Tristano e Isotta di Verdi!). Oltretutto non dimentichiamo che il dibattito sulla fluidità di genere nel 1857 non era nell’anticamera del cervello di nessuno. Che Gustavo III fosse Gay buon per lui, ma Marameo dovrebbe sapere, che nell’opera di Verdi non si parla di Gustavo III, bensì di Riccardo Conte di Boston. La censura impose il cambiamento dell’ambientazione non certo per sessuofobia (tema nemmeno lontanamente toccato dalla partitura), ma per motivazioni politiche. Verdi non sentì più l’esigenza di ripristinare l’originaria ambientazione soddisfatto dei cambiamenti apportati (questo ci fa capire quanto gliene importasse dell’omosessualità di Gustavo III…!). L’operazione del Regio è stata, pertanto, una bella e buona provocazione fine a se stessa… tanto per far parlare un po’ di persone a caccia di scandali in mancanza di contenuti veri. Non trinceriamoci dietro a Verdi per tutto ciò! trovo inaccettabile che la direttrice di un festival verdivano confonda GUSTAVO III re di Svezia con GUGLIELMO III, che è stato un re inglese.
Spocchiosa e ignorante. Ma quando fa le programmazioni, si documenta? Sarebbe bastato scorrere le incisioni delle varie versioni del Ballo in maschera per sapere pure l’incisione della versione originale del Ballo col titolo: “Gustavo III”.
La Direttrice Generale, nonché Direttore Artistico del Festival Verdi, si chiede se a Salisburgo si sarebbero mai permessi una contestazione “tribale” come quella fatta del nostro coro.
Ogni tanto ai sovrintendenti di Parma viene la voglia di creare paragoni con Salisburgo… Allora ricordiamo che la cittadina austriaca ha più di dieci volte tanto i mezzi economici di Parma; che quando è nata ha puntato sulla qualità e non sui grandi nomi come fumo negli occhi (i grandi nomi c’erano… ma erano grandi davvero, però: Richard Strauss, Stefan Zweig, Hugo von Hoffmanstal, Bruno Walter… Nomi che sono diventati grandi per aver creato opere immortali!); Salisburgo è diventata quello che è nei decenni grazie ad una qualità per cui il nome più piccolo che vi bazzica è Valeri Gergyev… l’orchestra meno blasonata la Statskapelle di Dresda!… È una provocazione, ovviamente! Ma è per far capire che a Salisburgo si fa sul serio e i grandi nomi ci sono davvero… non sono Mariotti e Roberto Abbado…! Salisburgo è cresciuta con Toscanini, Walter, Furtwangler, Klemperer, Karajan… Oggi dirigono e cantano i più grandi Interpreti viventi! Parma non ha nulla di tutto ciò… ha una grande tradizione e un grande nome, però! Esige di essere riempita di contenuti veri e non di fumo negli occhi. In mancanza dei mezzi che le consentirebbero di avere i veri grandi nomi, dovrebbe essere un terreno nel quale approfondire Verdi senza servirsene per farsi una dubbia pubblicità. Questo a Salisburgo non lo avrebbero permesso!
Vorremmo ricordare inoltre alla nostra oltraggiosa direttrice che Salisburgo, terra natale di Mozart e sede del festival omonimo, non la vorrebbe nemmeno per le pulizie del foyer, come pure al teatro Regio di Torino in cui le hanno preferito Sebastian F. Schwarz.
Salisburgo tiene da sempre ben stretto il “marchio di fabbrica” del festival mozartiano e mai si è sognata di affidare l’inaugurazione del proprio festival ad un altro teatro e mai Salisburgo ha affidato ad altro teatro l’ideazione e la programmazione delle proprie attività, cosa che, invece, inaccettabilmente, è avvenuta a Parma, avendo delocalizzato ideazione e progettazione alla Fondazione Teatro Comunale di Bologna (un niente paragonato al Regio di Parma) che è a tutt’oggi partner istituzionale, autoscritturando per l’inaugurazione proprio i complessi artistici del Teatro di Bologna, producendo un danno economico al Teatro Regio, sottraendo lavoro alle maestranze artistiche e tecniche che devono, queste ultime, fare i gadget, come dice la dottoressa Meo nell’intervista, invece di fare costumi e scene. L’indegna direttrice si vanta inoltre che ”Quando c’è stato il lockdown, dopo il trauma, abbiamo deciso di investire invece di fermarci. Internamente, per esempio, abbiamo fatto il recupero di una sala prove che aveva bisogno di restauro e del sistema antincendio, avrei potuto appaltare i lavori fuori e invece noi abbiamo un giovane architetto bravissimo che ha realizzato il progetto e i nostri macchinisti hanno ristrutturato la sala. Davanti al covid avremmo potuto alzare le mani e nessuno avrebbe detto bah, invece così, in controtendenza, abbiamo stabilizzato le risorse, non come se fossero assistenza o come strumento di welfare improprio, inventando attività che rendano plausibile il nostro approccio”.
Dottoressa Meo i lavoratori tecnici del Teatro sono sempre stati utilizzati anche per opere di restauro del teatro. Già con Mauro Meli, Angela Spocci, così come Carlo Fontana che rifece tutte le tappezzerie consumate dei velluti e sistemò il graticcio sopra il palcoscenico con i motori per i cambi di scena che costituiva un pericolo per gli artisti. Ma vede, oltre a fare ciò che è a loro richiesto per contratto di lavoro, scenografie, luci e costumi, la direzione riusciva a concordare nei momenti di calma, visti i costi fissi degli stipendi, che la loro attività fosse indirizzata anche per le opere di manutenzione ordinaria e straordinaria del teatro. Producevano scenografie, costumi non solo per il Regio, ma pure per i teatri di tradizione non dotati dei laboratori tecnici e sartoriali. Cosa che avendo appaltato ad altri la realizzazione del Festival Verdi i lavoratori ora non si sentono gratificati a fare i suoi gadgets per il suo uso turistico. Non lo è certamente fare un cuscino con i pantaloni di Rigoletto, da battere all’asta per 2.500 euro, anziché valorizzarli in un museo storico permanente dei costumi di scena della produzione sartoriale del Regio, distribuiti in teche nelle sale del teatro di Parma. Come la Fondazione Cini di Venezia che ha acquisito da Simona Martini, la compagna di Pier Luigi Samaritani tutta la sua eredità artistica. I costumi di Samaritani del Rigoletto del 1987 diretto da Campori furono indossati da Leo Nucci, Alfredo Kraus, Luciana Serra e da Michele Pertusi nel ruolo di Sparafucile. Non le sembra che anche Parma avrebbe potuto adottare questa intelligente soluzione? Vede Meo il Covid non può nulla a fronte di una arrogante ignoranza.
Dottoressa Meo, Bologna si è appropriata di quello che è il marchio di fabbrica peculiare del nostro territorio musicale il “Festival Verdi”, voluto nel 1991 dall’on. Andrea Borri e dall’on. Francesco Quintavalla, insieme all’allora Fondazione Verdi Festival. Riconosciuto successivamente come Festival nazionale, ottenendo il finanziamento annuale per il prezioso lavoro del Senatore Giorgio Pagliari.
Quella del Teatro Comunale di Bologna è un’autentica colonizzazione e non una coproduzione, né una collaborazione artistica, come lei, da insolente, artatamente vorrebbe far passare; il Regio di Parma con le sue maestranze ha solo da perderci: perde lavoro, il marchio di fabbrica e miglioramenti economici dei fondi ministeriali.
Mai negli anni di direzione della Dottoressa Meo il nostro Teatro con il coro hanno avuto scambi in uscita nel teatro di Bologna, mentre Bologna dal 2017 è presente nel cartellone del Festival Verdi, prima a Busseto, poi al Teatro Farnese, quindi in San Francesco ed ora, quale partner istituzionale, addirittura nel titolo inaugurale delle manifestazioni verdiane 2022.
Quale è il do ut des per il Teatro di Parma nell’aver dato al Teatro di Bologna l’inaugurazione del Festival Verdi e di averla resa partner istituzionale? Nulla per Parma e nulla per Busseto, solo vantaggi per Bologna in fatto di lavoro, di immagine e di finanziamenti ministeriali. Forse il ritorno politico, del suo Presidente nonché Sindaco di Parma, Federico Pizzarotti.
Se la dott.ssa Meo è andata in America a presentare il Festival Verdi, lo deve solo ed unicamente al fatto che è la Direttrice Generale del Regio di Parma, città delle terre dei natali di Verdi e sede dell’Istituto Nazionale degli Studi Verdiani, con maestranze e con coro che ha qualità vocale verdiana indiscussa e riconosciute in tutto il mondo.
Se così non fosse avrebbero chiamato il Sovrintendente del Teatro Comunale di Bologna o di qualunque altro teatro, poi, per paradosso, la Direttrice fa inaugurare il Festival Verdi al Teatro di Bologna e non al nostro teatro, avendo, nel contempo, la sfrontataggine di definire le giuste proteste degli artisti del coro con le seguenti parole “Vade retro barbari, tornate a casa vostra. Ma si può pensare a Verdi con questa chiusura mentale…”
Nulla di nulla c’entrano le semplici “ospitate” artistiche citate dalla dottoressa, e lei lo sa, relativamente alle compagini del Maggio Musicale Fiorentino diretto dal Maestro Gatti o dell’Orchestra della Rai di Torino diretta dal Maestro Mariotti.
Cosa dire del duplice incarico del Maestro Roberto Abbado direttore principale per il Festival Verdi e Direttore della Filarmonica di Bologna, non le pare vi sia un conflitto di interessi? Non mi pare poi sia una eccellenza nella direzione artistica da meritare due incarichi. Ha trovato a Parma un eldorado artistico insperato dopo la morte dello zio Claudio.
Non vorrei essere nei vostri panni all’inaugurazione del festival con “La Forza del Destino” il loggione inizierà a contestarvi e a buarvi non appena il maestro Roberto Abbado entrerà nella buca d’orchestra. Le conviene ritrattare con Bologna l’ esecuzione della “Forza del Destino” con le masse artistiche di Parma, magari diretta da Sebastiano Rolli e Bologna vada al Magnani di Fidenza per il Trovatore. Lo faccia finché è ancora in tempo. E eviti una contestazione che sarà impietosa.
Dopo queste affermazioni oltraggiose per l’immagine del Teatro Regio di Parma e del suo coro non possiamo che augurarci che cambi al più presto la Direzione Generale del Teatro Regio e la Direzione Artistica del Festival Verdi. Il suo contratto decade con la fine dell’Amministrazione Pizzarotti, quindi a giugno, valige pronte con taxi o treno pagato da quei “barbari coristi” che avranno il piacere di non incontrarla mai più.
Tribali saluti da Parma, addio Marameo. (Parma, 02/05/2022)
Luigi Boschi
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