La Rai, che la manifestazione la coproduce fin dalla nascita, bisogna riconoscere che si impegna a non snaturare l’oggetto, con la scusa di una divulgazione popolare. Ci risparmia, per dire, il commento avvilente – ma apprezzato dai guru della comunicazione, che odiano il bello se impegna un neurone in più del previsto – delle Prime della Scala. Cosa trasmette, infine? I 40 e più minuti di Brahms certo che no. L’oretta di passi antologici certo che sì. Ecco il frutto della teoria di cui sopra: se un’opera richiede un minimo sforzo di comprensione, meglio lasciar perdere.
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Si sono apprezzati in particolare l’Intermezzo di «Manon Lescaut» (primo assaggio della sbornia pucciniana attesa quest’anno per il 1° centenario della morte del compositore) e i passi da «Madama Butterfly»: bene il coro a bocca chiusa e più ancora «Un bel dì vedremo», dove Luisi e Buratto evitano i toni svenevoli di tante esecuzioni antologiche. Pulita anche, e priva di enfasi patriottica, l’esecuzione del «Va’, pensiero» verdiano.
Bene anche che i 70 anni della Rai siano stati festeggiati con un medley di sigle televisive breve, leggero e del tutto privo della retorica che si poteva temere. Sobrio, perciò pregevole, il commento televisivo. Non banali le coreografie del corpo di ballo dell’Accademia della Scala. Sala piena e tanti applausi mentre il teatro si riempie di fuochi, festoni e coriandoli.
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