L'ennesima intervista a Riccardo Muti, al momento in cui sbarca in Italia con la Chicago, dalla quale si separa dopo molti anni, non ha riservato nessuna novità, e per questo sono diventate stucchevoli .
Il maestro ha fatto pace con Chailly e torna alla Scala si è letto. Ma nulla di più falso. Come falso è anche il titolo che celebra il suo ritorno all'Opera di Roma. Muti, e non è la prima volta, dopo le separazioni burrascose con i nostri due massimi teatri, si è rifiutato di dirigervi qualunque cosa, sia opere che concerti. Si dirà che è impegnato fino al 3000. Vero che è impegnatissimo, ma ogni giorno spunta un nuovo impegno - limitandoci all'Italia - da Torino a Palermo ( in questi due teatri dirige opere con la regia di sua figlia Chiara - è diventato ormai una costante per le sue direzioni operistiche in Italia) e poi concetti qua e là con la sua amata Cherubini - l'ha fatto a Milano, alla Fondazioni Prada, a due passi dalla Scala ed a ridosso di sant'Ambrogio - lo farà il 24 marzo a Roma, ma all'Auditorium per celebrare l'anniversario delle Fosse Ardeatine, dirigendovi una sinfonia di William Schuman, dedicata al tragico evento storico (Sinfonia n. 9 del compositore e premio Pulitzer statunitense Schuman, intitolata Le fosse Ardeatine), e lo farà anche nelle Marche - limitandoci al calendario già noto dei suoi impegni italiani - con due concerti per celebrare un autore a lui caro, Gaspare Spontini. Per non parlare dei suoi impegni con il Ravenna Festival dove, se non ricordiamo male, quest'anno porterà i Wiener Philharmoniker, con i quali, oltre che con la 'Cherubini', ha stabilito uno stretto legame di impegni per il futuro.
Dunque viene da dire che oggi Muti, In Italia, diriga più di quando era stabile alla Scala e all'Opera di Roma, quando, per un costume oggi abbastanza demodé e preistorico, un direttore dirige solo la sua orchestra nel paese ospitante e basta. Ha fatto la stessa cosa Pappano, giggionescamente, con l'Opera di Roma, dove in una ventina d'anni non ha mai diretto accampando che non aveva tempo, mentre andava a suonare dappertutto in Italia, in compagnia di suoi amici musicisti. Questi comportamenti, per quanto possa contare la nostra valutazione, ce li fanno scadere nella stima e simpatia umane che avevamo di essi.
Noi, più modestamente, avremmo detto chiaramente che in tutti i altri teatri eventualmente interessati ad una nostra presenza sul podio con l'orchestra di casa non ci andiamo. Come del resto è chiaro, nel caso di Muti, per la Scala e l'Opera di Roma. Un'orchestra straniera, fra le più importanti, è evidente che chiede di suonare nelle istituzioni più prestigiose d'Italia, ignorando bellamente, anzi fregandosene dei rapporti precedenti di queste istituzioni con il loro direttore, il quale naturalmente nulla può opporre e ubbidisce.
E ai nostri colleghi - quei pochissimi che fanno parte della corte di Muti - che gli prestano il microfono quasi giornalmente, diciamo, puntando il dito contro di loro, che una volta dovrebbero fargli la domanda chiara, esigendo altrettanto chiara risposta: Maestro, dica che a Milano come a Roma, lei non vuole tornarci. Ma loro questa domanda è difficile che gliela facciano; temono di essere cacciati a pedate dalla corte.
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