L’oro blu custodito sottoterra per milioni di anni. Un giacimento di acqua sotto le montagne, tra 700 metri e 2,5 chilometri di profondità, che ha capacità circa 50 volte superiore all’acqua conservata negli invasi siciliani. È la scoperta dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia, che ha trovato nel sottosuolo di Gela un enorme bacino di acqua custodito dal tempo nelle viscere della Sicilia meridionale. Una riserva talmente grande che potrebbe mitigare la crisi idrica dell’Isola, perché vale circa cinquanta volte il 325 milioni di metri cubi d'acqua accumulati negli invasi.
Gli scienziati la chiamano piattaforma carbonatica triassica ed è stata trovata grazie a uno studio scientifico di un gruppo di ricercatori dell'Università di Malta, dell’Ingv e dell’Università Roma Tre. "Le risorse idriche sotterranee profonde in tutto il mondo rappresentano un'importante fonte potenziale di acqua non convenzionale, che possono supportare le crescenti necessità, legate anche alla crescita demografica globale - dice Lorenzo Lipparini, ricercatore dell’Ingv - in questo caso abbiamo documentato un esteso corpo idrico sotterraneo di acque dolci e salmastre conservato in un acquifero tra i 700 e i 2500 metri di profondità al di sotto dei monti Iblei”.
Una scoperta che è stata fatta grazie a un approccio innovativo, che ha combinato l’analisi di pezzi petroliferi profondi e tecniche di modellazione tridimensionale del sottosuolo. Questo tesoro potrebbe dare un contributo alle riserve idriche di una regione a cui, secondo gli ultimi dati disponibili dell'Autorità di Bacino aggiornati al 31 ottobre, mancano almeno 23 milioni di metri cubi d’acqua rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. E ci sono invasi in emergenza come la diga Pozzillo a Regalbuto che, su una capienza di 150,5 milioni di metri cubi, ne aveva appena 3,8. O l’invaso Ogliastro, che disseta la piana di Catania e che potrebbe contenere 110 milioni di metri cubi, ma è fermo a 22,4.
“Abbiamo attribuito la distribuzione di questo accumulo di acque fossili a un meccanismo di ricarica meteorica guidato dall'abbassamento del livello del mare nel periodo messiniano - aggiunge Lipparini - Secondo le nostre ricostruzioni questo abbassamento del livello del mare, avvenuto circa 6 milioni di anni fa, ha raggiunto i 2400 metri sotto l'attuale livello del mare nel bacino del Mediterraneo orientale, creando le condizioni favorevoli all'infiltrazione di acque meteoriche e all’accumulo e conservazione di questa preziosa risorsa idrica nel sottosuolo". E poi aggiunge: “Queste acque addolcite potrebbero avere utilizzi diversificati, dalla potabilità all’utilizzo per scopi industriali e agricoli, aprendo così nuove prospettive per la Sicilia meridionale e altre regioni costiere del Mediterraneo”. Il Progetto è stato inserito tra le “action” in occasione della “Water Conference” dell’Onu del marzo 2023 e, nel prossimo futuro, il team prevede di valutare un piano di sviluppo e un progetto di utilizzo di queste acque.
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