Non importa se quella al civico 8 di via Napoleone III non sia un’occupazione dettata da un’emergenza abitativa. E neanche che l’irruzione datata 2003 nel palazzo del Demanio sia già costata alle casse dello Stato 4,5 milioni di euro.
Le dieci condanne emesse lo scorso giugno non hanno per nulla turbato i militanti di Casapound. Loro, dicono, vanno avanti “a testa alta”.
Ne sono così convinti che adesso, per festeggiare i vent’anni di occupazione della sede storica, hanno anche esposto uno striscione lungo il palazzo.
Sfondo bianco, scritta nera, è stato affisso orizzontalmente, proprio sotto la bandiera del movimento, in mezzo ai quattro stendardi che scendono verticalmente mostrando le tartarughe stilizzate dal guscio ottagonale, simbolo di Casapound.
«2003-2023 Venti anni a testa alta» recita la scritta che ha suscitato l’immediata indignazione dell’Anpi di Roma.
«Una vergogna nazionale che doveva essere sgomberata subito ed invece è ancora lì», dice il presidente provinciale Fabrizio De Sanctis dell’Associazione partigiani.
Anche i diversi sindaci che si sono avvicendati alla guida di Roma hanno proclamato imminenti sgomberi in realtà mai attuati. E così, nell’immobilismo, i militanti della galassia nera festeggiano. Un gesto dimostrativo che arriva appena un mese dopo dalle motivazioni della sentenza con cui il tribunale di Roma ha emesso dieci condanne a due anni e due mesi di reclusione, ordinando anche il dissequestro dell’immobile e la sua restituzione al Demanio.
Secondo il tribunale infatti gli occupanti non sono indigenti mossi dall’emergenza abitativa. Dall’Anpi lo spiegano chiaramente: «Non vanno confusi con le altre occupazioni, tilizzano in modo strumentale quegli spazi». È così anche secondo il tribunale di Roma.
Perché “la verifica della situazione economico patrimoniale degli occupanti l’immobile effettuata dalla Guardia di Finanza attesta lo svolgimento di attività lavorativa e la percezione di redditi da parte degli stessi”, si legge negli atti.
Quella di via Napoleone III è piuttosto “l’occupazione stabile di un immobile, trasformato dagli odierni imputati in abituale residenza, senza che la finalità abitativa possa peraltro ritenersi prevalente rispetto a quella di militanza politica».
A dirlo sono i fatti ricostruiti dal pm Eugenio Albamonte, accertati in aula e riportati nella sentenza del giudice Ilaria Amarù: «È emerso che l’immobile di via Napoleone III, di proprietà del Demanio dello Stato, dato in concessione a uso governativo al ministro della pubblica istruzione fin dal 1958, risulta abusivamente occupato dagli imputati a far data dal 17 dicembre 2003, quando, approfittando che l’immobile fosse libero e incustodito, circa 50 aderenti all’associazione di promozione sociale denominata Casapound Italia forzavano il portone di ingresso e vi si stabilivano».
Avevano occupato spiegando di aver «dato casa a 20 famiglie». Ma a ben guardare quelle sottratte allo Stato non sono solo case. In quei sei piani ci sono magazzini, seminterrati, guardiole e alloggi. C’è anche un’area riservata ai militanti neri che vengono dalle altre parti d’Italia. E poi uno spazio per i convegni. Difficile dunque contraddire il giudice, quando spiega che le finalità dell’occupazione di via Napoleone III sono soprattutto politiche.
E per l’Anpi il ragionamento politico è elementare: «Sono fascisti e vanno sciolti». Nel frattempo però occupano.
Nessun commento:
Posta un commento