Il giurì d’onore chiesto da Giuseppe Conte dopo le accuse di Giorgia Meloni sul Mes si farà. Un passaggio poco più che simbolico, perché l’organismo non ha alcun potere sanzionatorio e può soltanto stabilire chi ha ragione nella controversia tra due parlamentari.
«Meloni rischia al massimo una sanzione di tipo politico, non giuridico», spiega a Il Giornale un esponente dell’opposizione, esperto di regolamenti del Parlamento. Dunque, quella tirata fuori da Conte il 18 dicembre scorso, non è nient’altro che un’arma di distrazione di massa. Un diversivo, per tenere alta l’attenzione mediatica sul dibattito intorno al Fondo salva-stati e per alimentare l’esposizione mediatica del presidente del M5s.
L’annuncio sul Giurì d’onore arriva dal presidente della Camera Lorenzo Fontana, durante un incontro con la stampa parlamentare.
«Ho preso una decisione qualche giorno fa, ma aspettavo che venisse ufficializzata con la lettura in Aula», dice Fontana. «Si farà il giurì d’onore, il presidente sarà Giorgio Mulè e auspico che si possa dirimere questa questione», continua la terza carica dello Stato. «Mi sembra una scelta doverosa e apprezzabile», commenta Conte.
L’avvocato, insomma, potrà continuare a tenere viva l’attenzione sullo scontro con Meloni sul Mes probabilmente fino al 9 febbraio.
Entro quella data, infatti, arriverà il verdetto del giurì d’onore. Una decisione che non comporta nessuna sanzione, ma che mira soltanto ad accertare la verità dei fatti riportati dal deputato trascinato davanti all’organismo di Montecitorio, in questo caso il presidente del Consiglio. La commissione di indagine ad hoc, come annunciato in Aula dalla presidente di turno Anna Ascani, sarà presieduta da Mulè di Forza Italia. Con lui i deputati Fabrizio Cecchetti della Lega, Filiberto Zaratti di Alleanza Verdi e Sinistra, Alessandro Colucci di Noi Moderati e Stefano Vaccari del Partito Democratico. Il giurì, secondo l’articolo 58 del regolamento della Camera, dovrà comunicare la propria decisione all’assemblea entro il 9 febbraio, senza nessuna votazione successiva e senza nessuna ipotetica sanzione.
La controversia da dirimere risale al 14 dicembre scorso, quando Meloni al Senato attaccò il governo Conte due sul Mes, mostrando in Aula il fax con cui l'allora ministro degli Esteri Luigi Di Maio, il 20 gennaio del 2021, diede istruzioni all'ambasciatore a Bruxelles di sottoscrivere le modifiche al Meccanismo.
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