I tre volti di un’attrice che non si accontenta mai: Sonia Bergamasco, alle ultime prove della «Locandiera» diretta da Latella (dal 15 ottobre a Spoleto) sta anche girando per la Scala con Mario Martone un breve film sulla Callas e finisce un documentario sul mestiere dell’attrice, «The greatest» in onore della Duse.
Eleonora Duse, figlia d’arte che nacque e morì in albergo, da Vigevano a Pittsburgh, come le vere girovaghe d’arte, è il nodo scorsoio di questi tre progetti, tre imprese, tre scommesse. Spiega Sonia: «Il testo di Goldoni era un pezzo di pregio della Duse, che lo recitò anche davanti alla regina Vittoria il 18 maggio 1894. Visconti istruì Callas per “Traviata” mostrandole al Museo della Scala il quadro di Kaulbach che ritrae la Duse, raccomandandole stessi gesti e posture; infine il primo film da regista è un’investigazione che parte dalla Duse, di cui nel ’24 ricorre il centenario della nascita, per creare un laboratorio sul nostro mestiere cui partecipano Federica Fracassi, Elena Bucci, Giuditta Vasile e Caterina Sanvi, allieva del Piccolo».
Un passaggio di consegne che inizia dalla Locandiera: «Mirandolina è un gioco di scatole cinesi, misteriosa e affascinante. Tra pizzi e trine trovi relazioni pericolose del 700, la complessità dei rapporti e la partita della seduzione che gioca col cavaliere di Ripafratta. È lui che provoca una crepa. Si parla nel testo, intatto in scena, di debolezza e fragilità, Mirandolina andrà avanti sola, aprendo in Goldoni un discorso politico importante sulla dignità del lavoro che ha avuto in eredità dal padre: vuol restare la padrona, chissà cosa accadrà dopo». Cos’è la locanda per i teatranti? «Uno spazio importante, deve essere sempre riallestito come fosse una casa, è la tana che ci accoglie».
Il film sulla Duse, prodotto da Marina Marzotto e Quoiat, girato tra Chioggia, Asolo e Venezia, dove una stanza della Fondazione Cini è dedicata all’attrice dannunziana, parla della natura del mestiere, del suo farsi corpo, attraverso una grande assente di cui ci resta solo il film «Cenere», oltre alle parole di Visconti, Strasberg che la considerò icona dell’Actor’s Studio e del mitico Griffith che la voleva in un film: «Fu tentata ma si ritrasse. Paura della complessità del cinema, lei voleva restare padrona, aveva 58 anni e sapeva che il primo piano scava, ferisce».
Il film su Callas è uno dei cinque progetti che faranno parte della mostra ideata da Francesco Stocchi e allestita da Margherita Palli al Museo scaligero per i 100 anni della Divina della lirica. Bergamasco non si traveste da Callas, legge pagine bellissime scritte da Ingeborg Bachmann in un saggio sulla sua misteriosa unicità, esaltata da «Traviata»: «È sempre un’indagine sui misteri del nostro lavoro. Osservo la Callas attraverso il ritratto di una scrittrice che col “Trentesimo anno” è stata autrice del mio primo lavoro in solitaria. Esprime sulla Callas qualcosa che era rimasto indicibile, sull’umanità e la complessità. Per me, milanese, poter raccontare questo personaggio su quel palcoscenico è un privilegio».
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"Una cosa mi ha sempre sorpreso: che quanti hanno ascoltato Maria Callas non siano riusciti a veder in lei altro che una voce fuori della norma, esposta a ogni pericolo. Che non si trattava, oh no, di una voce pura e semplice, in quel periodo così ricco di voci eccellenti. Maria Callas non è un miracolo vocale; è anzi ben lontana dall'esserlo, o vi è assai vicina, poiché è l'unica creatura che abbia mai calcato un palcoscenico. Una creatura sulla quale la stampa scandalistica è costretta a tacere, poiché ogni sua frase, il suo modo di inspirare, di piangere, la sua gioia, la sua precisione, la sua voglia di far arte, tragedia non necessariamente conoscibile in senso tradizionale, sono evidenti".
(Ingeborg Bachmann . dalla Prefazione a Callas di Attila Csampai)
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