Rimonta agli anni Settanta la passione della destra italiana per le opere di John Ronald Reuel Tolkien (1892-1973), su cui il prossimo 15 novembre si aprirà una mostra a Roma presso la Galleria nazionale di arte moderna per i cinquant’anni dalla morte. È nel 1970 che il capolavoro dello scrittore inglese, Il Signore degli Anelli (uscito in edizione originale nel 1955), viene pubblicato nel nostro Paese. E a tradurlo è la Rusconi, il cui direttore editoriale Alfredo Cattabiani punta a far conoscere una cultura spiritualista e conservatrice alternativa al progressismo marxista dilagante sulla scia del Sessantotto.
Tolkien, cattolico di tendenza tradizionalista che inventa un mondo fantastico basato su valori premoderni, dove il potere è sinonimo di corruzione, rientrava indubbiamente tra gli autori collocabili in quell’ambito. Così, per quanto Il Signore degli Anelli fosse apprezzato nel mondo anglosassone soprattutto dagli hippies e dai «figli dei fiori», contestatori della società industriale in nome di un ingenuo «ritorno alla natura», in Italia attirò l’attenzione dei giovani missini più convinti della necessità di uscire dal tunnel del nostalgismo neofascista per imboccare strade nuove senza rinnegare le proprie origini. A un primo tentativo di leggere Tolkien in chiave rigidamente tradizionalista subentrò ben presto l’ipotesi di farne un riferimento mitico nella ricerca di un’efficace critica da destra all’individualismo e all’utilitarismo.
Il richiamo alle tematiche fantasy funzionava anche da valvola di sfogo per chi si sentiva oppresso da una logica della contrapposizione, anche violenta, che vedeva il mondo neofascista sostanzialmente emarginato. Si decise così di chiamare campi Hobbit, dal nome delle creature immaginarie di Tolkien, i raduni estivi organizzati a partire dal 1977 per esaltare le capacità creative dell’ambiente giovanile missino sul terreno musicale, satirico, teatrale, pensati come una sorta di sfida sullo stesso terreno ai «Festival del proletariato giovanile» che si tenevano all’epoca al Parco Lambro. La prima rivista di destra sulle tematiche femminili venne chiamata «Eowyn», nome di una delle eroine di Tolkien. Frasi dello scrittore inglese, come «le radici profonde non gelano», divennero slogan utilizzati più o meno a proposito dai ragazzi della Fiamma. Bisogna aggiungere che i vertici del Msi, guidato allora con piglio autoritario da Giorgio Almirante, non vedevano affatto di buon occhio questi fermenti, caratteristici dell’ambiente giovanile legato a Pino Rauti, e si adoperarono per spegnerli.
L’ultimo campo Hobbit concepito secondo l’ispirazione originaria (in tutto furono tre) si tenne nel 1980 e la cosiddetta Nuova Destra, il cui esponente di maggior spicco era Marco Tarchi (oggi politologo esperto di populismo dell’Università di Firenze), fu oggetto di pesanti provvedimenti disciplinari e si staccò dal partito. Il riferimento a Tolkien rimase tuttavia patrimonio dei giovani missini più acculturati, che non avevano però intenzione di rompere con il riferimento al fascismo. Per esempio si chiamava La Contea, cioè con il nome della patria degli Hobbit, una rivista di area rautiana animata negli anni Ottanta dai fratelli Antonio e Andrea Augello. E ancora oggi riferimenti più o meno plausibili al Signore degli Anelli si possono rinvenire nella pubblicistica e nella propaganda della destra. Sono una sorta di segno di riconoscimento, senza grandi pretese intellettuali.
Ovviamente questa appropriazione, fenomeno quasi esclusivamente italiano, viene contestata dagli esponenti dell’antifascismo militante, come i membri del collettivo Wu Ming, e criticata dagli studiosi dello scrittore inglese. Interessante notare che esiste anche una interpretazione del Signore degli Anelli in senso liberalconservatore, proposta da Alberto Mingardi e Carlo Stagnaro nel libro La verità su Tolkien, edito da Liberal Libri nel 2004. D’altronde un romanzo che ha venduto in tutto il mondo 150 milioni di copie deve essere piaciuto a lettori di ogni orientamento. Non c’è da stupirsi che correnti del più vario tipo lo leggano a modo proprio.
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