sabato 28 ottobre 2023

Dove va l'economia italiana? Meloni faccia attenzione al differenziale con i Bund che salirà nel 2024 - come teme Giorgetti - voti il MES e tenga sotto controllo il debito pubblico. Di Salvini si occupi e preoccupi meno ( da First Online, di Franco Locatelli)

 


Giorgia Meloni
Giorgia Meloni© Imagoeconomica

Dove va l’economia italiana dopo un anno di Governo Meloni? “Galleggiare è sempre meglio che affondare” osserva con ironico realismo il politologo Roberto D’Alimonte. C’è del vero nelle sue parole, ma se non governi e se ti limiti a galleggiare non vai lontano. E infatti, come le prestigiose “Lancette dell’economia” di Fabrizio Galimberti e Luca Paolazzi hanno ripetutamente segnalato su FIRSTonline, la crescita italiana cala e l’inflazione scende ma non abbastanza e l’incombenza del nostro debito pubblico si fa più ingombrante e ci ricorda che non solo le agenzie di rating ma soprattutto i mercati finanziari ci scrutano da vicino.

In Italia la recessione non c’è ma l’inflazione non cala abbastanza e il debito pubblico incombe

La premier può ben dire che per ora i gufi sono stati sconfitti e che in Europa la temuta recessione ha colpito la Germania, la Svezia, l’Austria, la Polonia e l’Ungheria ma non l’Italia e può anche dire che l’occupazione è salita a livelli record e il tasso di disoccupazione (7,3%) è sceso ai minimi da 14 anni. Tutto vero ma la crescita del Pil 2023 (+0,7%), se non è tornata ai livelli dei prefissi telefonici, non è nemmeno lontana parente del Pil del biennio d’oro del Governo Draghi che tra il 2021 e il 2022 ha messo a segno una sfolgorante crescita del 12% che ci ha riportato agli anni del miracolo economico italiano a cavallo tra gli anni ’50 e gli anni ’60. Una crescita dello 0,7%, direbbe forse D’Alimonte, è meglio di una crescita zero, ma non ci fa illudere che l’anno prossimo e in parte nel 2025 si possa immaginare un cambio di passo. Ovviamente la debolezza della crescita italiana si colloca all’interno del rallentamento generale e non dipende solo dalla politica economica del Governo che, nella manovra di bilancio, non ha fatto grandi sciocchezze e che – al netto dei due conflitti – deve vedersela sia con problemi che angustiano il mondo intero (dall’alta inflazione alla stretta della politica monetaria e agli alti tassi di interesse, senza dimenticare l’indebolimento del ciclo industriale internazionale) che con le criticità domestiche. La fiacchezza dei consumi interni, zavorrati da un’inflazione che è ancora più alta della media europea (6,1% contro 5,5%), la frenata degli investimenti (-1,7% nel secondo trimestre 2023) che non riescono a sfruttare l’occasione irripetibile del PNRR, e la gelata della produzione industriale, in discesa per il quarto trimestre consecutivo e ancora sotto il livello pre-Covid fanno riflettere e spiegano meglio di tanti ragionamenti perché la fiducia dell’Italia e sull’Italia è da tempo in calo. “Che cosa aspetta il Governo – si è chiesta settimana scorsa con preoccupazione l’assemblea della potente associazione degli industriali di Vicenza – a lanciare il piano Industria 5.0?” Ma si potrebbe aggiungere: che cosa aspetta la Meloni a sottoscrivere il Mes?

Ma c’è soprattutto un aspetto dell’attuale fase dell’economia di cui il Governo non sembra avere piena consapevolezza, almeno secondo quanto emerge dalla manovra di Bilancio. Ed è il fatto che il rallentamento dell’economia e l’insufficiente riduzione dell’inflazione, se combinati con alti tassi d’interesse, rendono ancora più problematica e più costosa la gestione del debito pubblico italiano. Se fra tre anni il rapporto cruciale debito/Pil non riuscirà che in misura insufficiente a schiodarsi dall’attuale 142,3% al 139,6% del 2025, non stupisce che la fiducia dei mercati nell’Italia non sia entusiasmante, che i rendimenti dei Btp salgano, che lo spread si allarghi, che i rendimenti dei Credit Default Swap corrano e che l’Italia sia oggi considerata più rischiosa della Grecia.

Meloni si preoccupa di Salvini ma forse dovrebbe preoccuparsi di più di 3 mila miliardi di debito

La Meloni pensa ogni giorno a come rintuzzare l’assedio da destra di quel populista amico di Marine Le Pen che è Matteo Salvini, ma non dovrebbe essere soprattutto un debito pubblico di 3 mila miliardi e una spesa per interessi di 100 miliardi l’anno a farle perdere il sonno? Numeri parlamentari alla mano, D’Alimonte ci ricorda che in questa legislatura non c’è alcuna alternativa possibile al Governo Meloni, salvo incidenti di percorso sulla sciagurata Autonomia differenziata e salvo colpi di scena derivanti alle elezioni europee, e questo è indiscutibile in una fotografia statica della situazione politica italiana. Ma che succederebbe se un’agenzia di rating declassasse l’Italia e i fondi e le grandi banche internazionali decidessero di non comperare più i nostri Btp? Fortunatamente per ora non c’è nessun segnale di catastrofe alle porte, ma quando il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, che è uomo prudente, avverte che nel 2024 lo spread Btp-Bund potrebbe salire dagli attuali 200 punti base a quota 300, c’è di che preoccuparsi o no? Le crisi finanziarie, si sa, non si annunciano e preghiamo ogni giorno perché stiano lontane dall’Italia, ma basta un battito d’ali per trasformarle in fulmini a ciel sereno.

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