Quella sera Antonio Tajani cercava insistentemente Gianni Letta. Il leader di Forza Italia doveva gestire il malumore dei «fratellini» di FdI, l’ira della ministra per le Riforme Elisabetta Casellati, i sorrisini dei leghisti e un certo disorientamento nelle file del partito. Ma Letta non rispondeva: era impegnato al convegno di Firenze dove stava bocciando il progetto del premierato che «fatalmente» ridurrebbe i poteri del capo dello Stato, mentre — a suo giudizio — quei poteri «andrebbero tenuti così come sono». Quando il Gran Ciambellano di Silvio Berlusconi ha finalmente richiamato, come prima cosa si è complimentato con Tajani: «Avete fatto bene a intervenire sulla questione del mercato tutelato per l’energia». Per un attimo il titolare degli Esteri è rimasto spiazzato: «Veramente ti ho cercato per le tue dichiarazioni sulle riforme». «Parlavo a una platea di giovani. Ma non c’è problema. Se volete, smentitemi pure».
Smentire Letta? Con Letta non si può: come il famoso canarino in una vecchia pubblicità di Carosello, il braccio destro del Cavaliere è intoccabile nel centrodestra. Giorgia Meloni infatti si è limitata a dire di essere «in parte d’accordo e in parte no», Casellati è stata costretta a sfogarsi riservatamente con i forzisti che avevano condiviso le parole di «Gianni», mentre l’ex sottosegretario alla Presidenza incassava olimpico i complimenti pubblici delle opposizioni e quelli privati delle istituzioni. Perché lui, come dice un dirigente azzurro, «ha accesso alle Sacre scritture», cioè al soglio più alto, «e incontra spesso anche un altro grande vecchio: Giuliano Amato». A sentire un’autorità di FdI, Letta è «l’espressione di un mondo dove la mediazione è l’essenza della politica. E con un’elezione diretta la mediazione inciderebbe molto meno».
La tesi che la sua sortita sia stata occasionale «fatalmente» non convince il Palazzo. Dove non a caso si sono mossi Dario Franceschini e Matteo Renzi, che all’apparenza hanno idee contrapposte. Il primo scommette che Meloni riuscirà a realizzare la riforma costituzionale e invita il Pd a entrare nel gioco «per sabotare o quantomeno contenere il danno». Il secondo scommette che Meloni non ce la farà «perché al suo interno il centrodestra non è d’accordo» e vigila in attesa di «bloccarla o essere determinante». In un modo o nell’altro i due contano di contare. E hanno accolto le parole di Letta come un’importante sponda per i loro disegni.
Chissà in quanti hanno cercato «Gianni» in questi giorni: lui parla con tutti, anche se non dice (quasi) niente. A volte si limita a constatare certe cose. Per esempio: «Constato che quando il centrodestra è al governo, accadono sempre gravi situazioni internazionali». Con il Cavaliere a Palazzo Chigi ci furono l’11 settembre, il crack di Lehman Brothers e la crisi dei fondi sovrani. Oggi la guerra in Ucraina, il conflitto in Medio Oriente e l’inflazione a doppia cifra.
Impenetrabile, Letta è tornato alla ribalta contraddicendo Meloni, come per decenni aveva a volte fatto con Berlusconi. C’è chi ritiene sia uscito allo scoperto «perché con Giorgia i rapporti sono poco più che formali e per nulla incisivi», sulla politica e sulle nomine. C’è chi sostiene volesse avvisare Forza Italia, «perché con il premierato non conterebbe più nulla». E chi mette insieme le cose e aggiunge che «Palazzo Chigi non può pensare di limitare i rapporti con il Quirinale a qualche telefonata tra il sottosegretario Alfredo Mantovano e Ugo Zampetti», potente segretario generale della presidenza della Repubblica. Chissà qual è la verità. Per saperne di più, ieri Tajani ha invitato a cena Letta.
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