Ai funerali di Giorgio Napolitano alla Camera parleranno pochissime persone. Solo Paolo Gentiloni, Gianni Letta, Giuliano Amato, il cardinale Gianfranco Ravasi e Anna Finocchiaro. L'ex prefetto della Cultura è stato scelto perchè aveva con Giorgio Napolitano una robusta e antica corrispondenza iniziata a Milano quando Ravasi ricopriva allora il ruolo di responsabile della biblioteca Ambrosiana, mentre l'ex Capo dello Stato era ministro dell'Interno. Ravasi ha ricordato all'Avvenire quei momenti che furono l'avvio di una buona amicizia umana e culturale.
Scrive Ravasi: «In quell’occasione al ministro mostrai una sorta di reliquia “laica” là custodita, l’autografo del testo “Dei delitti e delle pene” (1764) di Cesare Beccaria, le cui pagine fitte di correzioni, ripensamenti e persino di macchie d’inchiostro rivelavano il travaglio dell’elaborazione da parte del suo autore». Napolitano era emozionato mentre sfogliava quel volume. Da allora i contatti furono frequenti e si intensificarono quando Ravasi arrivò a Roma a dirigere il dicastero della Cultura, chiamato da Papa Ratzinger, nel 2007. Gli scambi si intensificarono, intrecciando letteratura e anche musica, e quando nella Basilica Superiore di Assisi la Rai agli inizi di dicembre registrava il «Concerto di Natale», a Ravasi veniva assegnato sempre un posto accanto al presidente. Poi entrambi partecipavano a un pranzo nel refettorio dei frati del convento. «Così seppi – rammenta Ravasi - che assolutamente emozionante era per lui l’Ave verum di Mozart, «di una bellezza ultraterrena», come mi aveva confessato. Nei dialoghi in modo inatteso affioravano anche compositori di taglio diverso come Alban Berg o Arnold Schönberg o Luciano Berio».
Poi vi fu un momento particolare. Il 5 ottobre 2012 nel piazzale antistante la Basilica Inferiore del Convento di Assisi, Napolitano volle partecipare ad un «Cortile dei Gentili», - dialogo tra credenti e non credenti - attorno al tema «Dio, questo Sconosciuto». Il presidente Napolitano accettò di intervenire dialogando con il cardinale davanti a una folla enorme. In quella occasione confessò apertamente di «rispondere a un intimo bisogno di raccoglimento, sfuggendo alla pressione incessante di doveri e di assilli da cui si rischia di non riuscire a sollevare lo sguardo e la mente».
Ricorda ancora Ravasi: «La sua fu una straordinaria lezione-riflessione sul rapporto tra religione e società, che ebbe persino un intimo risvolto autobiografico. Napolitano, infatti, ricostruì il momento giovanile della sua crisi religiosa, ma anche il costante permanere del suo interrogarsi sulla trascendenza, una domanda – come mi disse – alimentata anche dalle sue letture filosofiche, soprattutto di Pascal».
Napolitano sul palco parlò della necessità di una «convergenza di sforzi», ad opera di credenti e non credenti, «per rianimare il senso dell’etica e del dovere e diffondere una nuova consapevolezza dei valori spirituali, dei doni della cultura, dei benefici della solidarietà, che soli possono elevare la condizione umana». E ancora. «È dalla schiettezza del dialogo e dal suo esito fruttuoso che possono venire stimoli e sostegni nuovi per una ripresa di slancio ideale e di senso morale, della quale ha acuto bisogno oggi la nostra comunità nazionale come in pochi altri momenti da quando ha ritrovato, con la democrazia, la sua libertà». Accanto alla riscoperta del «bene comune, serve una larghissima assunzione di responsabilità» concludendo che vi è tanto “bisogno dello spirito di Assisi".
Nessun commento:
Posta un commento